L’Islanda non sta aspettando che il divario retributivo di genere si risolva da sé: a partire dal primo gennaio è illegale che i datori di lavoro paghino meno le donne degli uomini e sia i datori di lavoro pubblici che privati con 25 o più dipendenti dovranno ottenere annualmente la certificazione governativa di parità salariale, chi non sarà in regola dovrà pagare multe salatissime. Una legge che verrà attuata dalla nuova premier islandese, la 42enne Katrín Jakobsdóttir, leader della Vinstrihreyfingin – grænt framboð (Sinistra –Movimento Verde), ma che era stata approvata insieme dal precedente governo di centro-destra e dall’opposizione di centro-sinistra.
Finora in Islanda i salari medi delle donne erano solo il 70,3% della retribuzione media degli uomini. La legge prevede di attuare l’Equal Pay standard e l’ex governo di centro-destra aveva dichiarato che «L’uguaglianza in senso lato è parte integrante di una società giusta ed equa. L’uguaglianza del mercato del lavoro è un aspetto importante di tutto questo».
L’Islanda vuole così accelerare il processo che in Italia è così lento da essere quasi immobile: Dagny Osk Aradottir Pind, del Kvenréttindafélag Íslands (Icelandic Women’s Rights Association – Iwra) ha detto ad Al Jazeera: «Avevamo da decenni una legislazione che dice che la retribuzione dovrebbe essere uguale per uomini e donne, ma abbiamo ancora un divario salariale». Ma in un paese dove il Parlamento è costituito quasi al 50% da donne è stato finalmente possibile passare dalle parole ai fatti. E i fatti sono anche che l’Islanda è al primo posto nella sottoclassifica, dell’empowerment politico, cioè nella partecipazione delle donne alla vita politica, del Global Gender Gap Report 2017 del World economic forum, dove l’Italia occupa un 46esimo posto (0.234 punti), sideralmente distante dall’Islanda (0.750) e dagli altri paesi della Top ten: Nicaragua (0.576), Rwanda (0.539), Norvergia (0.530), Finlandia (0.519), Irlanda e Bangladesh (0.493), Svezia (0.486), Francia (0.453), Germania (0.447), ma anche dagli Usa che si fermano al 96esimo posto con solo il 19% di donne elette al Congresso. facendo peggio anche di Nepal, Algeria e Pakistan.
Ma il nostro paese precipita addirittura al 118esimo posto (0.571 punti) quando si passa alla partecipazione e le opportunità economiche. La lista dei primi 10 paesi dove la partecipazione all’economia e le opportunità per le donne sono maggiori è abbastanza sorprendente: Burundi (0,911 punti), Barbados, Bahamas, Benin, Bielorussia, Botswana, Rwanda, Norvegia, Namibia e Guinea, mentre all’11esimo posto c’è la Moldova, che esporta badanti, che precede la ricchissima Svezia, dove le badanti emigrerebbero più che volentieri. La top ten è costituita – tolte la Norvegia e le turistiche Bahamas – quasi esclusivamente da paesi poveri, dove l’agricoltura familiare e il piccolo commercio (e quindi il reddito) sono spesso nelle mani e sulle spalle delle donne. I paesi dove la differenza di reddito tra uomini e donne è più alta e le opportunità di lavoro femminile più basse sono: Egitto, Timor Este, Marocco, Giordania, India, Iran, Yemen, Arabia Saudita, Pakistan e Siria, ultima con lo 0.274-
Secondo il Global Gender Gap Report 2017. che esamina il divario di genere in 144 Paesi del modo analizzandolo in 4 categorie: partecipazione e opportunità economiche, livello di istruzione, salute e sopravvivenza e empowerment politico. l’Islanda è già, con 0.878 punti, il paese migliore al mondo per le donne, seguito da Norvegia (0.830), Finlandia (0.823), Rwanda (0.822), Svezia (0.816), Nicaragua (0.814), Slovenia (0.805), Irlanda/Eire (0.794), Nova Zelanda (0.791) e Filippine (0.790) In questa classifica generale l’Italia si ferma a un poco onorevole 82esimo posto, con un punteggio di 0.692 come Grecia, Belize, Madagascar e Messico. Precediamo di un millesimo paesi come Myanmar, Indonesia e Kirghizistan. Siamo però fortunatamente distanti dai 10 paesi che chiudono la classifica e dove per le donne la vita è davvero difficile: Giordania (0.604 punti), Marocco (0.598), Libano (0.596), Arabia Saudita (0.584), Mali e Iran (0.583), Ciad (0.575), Siria (0.568), Pakistan (0.546) e Yemen (0.516).
L’Italia risale al 60esimo (0.995) per livello di istruzione, ma qui i paesi a punteggio intero 1, dove è stata raggiunta la parità di istruzione uomo/donna, sono ben 27: Australia, Bahamas, Barbados, Belgio, Botswana, Brasile, Canada, Cuba, Repubblica Ceca, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Irlanda, Israele, Jamaica, Lettonia, Lesotho, Lituania, Lussemburgo, Maldive, Malta, Olanda, Filippine, Slovacchia, Slovenia e Usa. I 10 paesi dove il gap di istruzione tra uomini e donne è più forte e l’analfabetismo femminile ancora diffuso sono Nigeria, Pakistan, Costa d’Avorio, Liberia, Angola, Mali, Yemen, Benin, Guinea e Ciad, ultimo a 0.572 punti.
L’Italia sprofonda addirittura al 123esimo (0.967 punti) per salute e sopravvivenza, ma qui, anche se i distacchi tra i diversi paesi sono molto più ridotti, c’è davvero qualcosa che non quadra, visto che l’Italia è uno dei paesi più longevi del mondo – e le donne lo sono ancora di più – e il nostro sistema sanitario di assistenza universale, nonostante le sue pecche, è invidiato da molti, anche dei 34 paesi che condividono la testa della classifica a punteggio pieno. Questa sottoclassifica del Global Gender Gap Report 2017 è chiusa dalla Cina con 0,918 punti, preceduta da Iran, Bahrain, Bhutan, Vietnam, Mali, Pakistan, India, Azerbaigian e Armenia.
Fonte: greenreport.it