Dall’asse Berna – Dacca ai rapporti diplomatici con la Birmania.
E’ terminata ieri la visita di Alain Berset, Presidente della Confederazione Svizzera, in Bangladesh. Il premier ha trascorso due dei quattro giorni a Dacca, spostandosi successivamente al confine con la Birmania, dove ha visitato uno dei campi profughi che accolgono i rifugiati Rohingya.
La Svizzera ha infatti da poco donato 12 milioni di franchi, che vanno a sommarsi agli 8 già versati in precedenza, per la causa Rohingya, che attanaglia Bangladesh e Birmania ormai da parecchi mesi.
Alla base dell’accordo ci sono i rapporti commerciali tra le due nazioni, da sempre ottimi, ulteriormente rinforzatisi negli ultimi anni.
L’intervento della comunità internazionale, a più riprese richiesto da molte associazioni umanitarie (su tutte Amnesty International), sembra quindi non essere stato del tutto ignorato. Ciò che però Matthew Wells (responsabile di Amnesty per le crisi) ribadisce, è la necessità di una presa di posizione forte ed autoritaria da parte dell’ONU. In un’intervista concessa Giovedì 8 Febbraio a “TRTWorld”, emittente televisiva con sede a Istanbul, ha nuovamente sottolineato come la semplice condanna della pulizia etnica ai danni della minoranza musulmana non sia più sufficiente. Ha poi esplicitamente richiesto provvedimenti i cui effetti siano tangibili, che abbiano cioè dirette conseguenze nel paese: tre esempi da lui citati sono l’embargo delle armi, sanzioni economiche ai danni degli ufficiali responsabili dei massacri e accesso libero alle organizzazioni umanitarie internazionali nello stato del Rakhine.
Quelle avanzate da Wells sono certamente proposte condivisibili, implicano però una collaborazione del governo birmano, ed in particolare della leader Aung San Suu Kyi, fino ad ora sempre negata.
Sia Berset che Wells sono dell’avviso che il rimpatrio dei profughi sia per ora prematuro, e che, qualora dovesse concretizzarsi in futuro, dovrebbe avvenire in totale accordo con i Rohingya. C’è anche però chi la pensa diversamente: Bill Richardson, ex Governatore del New Mexico ed ora membro del Partito Democratico negli States, sostiene infatti che l’applicazioni di sanzioni sulla Birmania avrebbe l’unico effetto di inasprire i già non facili legami tra lo stato asiatico e l’ONU. Secondo lui, la soluzione sarebbe quella di continuare sulla via del dialogo, e di persuadere la leader e Nobel per la Pace birmana a prendere coscienza della crisi. Nonostante ammetta che Suu Kyi viva “in una bolla”, si dice fiducioso che un approccio di questo tipo possa avviare il conflitto verso un’auspicata soluzione pacifica.
Alain Berset in Bangladesh visita i campi Rohingya
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