Abbiamo intervistato Tomás Hirsch, storico esponente umanista cileno appena eletto deputato nel Frente Amplio, che compirà tra poco un viaggio in Europa per incontrare esponenti di forze politiche progressiste e movimenti sociali. In Italia parteciperà all’incontro che si terrà alla Casa della Cultura di Milano mercoledì 31 gennaio.
Il Frente Amplio si è formato nel gennaio 2017, ma anche prima di allora ci sono stati molti tentativi di lavorare insieme tra le forze politiche progressiste cilene. Puoi tracciare una breve sintesi di questo percorso, con i suoi diversi momenti?
Fin dall’epoca della dittatura in Cile ci sono sempre stati tentativi e tendenze alla convergenza tra le forze politiche. Si tratta di una costante che fa parte della storia del processo politico cileno. Se si guarda più indietro, il governo di Salvador Allende era quello dell’Unidad Popular e prima ancora c’era il Frente Popular. Dunque direi che la formazione di coalizioni che lavorano insieme sta nel DNA della politica cilena; tutto ciò ha un grandissimo valore, perché ci ha formato in una costruzione che valorizza la diversità. Molte volte questo si è rivelato difficile, ma comunque è sempre stato presente.
Il ritorno della democrazia è il risultato della convergenza di forze politiche molto diverse, da quelle più conservatrici a forze di sinistra e marxiste.
Come Partito Umanista abbiamo sempre partecipato a questo tipo di intenzioni convergenti, con la Concertación, nella candidatura a presidente di Cristián Reitze con la Nueva Izquierda, con Juntos Podemos e poi nel Frente Amplio. Dunque quello che stiamo vivendo oggi ha molti antecedenti, viene da un processo. Ci sono anche difficoltà, causate dalla tendenza a moltiplicare la frammentazione all’interno di queste diversità, una caratteristica della sinistra cilena. Qui la sinistra è divisa in 20, 30 o 40 micro partiti, micro organizzazioni, alla ricerca permanente di un modo per unirsi e convergere, cosa che sta succedendo anche oggi.
Quali sono a tuo parere gli elementi essenziali che hanno consentito la creazione di un’alleanza così ampia e che, al di là delle differenti situazioni sociali e politiche, si potrebbero riprendere anche in altri paesi?
Credo che ci siano vari fattori. Da un lato un profondo logoramento delle coalizioni tradizionali, che hanno gestito il modello politico ed economico del paese per più di 25 anni. Un degrado in termini di credibilità, di mancanza di un progetto, di perdita di leadership e di capacità di dare riferimenti. Insomma, in ogni senso.
In secondo luogo, il fatto che il Partito Comunista sia entrato nel governo ha lasciato uno spazio perché altre organizzazioni si sentissero forse più libere di cercare una convergenza. Nella sinistra tradizionale c’è la tendenza a una relazione di amore-odio con il Partito Comunista, che non coinvolge il Partito Umanista, ma fa sì che molte organizzazioni finiscano per agire in relazione o in funzione di quello che fanno o non fanno i comunisti. Storicamente il PC è stato la forza politica di sinistra più chiara, meglio organizzata, con maggiore permanenza nel tempo. Con la caduta del socialismo reale e dell’URSS, è riuscito comunque a mantenere una coesione e un costante appoggio elettorale, con un 6 o 7% dei voti.
Un terzo elemento, direi, riguarda il fatto che i movimenti studenteschi del 2011– frutto dell’esperienza di altri paesi, soprattutto la Spagna – hanno compreso l’importanza di organizzarsi a livello politico, senza limitarsi alla dinamica studentesca e alle rivendicazioni puntuali. Hanno capito molto rapidamente che era necessario avanzare verso la proposta di trasformazione strutturale del modello. Questo ha permesso di lavorare insieme per un progetto più a lungo termine, non solo nella lotta per un’educazione con certe caratteristiche.
Che ruolo ha avuto a tuo parere la candidatura “femminista” di Beatriz Sanchez nel risultato ottenuto dal Frente Amplio? E le proposte di rottura come quella di tassare i super ricchi?
Credo che la proposta di tassare i super ricchi non abbia influito affatto sul risultato. Credo che sia stata poco conosciuta e poco compresa; qui c’è molta paura ogni volta che si parla di tasse. In generale il Cile è un paese conservatore. A parte questo, direi che invece abbiano contato molto il fatto che Beatriz fosse una donna con una posizione femminista e l’alto numero di candidate donne all’interno della coalizione.
Se studiamo i voti ottenuti dal Frente Amplio, si nota chiaramente una maggiore tendenza ad appoggiarlo da parte delle donne. Le donne hanno votato più degli uomini e sono state elette in proporzione maggiore rispetto alle altre coalizioni. I consiglieri regionali eletti sono tutte donne. Le deputate sono 7 su 20; è una minoranza, certo, ma corrisponde al 35%, ossia al triplo della percentuale nazionale, che non arriva al 14%. Dunque c’è una differenza importante.
