Amnesty International ha sollecitato i leader e i rappresentanti di 23 paesi, dell’Onu, della Nato e dell’Unione europea che prendono parte nella capitale afgana al “Kabul Process”, a mettere al centro dei colloqui la protezione dei civili e la ricerca della giustizia per i crimini di guerra e contro l’umanità commessi in Afghanistan.
Il “Kabul Process” è stato convocato per discutere di sicurezza e contrasto al terrorismo.
“La principale questione legata alla sicurezza è quella che riguarda la vita della popolazione civile. Nelle ultime settimane l’orrore visto negli anni scorsi si è dispiegato in pieno nelle strade di Kabul, dove i civili sono stati spietatamente colpiti in attacchi che costituiscono crimini di guerra”, ha dichiarato Omar Waraich, vicedirettore di Amnesty International per l’Asia meridionale.
“Sentiamo continuamente parlare, tanto il governo afgano quanto la comunità internazionale, delle loro preoccupazioni per la vita dei civili ma tanto l’uno quanto l’altra non hanno posto la protezione dei civili al centro delle loro politiche”, ha aggiunto Waraich.
Vittime civili
Il “Kabul Process” si svolge in un clima di incessante violenza. Nell’attentato più sanguinoso del 2018, quello del 27 gennaio, i talebani hanno fatto saltare in aria un’ambulanza riempita di esplosivo in una strada affollata nel centro di Kabul, causando 95 morti e 158 feriti.
Secondo la Missione di assistenza delle Nazioni Unite in Afghanistan (Unama), il 2017 è stato il quarto anno consecutivo in cui il numero delle vittime civili, tra morti e feriti, ha superato quota 10.000.
Nel 2017 gli attentati suicidi e gli attacchi indiscriminati e illegali con ordigni esplosivi improvvisati sono stati la prima causa dell’elevato numero di vittime civili. Il peggiore episodio è stato quello del 31 maggio, quando a Kabul sono stati uccisi 92 civili e ne sono stati feriti altri 500.
Sempre nel 2017 le forze legate al governo, sia quelle afgane che quelle internazionali, sono state responsabili di un quinto delle vittime civili. L’Unama ha documentato 295 morti da attacchi aerei, il numero più alto da quando, nel 2009, ha iniziato a documentarli.
Attacchi contro manifestanti
Quando, nel giugno 2017, vi sono state proteste contro la violenza, le forze di sicurezza hanno usato la forza in modo illegale, uccidendo sei manifestanti e ferendone oltre una decina. Nessuno è stato chiamato a rispondere.
“Le autorità afgane dovrebbero destinare le loro risorse alla protezione dei civili. Invece di ascoltare le richieste di giustizia provenienti dalla popolazione, hanno brutalmente attaccato i manifestanti e limitato il diritto alla libertà di manifestazione”, ha sottolineato Waraich.
Ritorni forzati di richiedenti asilo
I paesi europei, molti dei quali partecipano al “Kabul Process”, stanno procedendo al rimpatrio forzato di richiedenti asilo afgani anche se la violenza continua ad affliggere ogni parte del paese.
“Sostenendo una pericolosa bugia, e cioè che l’Afghanistan sia un paese sicuro, i governi europei stanno mettendo in pericolo la vita delle persone che rimandano indietro. Questi ritorni forzati dovrebbero cessare immediatamente”, ha detto Waraich.
Le indagini del Tribunale penale internazionale
Fino a quando le autorità afgane e i loro alleati continueranno a non assicurare giustizia alle vittime dei crimini di diritto internazionale commessi nel paese, l’unica speranza di giustizia resterà un’indagine da parte del Tribunale penale internazionale.
Da questo punto di vista, Amnesty International ha apprezzato il fatto che il 20 novembre 2017 la procuratrice del Tribunale abbia richiesto l’autorizzazione ad avviare un’indagine su possibili crimini di guerra e crimini contro l’umanità commessi nel contesto del conflitto armato a partire dal 1° maggio 2003.
“Le autorità afgane devono compiere tutti i passi necessari per assicurare che coloro che sono ragionevolmente sospettati di atrocità di massa siano portati di fronte alla giustizia e processati in modo equo, senza ricorso alla pena di morte. È stata l’evidente e continua mancanza di giustizia da parte del governo di Kabul a costringere il Tribunale penale internazionale a intervenire. L’Afghanistan non può continuare a venir meno alle sue responsabilità verso le vittime di crimini orribili”, ha dichiarato Solomon Sacco, direttore del programma Giustizia internazionale di Amnesty International.