All’interno della fiera “Fa’ la cosa giusta!” tra centinaia di bancarelle che offrono di tutto, dai prodotti biologici ai viaggi di turismo consapevole, nella Sala Chico Mendes grazie all’Osservatorio Solidarietà si parla di un tema attualissimo: la criminalizzazione della solidarietà verso i poveri, i migranti, i rifugiati, le milioni di persone costrette a fuggire dal loro paese per conflitti, miseria, persecuzioni, disastri ambientali ed economici e a rischiare la vita pur di arrivare in Europa.
Gli interventi sono tutte testimonianze dirette e toccanti di persone che si trovano in prima linea nel soccorso e nell’accoglienza dei rifugiati nel Mediterraneo, a Ventimiglia, Como, Trento, Bolzano, in Val Roya e a Lesbo, ossia nei punti caldi, nelle frontiere sempre più blindate e chiuse.
Coordinato da Guido Viale – Osservatorio Solidarietà – Carta di Milano e introdotto da Daniela Padoan, sempre dell’Osservatorio, dopo la lettura di una poesia da parte di Denis, una ragazza argentina, che restituisce una voce ai tanti migranti morti, l’incontro entra nel vivo con Riccardo Gatti, portavoce e capomissione di Proactiva Open Arms in Italia, la cui nave in missione nel Mediterraneo è stata posta sotto sequestro nei giorni scorsi dalla Procura di Catania. Dal suo racconto emerge con chiarezza la volontà di aggrapparsi ad accuse assurde pur di limitare il numero di navi che prestano soccorso nel Mediterraneo e soprattutto di sbarazzarsi di testimoni scomodi, pronti a denunciare le condizioni inumane e gli orrori dei lager in Libia e le pratiche violente della guardia costiera libica.
Lo stesso accanimento non solo contro i migranti, ma anche nei confronti di chi cerca di aiutarli emerge dal racconto di Michel Masseglia di Roya Citoyenne, che descrive la situazione di una piccola valle al confine tra Italia e Francia, chiuso da anni per volontà delle autorità francesi, dove perfino dare un passaggio in auto a un migrante diventa un reato. Nonostante gli attacchi, le denunce e le difficoltà, la solidarietà della gente continua a manifestarsi.
E lo stesso succede a Ventimiglia, dove, come racconta Jacopo Franzetti, Progetto 20K/Sportello fornisce aiuto e consulenza legale ai migranti – tra cui molte donne e bambini – costretti a vivere sotto un ponte. Qui l’attacco contro i volontari e gli attivisti è stato particolarmente violento, con decine di fogli di via che proibiscono di tornare a Ventimiglia e ordinanze comunali che a un certo punto sono arrivate a vietare di dar da mangiare a poveri e migranti. Eppure la solidarietà è più forte di tutti i tentativi di intimidazione.
Il momento forse più toccante e intenso dell’incontro arriva con l’intervento di Gennaro Giudetti (nella foto), mediatore culturale a bordo della nave SeaWatch impegnata in azioni di salvataggio nel Mediterraneo, che racconta (per l’ennesima volta) i drammatici eventi dello scorso 6 novembre: durante un’operazione di soccorso Gennaro si è trovato davanti alla terribile necessità di scegliere chi salvare tra i migranti finiti in mare senza saper nuotare. Ha scelto tre ragazze e ha visto morire annegata davanti ai suoi occhi una donna che non è riuscito a raggiungere. Con una foga appassionata e una semplicità che arrivano diritto al cuore Gennaro ricorda che le motovedette della Guardia Costiera libica, sempre pronte a ostacolare le operazioni di salvataggio, provengono dall’Italia. Siamo stati noi a finanziarle con le nostre tasse, così come i terribili centri di detenzione in Libia, veri e propri lager dove torture e stupri sono all’ordine del giorno. Ognuno di noi è dunque responsabile di questo orrore e deve scegliere da che parte stare: con gli aguzzini libici e i politici italiani pronti a finanziarli e a stringere accordi con loro pur di “limitare gli sbarchi”, o con chi affronta rischi e pericoli incredibili per arrivare in Europa. E se si sceglie di stare dalla parte dei migranti, allora bisogna sostenere chi li aiuta e raccontare cosa succede davvero nel Mediterraneo e in Libia.
Con Ermira Kola di Antenne Migranti si torna a parlare di frontiere chiuse (questa volta si tratta del Brennero), controlli della polizia sui treni solo in base al colore della pelle e migranti costantemente presi di mira. A Trento e a Bolzano gli attivisti forniscono loro consulenze legali e altri aiuti, ma la situazione resta comunque difficile. Un contrasto stridente con l’immagine idilliaca dei mercatini per cui Bolzano è famosa.
Giovanna Fierro di Como Senza Frontiere racconta una situazione molto simile: attacchi ai migranti e a chi li aiuta (compresa la famosa irruzione di Forza Nuova durante una riunione), frontiere chiuse, respingimenti anche di minori e ordinanze comunali che si nascondono dietro al “decoro” per colpire poveri e stranieri.
Conclude un attivista di Lesvos Solidarity, ONG fondata nel 2016, descrivendo le condizioni disumane di centri con migliaia di persone stipate in spazi ristretti, le rivolte, l’incertezza rispetto al futuro, la disperazione che ha portato un uomo a darsi fuoco. Ben diversa l’accoglienza offerta dalla struttura gestita da Lesvos Solidarity (un edificio pubblico abbandonato e occupato nel 2012, l’ex Pikpa), che oggi ospita 120 persone, tra le più vulnerabili arrivate sull’isola.
Con il progetto Safe Passage Bags l’ONG è riuscita a trasformare i giubbotti di salvataggio, simbolo del pericoloso viaggio dalla Turchia alle isole greche e poi abbandonati in discariche a cielo aperto, creando un grave problema ambientale, in oggetti di speranza e opportunità di una nuova vita. Nel suo laboratorio di riciclo e riuso, in cui oggi sono occupate nove persone (sei rifugiati e tre donne greche) i giubbotti vengono riconvertiti in oggetti di uso quotidiano (borse, zaini, ecc), in vendita in uno stand all’interno della fiera e anche fuori dalla sala.
Dall’incontro emerge un quadro al tempo stesso terrificante e colmo di speranza: è vero, l’Italia e l’Unione Europea non esitano davanti a nulla pur di chiudere le frontiere, respingere con spietata freddezza persone che avrebbero tutto il diritto di arrivare qui e criminalizzare chi le aiuta. Al tempo stesso però esistono tante persone e associazioni decise a non lasciarsi intimidire, che difendono i diritti umani e praticano la solidarietà e l’aiuto nonostante gravi rischi personali. Persone che hanno scelto da che parte stare.