Il programma di governo di Beatriz Sánchez contiene molti elementi che si potrebbero definire femministi, ma io direi che ciò che ha avuto più influenza è stato il suo atteggiamento, il suo stile e il suo tono. Un tono non solo femminista, ma soprattutto molto onesto, molto trasparente, molto paritario, molto orizzontale, molto sincero. In una situazione in cui la politica ha perso ogni credibilità, in cui qualsiasi politico risulta sospetto – e con buoni motivi – una donna che è stata giornalista, famosa per non avere peli sulla lingua e dire in modo franco e diretto quello che molta gente – milioni di persone – sente, ha prodotto una grandissima empatia con la sua candidatura.
Potrei affermare che il maggiore impatto sia stato prodotto da una frase che Beatriz ha pronunciato il primo giorno della campagna elettorale: “Il fatto che io sia candidata dimostra che nel nostro paese qualsiasi persona può candidarsi ed essere eletta alla presidenza del Cile”. Credo che questa affermazione abbia avuto più effetto di molte delle proposte. Mi pare che le proposte del “Programa de Muchos” (il Programma dei Molti) abbiano dato un inquadramento, un tono generale, ma che non siano state loro a spingere la gente ad appoggiarlo. Se chiediamo a chi ci ha votato quante proposte si ricordano, di sicuro citeranno l’educazione gratuita e la fine della gestione privata delle pensioni, però ci sono molti altri che sostengono questi punti. Dunque credo che la cosa più importante sia stata il suo stile.
Dopo l’elezione a presidente di Sebastian Pinera tu hai affermato che “oggi in Cile sono rimasti in piedi due grandi progetti: quello della destra e quello del Frente Amplio”, mentre la Nueva Mayoria, al governo in questi ultimi anni, è praticamente scomparsa. Qual è il progetto a lungo termine del Frente Amplio?
Innanzitutto voglio ripetere quello che ho già detto. E’ vero, la Nueva Mayoría non ha più un progetto politico e sociale, un progetto di trasformazione del paese. Si è trasformata in una società anonima, in una società di convenienza, ma senza un progetto sociale.
La destra ha un progetto – su questo non ci sono dubbi. Non ci mettiamo a parlarne, ma è chiaro che ce l’ha.
E il Frente Amplio ha un progetto a lungo termine, ossia costruire una società basata sui diritti. Oggi non viviamo in una società dei diritti, ma in una società individualista e competitiva, che valorizza il successo personale. A qualcuno può andare bene, è una società in cui si suppone che chi ce la mette tutto avrà successo, potrà consumare tutto quello che vuole e magari godersela, ma in cui certi diritti fondamentali sono soggetti alla logica del mercato.
Il progetto del Frente Amplio punta a recuperare o instaurare, perché molte volte questo non è mai avvenuto, una società dei diritti, in cui come minimo la sanità, l’istruzione, la casa, il lavoro, l’ambiente e le pensioni siano diritti fondamentali.
Una società in cui il diritto a vivere come voglio, con la mia diversità, ossia tutto quello che ha che fare con i valori, sia davvero tale e non debba dipendere dall’accettazione o meno da parte per esempio di una certa gerarchia ecclesiastica
Un secondo grande tema a lungo termine per il Frente Amplio è la costruzione di una società che decentralizzi il potere. Il potere economico, ma anche quello politico, etnico – oggi un’etnia ha potere sulle altre – e geografico – oggi il potere è concentrato a Santiago.
Il terzo tema riguarda una società che si democratizzi, in cui i cittadini acquistano un protagonismo sempre maggiore nelle decisioni. Questo ha a che vedere con un’Assemblea Costituente, con leggi di iniziativa popolare, con la revoca del mandato, con referendum, con meccanismi di partecipazione sociale.
Questi tre temi costituiscono il nostro progetto a lungo termine e sono stati spiegati molto bene da Beatriz nella sua campagna.
Come vedi i quattro anni di opposizione che vi aspettano a partire da marzo, quando entrerà in carica il nuovo Parlamento?
Abbiamo 20 deputati e deputate e un senatore. Credo che sarà un gruppo parlamentare importante e incisivo, ma è molto improbabile che vengano approvate leggi basate sui nostri progetti. Noi presenteremo molti progetti di legge che vanno nella direzione di cui abbiamo parlato, ma lo faremo soprattutto per indicare una strada, per mostrare alla gente che un Cile differente è possibile. E questo ha a che vedere con il fatto che tra quattro anni vogliamo essere in condizioni di andare al governo. E per poter andare al governo vogliamo mostrare una grande quantità di progetti di legge nella direzione della società a cui aspiriamo. E’ molto improbabile, se non impossibile, che le nostre proposte vengano approvate e di questo siamo molto coscienti.
Opporremo a ogni progetto di Piñera una proposta alternativa, invece di limitarci a criticarlo. Diremo: “Questo non va bene, ma c’è quest’altra opzione.” Probabilmente perderemo, perché non avremo la maggioranza, ma la proposta sarà là e verrà presentata pubblicamente. In questo senso diciamo che sono rimasti in piedi solo due progetti.
