Nei bei giardini Al Jundi Majhul nel centro di Gaza city, sotto un sole generoso che fa già primavera, il 10 marzo si sono riunite circa duecento donne e a loro si sono uniti una ventina di uomini per riaffermare, insieme, i temi che l’8 marzo pone in maggior evidenza. La manifestazione, fatta volutamente il 10 per non confliggere con altre, è stata organizzata dall’associazione AISHA, che ha come proprio focus la protezione delle donne e dell’infanzia.
Come spiegano bene le sue rappresentanti, AISHA ha l’obiettivo di sviluppare coscienza, di far conoscere, accrescere e tutelare i diritti delle donne e di sviluppare programmi di contrasto e di difesa verso la violenza di genere.
Ad occhi occidentali, sensibili a un dettaglio che a guardarlo con sguardo diverso lo si potrebbe definire pregiudizio, sembra una contraddizione parlare di diritti e di libertà con i capelli coperti dall’ijab o, peggio, col viso coperto dal niqab. E’ un pregiudizio duro a morire almeno quanto lo è, in Occidente, il “se l’è cercata” riferito a una donna che pretende rispetto anche se veste abiti succinti. Si sa, il pregiudizio è sempre in agguato e assume molti diversi aspetti per annidarsi in menti e culture diverse.
Comunque gli ijab colorati portati con molta eleganza, pian piano hanno riempito di colore il giardino centrale, neutralizzando qualche niqab nero sotto il quale, tuttavia, le donne non si sentivano meno in diritto di partecipare alla manifestazione e di gridare, come le altre, slogan sui loro diritti.
Cartelli e striscioni hanno aggiunto altro colore e soprattutto hanno dato un ulteriore senso alla manifestazione che, a differenza delle tante altre belle iniziative che si sono svolte in Italia e un po’ ovunque, ha aggiunto agli slogan comuni a tutte le piazze anche il diritto alla libertà dall’assedio e dall’occupazione israeliana. In effetti la rivendicazione del diritto all’autodeterminazione e alla libertà era affermato anche dalle numerose bandiere palestinesi che sventolavano accanto ai cartelli femministi. Del resto la Palestina ha la sua peculiarità e, per quanto nei media occidentali le uccisioni e gli arresti pressoché quotidiani di palestinesi di tutte le età non vengano prese in considerazione, in quanto ormai pura routine fatta di numeri, qui ogni uccisione, ogni arresto e ogni ferimento non riguarda un numero, ma una persona. E quindi anche la manifestazione su temi di genere non poteva prescindere dal ricordare la necessità della lotta comune contro l’assediante. Le donne di AISHA sanno che l’occupazione e l’assedio sono un oggettivo ostacolo a percepire la cultura patriarcale per quel che è, come impedimento ai diritti paritari.
Le donne scese in piazza con cartelli violetto-femminista che rivendicano il diritto a essere la guida e non più le guidate, o con cartelli che dicono no alla violenza sulle donne o che rivendicano la necessità di capire l’importanza di essere donne con slogan del tipo “se si fermano le donne si ferma il mondo”, prendono parola a voce alta sulla politica. Alcune portano cartelli con scritto che vogliono la fine della rivalità tra Fatah e Hamas, ma dalla sintesi dello slogan si sviluppa l’analisi di alcuni interventi.
Queste donne scese in piazza per rivendicare i loro diritti di genere alzano la voce contro i vertici delle due fazioni che non trovano la possibilità di conciliarsi, regalando a Israele la loro debolezza invece che unirsi moltiplicando la loro forza. Questo dicono alcune voci dal palco degli interventi.
Sono donne giovanissime, giovani, meno giovani o decisamente anziane. Ce ne sono alcune “in rappresentanza” di quelle generazioni che in Occidente hanno contribuito a modificare la cultura patriarcale, ma ci sono quelle che non ne conoscono neanche il significato, e però sono qui. Qualcosa le ha spinte a partecipare e hanno l’aria felice di chi sente che sta scoprendo qualcosa di bello.
Intanto le donne dal palco seguitano a parlare e a dire che per sconfiggere il patriarcato bisogna prima sconfiggere l’assedio, ma che l’assedio si potrà sconfiggere solo se Fatah e Hamas uniranno le loro forze scegliendo la riconciliazione.
Non è l’animo pacifista, che a torto si ritiene sia tutto femminile, a guidare i loro discorsi, ma un preciso realismo che secondo la traduttrice, palestinese del sud della Striscia, le donne possiedono in misura superiore agli uomini. Non sappiamo se questo è vero, ma chissà che non nasca proprio dalla loro volontà quella spinta alla riconciliazione che finora sembra essere stata solo un rincorrersi di parole tra rappresentanti politici. “Senza le donne il mondo cade” recita un cartello e queste donne di tutte le età e con l’ijab di tutti i colori potrebbero essere le colonne di sostegno di una nuova fase storica. Non sarebbe l’immaginazione al potere, come si diceva negli anni “70, ma il poterlo immaginare sembra già un segnale di possibile cambiamento.