La Francia getta la maschera, denuncia la pseudo cooperazione e se ne va. Il gran rifiuto, come lo avrebbe definito Dante, è avvenuto l’8 febbraio, un’insolita scelta a fianco dei piccoli contadini africani che le multinazionali dell’agrobusiness forse non perdoneranno mai a Macron. Il programma da cui la Francia ha deciso di ritirarsi si chiama “Nuova Alleanza per la sicurezza alimentare e nutrizionale” (in sigla Nasan), un’iniziativa decisa nel corso del G8 che si tenne nel 2012 a Camp David. Al pari del titolo, dal forte richiamo biblico, anche le finalità hanno un vago sapore messianico: in 10 anni liberare dalla povertà e dalla fame 50 milioni di africani attraverso una collaborazione fra governi africani, governi dei paesi ricchi e imprese private. Ma ad una verifica di metà periodo, si scopre che il progetto è servito a creare dei paradisi fiscali agricoli, come li ha definiti l’organizzazione francese Action contre la faim: occasioni di guadagno per le grandi imprese dell’agroindustria, non di liberazione dei piccoli contadini le cui condizioni sono addirittura peggiorate. In effetti il progetto nasce dalla vecchia convinzione che per risolvere fame e povertà basta aumentare la produzione. Per cui l’unica cosa da fare è facilitare gli investimenti da parte di chi i soldi ce li ha, ossia le grandi imprese nazionali e transnazionali. Da qui la Nuova alleanza che ai governi locali chiede di mettere a disposizione terre e un contesto legislativo favorevole alle imprese, ai governi del Nord di mettere qualche soldo per la costruzione di qualche infrastruttura a titolo di cooperazione, alle imprese private di metterci gli investimenti e guadagnarci.
Le imprese che hanno aderito al progetto sono un centinaio, per investimenti complessivi dichiarati attorno ai 5 miliardi di dollari, in sei paesi: Ghana, Etiopia, Tanzania, Costa d’Avorio, Burkina Faso e Mozambico. Il progetto non prevede la trasparenza fra i propri principi, ma dalle informazioni trapelate si apprende che due multinazionali coprono da sole due quinti dell’importo: Syngenta, azienda di sementi, filiale svizzera della cinese ChemChina, con 500 milioni di investimenti e Yara, multinazionale di fertilizzanti che batte bandiera norvegese, con 1,5 miliardi di investimenti. Neanche Cargill, multinazionale agro-commerciale americana, se la cava male con 525 milioni di investimenti, per poi trovare più giù in graduatoria altre famose multinazionali come Mars, Monsanto, Louis Dreyfus. Dal che si capisce che il risultato finale della Nuova alleanza sarà un rafforzamento dei prodotti agricoli destinati all’esportazione (cacao, caffè, olio di palma) e un ulteriore spinta ai contadini africani affinché si gettino definitivamente fra le braccia dell’agricoltura industriale basata sulle sementi selezionate, fertilizzanti e pesticidi. Insomma tutto il contrario dell’idea di sovranità alimentare che ha come obiettivo la produzione per i bisogni locali e come strategia produttiva l’autoproduzione delle sementi e l’agricoltura biologica, due modi per rispettare la natura ed impedire che i contadini finiscano nella trappola dei debiti.
Già nel 2016 il Parlamento Europeo avevo chiesto all’Unione Europea di togliere il proprio sostegno al Nasan. In particolare richiamava “il pericolo di replicare in Africa lo stesso modello di rivoluzione verde attuata in Asia negli anni sessanta, senza tenere conto dei suoi impatti sociali e ambientali.” Il governo francese, che partecipava alla Nuova alleanza come partner del Burkina Faso, non ha dato una motivazione ufficiale del suo ritiro dal Nasan, ma un funzionario governativo ha dichiarato a Le Monde che «l’approccio del progetto è troppo ideologico ed esiste un vero rischio di accaparramento di terre a detrimento dei piccoli contadini». I quali confermano: «A noi che produciamo per il mercato locale, la Nuova alleanza non elargisce nessun vantaggio fiscale, mentre alle imprese che producono per l’esportazione garantisce terre e ogni altro genere di facilitazione. Dov’è l’interesse per la sicurezza alimentare del nostro paese? I piccoli contadini che assicurano il 40% del consumo interno di riso hanno mostrato di saper produrre, pur ricorrendo ai metodi di produzione tradizionale. Ciò nonostante il Nasan si prefigge di modernizzare 30 mila ettari di terreni e di assegnarne 5 mila ai villaggi. Il che significa farci passare da un’agricoltura di tipo pluviale a un’agricoltura basata sull’irrigazione artificiale. Ma la pioggia la dà la natura gratuitamente, l’acqua del sottosuolo, invece, sarà disponibile solo per chi ha soldi perché richiede macchinari ed energia. In conclusione i contadini più deboli si impoveriranno ulteriormente e la nostra sicurezza alimentare sarà sempre più a rischio.» Preoccupazioni evidentemente fatte proprie dal governo francese considerato che l’uscita dal Nasan è stata giustificata dal fatto che «la Francia preferisce dare il proprio sostegno all’agricoltura familiare attraverso un’intensificazione dell’agro-ecologia». Parole su cui meditare, specie oggi che si parla tanto di aiutarli a casa loro.
Articolo originale su Avvenire del 16/2/18