Mezzo milione a Washington, 834 marce negli Stati Uniti – a New York, Los Angeles, Atlanta, Boston, Chicago, Cincinnati, Dallas, Houston, Miami, Minneapolis, Nashville, Seattle – e in tutto il mondo: una fiumana di giovani, giovanissimi, bambini, studenti, insegnanti e attivisti ha invaso le strade e le piazze americane per dire No alle armi e chiedere leggi che mettano al bando le armi da guerra e limitino e controllino la vendita di questi micidiali strumenti di morte.
Sul palco a Washington si sono alternati discorsi, canti e testimonianze. Impressionante la forza e la determinazione dei giovanissimi che hanno trasformato lo shock e il dolore per la perdita di amici, insegnanti e compagni di scuola nella strage di San Valentino alla Marjory Stoneman Douglas High School di Parkland, in Florida, in una ribellione alla vigliaccheria e all’inerzia dei politici finanziati dalla National Rifle Association, la potente lobby che finora è riuscita a bloccare tutti i tentativi di imporre un controllo sulle armi. Quei politici ora sono avvertiti: i giovani non si limiteranno a marciare e a protestare, ma sono decisi a registrarsi per votare e far sentire la loro voce nelle prossime elezioni di mid-term, in novembre.
Il momento forse più toccante è arrivato quando Emma Gonzalez, la ragazza dai capelli rasati che costituisce ormai uno dei volti più noti del movimento guidato dagli studenti di Parkland, ha letto i nomi dei 14 studenti e dei 3 adulti uccisi il 14 febbraio scorso ed è rimasta sul palco in silenzio, con il viso rigato di lacrime, per sei minuti e 20 secondi, il tempo del massacro alla Marjory Stoneman Douglas High School. E tutta l’immensa folla l’ha seguita.
“Il momento del cambiamento è adesso”, “Quando è troppo è troppo”, “Mai più” erano gli slogan ricorrenti nei cartelli che costellavano il corteo e nei discorsi che si sono succeduti sul palco della marcia di Washington. Viene spontaneo un collegamento con i movimenti degli anni Sessanta per i diritti civili e contro la guerra in Vietnam, quando Bob Dylan cantava “The times they are a’changing” ed esprimeva la stessa insofferenza verso l’arroganza di chi liquidava ogni protesta dicendo: “Sei troppo giovane per parlare”. Un legame confermato dall’intervento dal palco di Washington di Yolanda Renee King, nove anni, una delle nipoti di Martin Luther King. “Mio nonno aveva un sogno” ha ricordato, citando il suo celebre discorso dell’agosto 1963. “Che i suoi quattro figli non fossero giudicati per il colore della loro pelle, ma per il loro carattere. Io ho un sogno: che questo sia un mondo senza armi.”
E ascoltando il video di Bernie Sanders che ringrazia gli studenti di Parkland viene da chiedersi se questo potente movimento non sia in qualche modo il risultato e la prosecuzione dell’ondata di entusiasmo e di attivismo suscitata due anni fa dalla sua candidatura a presidente. Come tante volte è successo nella storia anche recente, un movimento che pareva esaurito e sconfitto risorge tempo dopo, magari in forme e modalità diverse, ma sempre nella stessa direzione.