In seguito alla proclamazione dello stato d’emergenza in tutto il paese, l’Associazione per i Popoli Minacciati (APM) ha messo in guardia la comunità internazionale sul pericolo di un intensificarsi delle persecuzioni e della repressione in Etiopia. Secondo l’APM, il nuovo stato di emergenza, proclamato a pochi mesi dalla fine del precedente stato di emergenza nella regione dell’Oromia, non servirà a garantire la pace e la stabilità, come sostiene il governo etiope, ma rischia di innescare solo ulteriori violenze. Durante i dieci mesi di stato di emergenza valido solo per la regione dell’Oromia e terminato nell’agosto del 2017 le forze di sicurezza hanno arrestato arbitrariamente più di 22.000 persone appartenenti al gruppo degli Oromo, di cui molti sono ancora in carcere.
Il paese segnato da gravi violazioni dei diritti umani e da continua violenza non ha bisogno di un nuovo stato di emergenza ma di riforme, di diritto e di reale democrazia. L’APM si appella anche all’Unione Europea affinché condanni questa nuova limitazione dei diritti umani e continui, come fatto finora, a voltarsi dall’altra parte. Durante i 10 mesi di stato di emergenza terminato lo scorso agosto (ottobre 2016 – agosto 2017), l’UE ha fatto finta di non vedere il grave peggioramento della situazione dei diritti umani e sembra essersi accorta di quanto succedeva nel paese africano solamente nel febbraio 2018 quando grazie ad un’amnistia sono stati liberati centinaia di prigionieri politici. Lunedì 12 febbraio la cancelliera tedesca Angela Merkel ha sentito telefonicamente l’allora premier etiope Hailemariam Desalegn per congratularsi per la liberazione dei prigionieri politici e auspicando maggiori riforme. A meno di una settimana si temono ora nuove limitazioni della libertà di movimento, nell’uso di internet, dei social media e della telefonia mobile e nuovi arresti arbitrari.
Lo scorso 15 febbraio il premier etiope Hailemariam Desalegn, in carica fin dal 2012, ha improvvisamente e a sorpresa rassegnato le dimissioni. Poco prima le forze di sicurezza del suo governo avevano represso nel sangue lo sciopero generale proclamato nello stato federale dell’Oromia causando almeno dieci morti e tredici feriti. Nonostante la politica di brutale repressione di ogni protesta, dal 2014 si susseguono le proteste di massa di Oromo e Amhara. Più di 2.000 persone sono morte durante le proteste e diverse migliaia di persone sono state arrestate arbitrariamente. Migliaia di persone risultano ancora arbitrariamente detenute nonostante la recente amnistia.
La recente storia etiope è segnata da decenni di impunità, arresti arbitrari, tortura, massacri e omicidi politici. Se il paese intende veramente intraprendere la strada della pace duratura deve fare luce sul proprio passato e dare spazio alle organizzazioni per i diritti umani che finora sono state sistematicamente messe a tacere. Senza delle riforme che garantiscano lo stato di diritto e i fondamentali diritti umani continuerà anche la fuga in massa di persone appartenenti ai gruppi degli Oromo e degli Amhara. I 42 milioni di Oromo costituiscono il maggiore gruppo etnico dell’Etiopia ma subiscono da decenni una repressione sistematica che li spoglia dei loro diritti e priva della loro base esistenziale. Il malessere diffuso riguarda anche gli Amhara nel nord del paese e altri piccoli gruppi nel sud dell’Etiopia.