Mancano pochi giorni alle elezioni politiche e sempre più spesso si sente dire che, se dopo il voto non ci sarà una coerente maggioranza in Parlamento, si dovrà tornare al più presto alle urne. Tralasciando il fatto non indifferente che questa eventuale decisione spetta al Presidente delle Repubblica, si pone una logica domanda: se non si modificasse la legge elettorale, che cosa cambierebbe andando a rivotare dopo pochi mesi?
In attesa di vedere ciò che effettivamente accadrà, è il caso di sottolineare alcuni aspetti della nuova legge elettorale, il cosiddetto Rosatellum, che pur essendo secondari mostrano come dietro la tecnica elettorale ci sia una certa dose di astuzia ma anche di irragionevolezza. Anzitutto, questa legge elettorale è stata approvata dal Parlamento nel novembre 2017. In realtà, non si dovrebbero modificare i sistemi elettorali poco prima del voto. Lo stabilisce «il codice di buona condotta in materia elettorale», un documento predisposto dalla Commissione di Venezia (2002) e approvato dal Consiglio d’Europa (2003): «gli elementi fondamentali del diritto elettorale, e in particolare del sistema elettorale, la composizione delle commissioni elettorali e la suddivisione delle circoscrizioni non devono poter essere modificati nell’anno che precede l’elezione».
Da 25 anni gli eletti non dipendono dagli elettori: i parlamentari di fatto vengono nominati dai partiti che li candidano. In teoria l’eletto dovrebbe rappresentare la Nazione senza vincolo di mandato (art. 67 Costituzione). In realtà il parlamentare deve tutto al partito o alla coalizione che l’ha candidato. Il Rosatellum, come già il Mattarellum e il Porcellum, nella parte proporzionale non prevede la possibilità di indicare preferenze per i candidati. L’elettore può soltanto dare il voto alla lista, mentre gli eventuali eletti saranno determinati dall’ordine in cui il partito li ha collocati nella lista. Inoltre, anche l’ordine della lista rischia di essere ingannevole per gli elettori, a causa del gioco delle pluricandidature, che impediscono di capire chi effettivamente potrebbe essere eletto in un determinato collegio. La nuova legge elettorale prevede infatti la possibilità di candidarsi contemporaneamente in un collegio uninominale e in cinque collegi proporzionali. Con l’effetto che alcune candidature sono specchietti per le allodole.
Non solo: dato l’obbligo dell’alternanza di genere, la pluricandidatura diventa una strategia per aggirare l’ostacolo. Se ad esempio un partito candidasse una donna in un collegio uninominale e contemporaneamente in cinque collegi proporzionali al primo posto e se questa persona venisse eletta in tutti i collegi, accade che in realtà il seggio scatterà nel collegio uninominale ma nei collegi proporzionali verranno eletti i secondi in lista, che per legge devono essere tutti uomini. In altre parole, la novità del Rosatellum che pone il tetto del 60% di candidati di un genere, vale soltanto per le candidature, ma ad esempio, utilizzando strumentalmente le pluricandidature, si può ottenere una forte disparità di genere tra gli eletti.
A proposito di pluricandidature: nel caso di elezione di un candidato in più collegi, la legge elettorale – dovendo osservare una precisa indicazione della Corte Costituzionale – non consente più di scegliere in quale collegio farsi eleggere. Giustamente sono gli elettori che dovrebbero scegliere i candidati e non viceversa. Logica vorrebbe che il candidato venisse eletto nel collegio dove ha ricevuto più voti. Il Rosatellum – pare incredibile – stabilisce invece che venga eletto dove ha ricevuto meno voti!
C’è anche un’altra novità, che sovverte la tradizione: nel caso (estremamente improbabile) in cui in un determinato collegio uninominale i due candidati più votati ottenessero gli stessi voti, verrebbe eletto il più giovane. La norma pare poco sensata, perché in tutti i casi analoghi finora si era sempre scelto il più anziano, dato che anziano significa proprio che viene innanzi e soprattutto perché il più giovane ha maggiori possibilità in futuro di svolgere il medesimo ruolo o servizio. Ma che cosa accade quando un parlamentare eletto in un collegio uninominale si dimette o muore? Si rifanno le elezioni in quel collegio. Qui sorge un problema. Nel voto iniziale, i consensi dati all’eletto nel collegio uninominale sono stati attribuiti anche nel calcolo dei seggi del proporzionale. Rifacendo le elezioni, questo non accade più: il voto è limitato al maggioritario. Il che significa che nella votazione suppletiva gli elettori non dispongono più del potere elettorale originario.
Infine, la Costituzione stabilisce che i cittadini italiani residenti all’estero eleggano 12 deputati e 6 senatori. Il Rosatellum prevede che nella «circoscrizione estero» possano candidarsi anche i residenti in Italia. La norma è evidentemente incoerente, perché sarebbe logico pensare che siano proprio alcuni cittadini italiani residenti all’estero a rappresentare le istanze dei cittadini che si trovano in analoga situazione di residenza. A meno che la norma serva a candidare chi non ha trovato posto nelle liste sottoposte ai residenti in Italia…
Tutti questi aspetti possono essere considerati dettagli secondari, ma servono anche a svelare la bassa “qualità” della legge elettorale. Vale la pena di ricordare che è stata approvata con il voto favorevole di: Partito Democratico (Renzi), Alternativa Popolare (Alfano), Forza Italia (Berlusconi), Lega Nord (Salvini) e ALA (Verdini). Hanno votato contro: Movimento 5 Stelle (Di Maio), Liberi e Uguali (Grasso) e Fratelli d’Italia (Meloni). Teniamone conto.
Nota: per i più rilevanti difetti del Rosatellum si veda: www.pressenza.com/it/2017/11/rosatellum-legge-elettorale-tradisce-principi-costituzionali/