Secondo la dichiarazione ufficiale della marina israeliana è colpevole di non aver risposto alla chiamata dei militari prima che questi aprissero il fuoco.

 

Domenica 25 febbraio, la marina israeliana uccide a sangue freddo un altro pescatore.

Secondo la più famosa regola del giornalismo, un cane che morde un uomo non fa notizia, è normalità. Fa notizia l’uomo che morde il cane. Quindi perché scrivere di ciò che da queste parti è routine? Che è normalità, che non fa notizia?
Semplicemente perché non ci adattiamo alla disumanizzazione di veder abbattere gli uomini come birilli in situazioni neanche di guerra, ma di illegalità quotidiana e impunita.

Questo rendere normale la criminalità israeliana non è solo dolore che porta odio da parte dei palestinesi, è un danno che riguarda tutti i paesi che si ritengono democratici, perché riduce la percezione e la distanza tra ciò che è umano, ciò che è legittimo, ciò che è criminale.

In sintesi, accettare come normale la quotidiana criminalità delle forze armate di uno Stato, seguitando a considerarlo democratico, è una ferita all’essenza stessa della democrazia. In questo senso, al di là dell’empatia umana, quella criminalità impunita ci riguarda tutti.

Tornando al caso specifico, quale la colpa del pescatore? Anzi dei pescatori, perché uno è morto e gli altri due sono stati arrestati e – conoscendo la prassi israeliana applicata ai palestinesi – potrebbero restare in prigione per mesi senza capo di imputazione preciso né processo, o anche per anni.
Dunque, quale la loro colpa? Secondo la dichiarazione ufficiale della marina israeliana sono colpevoli di non aver risposto alla chiamata dei militari prima che questi aprissero il fuoco. Dichiarazione ufficiale. Normale, no? In fondo, statisticamente parlando, lo è: Israele regolarmente uccide senza processo chi per dispetto del destino capita a tiro, in senso proprio, dei suoi militari. Quindi, data la normalità, non fa notizia.

Ma noi lo scriviamo lo stesso perché da questa non-notizia, sommata a numerose altre non-notizie simili, potrà nascere la notizia che tutti i media poi riporteranno: l’equivalente dell’uomo che morde il cane, cioè il palestinese esasperato che si scaglia con un coltello da cucina contro un rappresentante – per definizione nazionale – del potere che lo opprime, ovvero dell’esercito di quello Stato che occupa e assedia il suo popolo.

In questi giorni il padrino americano di Israele, cioè il più rozzo presidente che gli Usa abbiano avuto fino ad ora, sta lavorando duramente contro il Diritto internazionale e molti osservatori politici scommettono in un nuovo bagno di sangue. Forse i media main stream non se ne accorgeranno subito, a meno che l’esasperazione non porti al lancio di qualche missile da Gaza o all’aggressione di qualche israeliano in Cisgiordania: in quel caso il sangue farà notizia. In quel caso la prima regola del giornalismo sarà rispettata, mentre le non-notizie seguiteranno ad essere fertilizzanti per un buon raccolto di quei fiori dell’odio che la frustrazione e l’ingiustizia continuate sanno produrre.

Patrizia Cecconi
Gaza city 25 febbraio 2018