In una situazione disperata dal punto di vista dei diritti umani come quella dell’Uzbekistan, le autorità sembrano finalmente intenzionate a fare qualcosa per arginare l’epidemia della tortura.
Il 30 novembre scorso il presidente Shavkat Mirziyoyed aveva firmato un decreto in cui si proibivano l’uso in tribunale di prove estorte mediante tortura e l’emissione di sentenze basate su prove non confermate durante il processo e si obbligavano i pubblici ministeri ad accertare che l’imputato o i suoi familiari non fossero stati sottoposti a pressioni fisiche o psicologiche. Il decreto entrerà in vigore a marzo.
Nel frattempo il 31 gennaio il governo ha annunciato le dimissioni di Rustam Inoyatov, capo dell’SNB (i famigerati servizi per la sicurezza nazionale). Per 22 anni ha presieduto a migliaia di casi di tortura e ha consentito che l’impunità dilagasse.
Dopo i rapporti, le denunce e le pressioni del Relatore speciale Onu contro la tortura, del Comitato Onu contro la tortura, del Comitato Onu per i diritti umani, della Corte europea dei diritti umani e persino del Dipartimento di stato Usa, forse qualcosa in Uzbekistan si sta muovendo.