C’è un secondo punto importante, su cui probabilmente faremo accordi con altri, che riguarda la difesa dei pochi progressi fatti in relazione a certi diritti. La storia non è lineare, ci sono molti avanzamenti ed è possibile che il governo di Piñera pretenda di tornare indietro o di cancellare alcune conquiste. Ci sono stati progressi nel campo delle imposte, dei valori e dell’educazione e pur considerandoli insufficienti non vogliamo assolutamente tornare indietro. Cercheremo di costruire delle maggioranza per opporci a questa possibilità.
In tutto il mondo si stanno manifestando movimenti e forze politiche critici nei confronti di chi detiene il potere e decisi a superare un sistema come quello liberista, basato sulla disuguaglianza e la violenza. Il Frente Amplio si può inserire in questa nuova sensibilità? Quali sono gli errori da evitare e i punti di forza da valorizzare e mantenere?
Innanzitutto dobbiamo mettere l’accento sulla valorizzazione della diversità e sulla partecipazione non solo delle forze politiche, ma anche delle organizzazioni sociali. Questo è un tema fondamentale ed è in relazione con quello della valorizzazione della diversità. Significa incoraggiare una molteplicità di leadership in tutti i campi, di tutti i tipi, non monopolizzare, non egemonizzare – un linguaggio tipico di questo campo – non pretendere di imporre i propri punti di vista. Questo è fondamentale quando si lavora in una coalizione ampia come la nostra e come quelle presenti in altri paesi.
Credo inoltre che non si debba mai perdere la capacità di dialogare con altri diversi da noi. E’ molto importante essere capaci di costruire maggioranze su determinati temi. Da questo punto di vista credo che in questo momento un atteggiamento fondamentalista non convenga e non aiuti. Viviamo in una società che ha bisogno di una grande flessibilità tattica, molto veloce e questa flessibilità richiede risposte rapide.
Mi pare inoltre che sia necessario mantenere molti legami con altre organizzazioni di altre parti del mondo. Là c’è molta esperienza da conoscere e su cui interscambiare. Nessuno ha la verità in tasca. Noi stiamo in Cile, però cosa stanno facendo in Uruguay, dove il Frente Amplio esiste da trent’anni? Cosa stanno facendo in Francia con France Insoumise? E in Egitto, con una situazione diversa e molto complessa, con dittature di mezzo? Credo che sia molto importante raccogliere queste esperienze, avere uno scambio intenso e ricco.
Nel tuo imminente viaggio in Europa incontrerai vari esponenti di questa nuova sensibilità, di correnti simili che si stanno affermando. C’è già un programma definito?
Abbiamo definito un programma di riunioni che si va ampliando in questi giorni e ci entusiasma molto. Per il momento sono confermati incontri con umanisti di diversi paesi europei, con amici del Frente Amplio, con esponenti della società civile e con movimenti sociali almeno a Milano e a Madrid. Poi incontreremo alcuni leader progressisti come Melanchon a Parigi, la gente di Podemos a Madrid – Pablo Iglesias o Iñigo Errejón – i collaboratori di Ada Colau a Barcellona, forse Varoufakis ad Atene. E’ possibile che si aggiungano riunioni in altri paesi.
Come credi che si possa contribuire al dialogo e ai vincoli tra queste forze emergenti? E’ possibile puntare a un movimento internazionale? Come creare reti tra forze politiche e sociali, mantenendo una sintonia internazionale?
Credo che costruire reti e legami internazionali sia un’ottima idea, a partire da quel principio di cui abbiamo già parlato tanto, ossia la valorizzazione della diversità e il riconoscimento del fatto che le esperienze degli altri ci possono essere utili. Queste relazioni dovrebbero essere meno burocratiche possibile, senza tentare di imporre certi punti di vista. Non credo sia il caso di tornare a formare un’Internazionale – né l’Internazionale Umanista, né quella Comunista o Socialista. Niente di tutto questo.
Non si tratta di orientare niente, ma di creare ambiti di interscambio di esperienze, di raccogliere esperienze, come facciamo per esempio nel Club Umanista. Ognuno compie azioni diverse, si nutre di questa esperienza e contribuisce con ciò che ha potuto ricavarne per interscambiare con altri. Anche se i temi sono molto diversi, il contributo che gli altri possono dare alla sua azione è comunque utile. Questa mi sembra una forma molto adatta ai tempi attuali. E’ una questione di dialogo, in cui ognuno dà il meglio mettendo a disposizione ciò che può servire all’altro, più che sottolineare in modo esagerato il suo punto di vista. Insomma, uno contribuisce con quello che ritiene utile per altri processi. Se si riuscisse a fare questo a livello internazionale, con organizzazioni molto diverse tra loro, sarebbe un grande guadagno per tutti.
Traduzione dallo spagnolo di Anna Polo