Oggi, 30 marzo, come ogni anno dal 1976, in Palestina si celebra la giornata della terra. Una celebrazione che commemora una delle tante stragi israeliane e al tempo stesso rivendica il diritto dei palestinesi alla propria terra ingiustamente e illegalmente confiscata. Vale a dire che rivendica il “diritto al ritorno” sancito, oltre che da un imperativo morale che lascia Israele totalemente indifferente, dalla Risoluzione Onu 194 che lascia Israele ugualmente indifferente. Che Israele sia indifferente alle numerose Risoluzioni Onu che lo riguardano senza che ciò comporti sanzioni utili a farlo entrare nell’alveo della legalità internazionale è fatto risaputo e addirittura rivendicato da questo Stato al di sopra delle leggi, e ciò permette ai suoi governanti di rilasciare dichiarazioni di natura criminale senza tema di sanzioni di alcun tipo. Quando alle dichiarazioni seguono i crimini la situazione non cambia, per una sorta di incantesimo giocato su interessi molteplici e parole magiche quali olocausto o sicurezza o antisemitismo, a Israele è tutto consentito o, nella migliore delle ipotesi, perdonato. Così come consentita è la sua minaccia di strage contro i manifestanti che oggi inizieranno la grande marcia pacifica che rivendica l’applicazione della Risoluzione 194, e così come l’eventuale annunciata strage sarà perdonata.
I palestinesi conoscono a memoria e sulla pelle del loro martoriato popolo questo ignobile copione, e i giovani di Gaza che mentre scriviamo stanno iniziando la marcia pacifica e simbolica verso i confini dell’assedio sanno benissimo che molti di loro rischiano di non tornare a casa, ma ugualmente vanno.
Non c’è davanti a loro Hamas, scelto da Israele come scusa evergreen per ogni attacco a Gaza, no, Hamas come le altre forze politiche, dai Fronti a Fatah, è semmai a lato e invita a partecipare, ma non è davanti o dietro questo movimento generalizzato di palestinesi, soprattutto giovani gazawi che non ce la fanno più a vivere, chiusi illegalmente e illegittimamente, in quella Striscia che potrebbe essere un paradiso e che Israele ha trasformato in una prigione dalla quale ormai sognano tutti di poter uscire. Uscire per assaggiare il diritto alla libertà e non per abbandonare la propria terra, questo è loro impedito dall’assediante che il diritto internazionale inutilmente e solo ritualmente condanna.
La marcia sarà pacifica, o perlomeno nasce come tale e prevede anche momenti di folklore gioioso quali canti tradizionali e performance di dabqa e andrà avanti per sei settimane fino al giorno della Naqba, cioè la catastrofe che vide Israele autoproclamarsi Stato e uccidere o cacciare dalle proprie case centinaia di migliaia di Palestinesi non ebrei. Ma pacifica o meno, sappiamo che Israele alcuni giorni fa ha lanciato volantini dai suoi elicotteri minacciando i gazawi e intimando loro di non avvicinarsi a meno di 300 metri dal confine perché l’esercito avrebbe sparato. I 300 metri si sono poi trasformati in 1500 in una striscia di terra che in alcuni punti è larga solo 2 chilometri lanciando in tal modo un messaggio preciso: vi uccideremo comunque. Ieri Israele ha chiarito meglio le sue intenzioni rendendo pubblica la decisione di aver posizionato un centinaio di tiratori scelti lungo il confine.
E’ facile intuire che queste provocazioni porteranno molti giovani esasperati a sfidare l’illegittima imposizione israeliana, ed è altrettanto facile intuire ciò che i media mainstream, solitamente ipnotizzati dalla narrazione israeliana, racconteranno al mondo nel caso in cui la strage annunciata si verifichi: parleranno di diritto di Israele a difendersi, fingendo di ignorare che l’unica difesa possibile è il rispetto del Diritto internazionale che Israele non ha mai rispettato. Carriarmati e cecchini uccideranno a piacere e senza processo, probabilmente Israele oggi “inaugurerà” i nuovi droni-lanciatori dall’alto di gas provocando altre vittime, ma non per questo Israele perderà il suo appellativo di Paese democratico e rispettoso dei diritti umani. I palestinesi seguiteranno a marciare e a morire indicando al mondo quel che il mondo ancora non è disposto a capire, ma loro seguiteranno con la tenacia di chi non ha da perdere che le proprie catene.