Con il risultato di 217-76, in una votazione il Parlamento canadese ha approvato il disegno di legge C-262, che prevede l’aggregazione della Dichiarazione per i Diritti delle Popolazioni Indigene alla legge del paese.
L’artefice della legge è Romeo Saganash, rappresentante della nazione del Quebec in Parlamento e membro della tribù Cree. Il disegno, da lui stesso definito come “il lavoro di una vita”, era stato presentato lo scorso aprile e immediatamente accettato; ora, dopo quasi un anno, l’approvazione finale della House of Commons e quella successiva del Senato sembrano imminenti.
A tal proposito, in un discorso tenuto alla Camera, il Presidente Justin Trudeau aveva ammesso che le promesse fatte al momento della sua elezione (avvenuta nel 2015), in merito alle popolazioni indigene, non erano state mantenute. Ha poi aggiunto che questo provvedimento sarà molto difficile da modificare in futuro, garantendo quindi una base legislativa solida dalla quale si potrà partire per migliorare la situazione dei Nativi Americani in Canada. La legge arricchirà il codice canadese con più di 26 nuovi punti, assicurando ai nativi alcuni diritti fondamentali: tra gli altri spiccano quello ad un’identità culturale, un’educazione culturalmente sensibile (anche in memoria delle famigerate “Boarding Schools”), una ben definita proprietà culturale e intellettuale e la libertà da ogni tipo di discriminazione.
Ad oggi, si contano poco meno di 1 milione di aborigeni in territorio canadese, appartenenti a molteplici tribù. La loro situazione è però tutt’altro che positiva: si stima infatti che circa il 90% delle lingue indigene siano a rischio di estinzione, il tasso di suicidio dei membri tra i 15 e i 24 anni di età è sei volte superiore alla media nazionale e le carceri sono popolate per il 26% da indigeni.
Oltre ai dati statistici sopra elencati, queste popolazioni sono sempre state bersagliate dalla legge canadese e quasi mai considerati alla pari dei loro concittadini “bianchi”. L’ultimo eclatante caso è quello dell’omicidio di Colten Boushie, un giovane Cree di 22 anni, commesso da Gerald Stanley, un agricoltore canadese, ed avvenuto il 9 agosto scorso. Il processo si è concluso la settimana scorsa con l’assoluzione totale di Stanley. Ciò che però ha destato scalpore e ha sollevato molte polemiche, è stato il fatto che gli avvocati dell’imputato siano stati in grado di manipolare la giuria, sostituendo tutti i membri indigeni (che erano cinque), con altrettanti membri bianchi.
Dopo il verdetto sono scoppiate le proteste da parte della comunità Cree, sostenuta anche da molte altre tribù indigene.
A stemprare queste tensioni ci ha provato Perry Bellegarde, rappresentate delle popolazioni indigene, che ha descritto la legge come “un passo cruciale verso la riconciliazione” nei rapporti con lo stato canadese. Nonostante la posizione di Bellegarde rappresenti quella della maggioranza dei nativi, rimane molto lo scetticismo nei confronti di Trudeau e del suo governo. Un’importante testimonianza in questo senso ci arriva da Pamela Palmater, avvocatessa e professoressa Mi’kmaw presso la “Ryerson University”. In una recente intervista, ha affermato come il Presidente “non parli mai di questioni riguardanti la sovranità sul territorio”, che costituisce probabilmente il problema più grande in tema di popolazioni aborigene. Inoltre, secondo lei “Trudeau sta approvando un insieme di leggi che gli permetteranno in futuro di aggirare e annullare i trattati precedentemente firmati dagli indigeni con lo stato canadese e in vigore da secoli”. Come se non bastasse, il governo canadese ha dimostrato anche recentemente di sostenere ancora a pieno le aziende petrolifere, autorizzando la costruzione di vari oleodotti nel paese (ultimo esempio è la “Trans-Mountain Pipeline”, tra Alberta e British Columbia). Questi progetti non solo violano gli accordi in merito di sovranità territoriale stipulati dal Canada con le comunità indigene, ma si sono più volte dimostrati poco sicuri ed estremamente dannosi per l’ambiente.
Stando ai fatti, un cauto (e comprensibile) ottimismo aleggia tra le comunità indigene: dopo secoli di oppressione e tentativi di assimilazione, il governo sembra aver intrapreso la via della pace.