Yemen, Rohingya, Siria, Repubblica Centrafricana. Sono solo alcune delle crisi più o meno dimenticate di cui i media mainstream raramente si occupano.
Le periferie del mondo sono state per tutto il 2017 il fanalino di coda dell’informazione come evidenziato dall’ultimo rapporto dell’Osservatorio di Pavia realizzato quest’anno per Cospe, Fnsi e Usigrai. Negli anni presi in considerazione dalla ricerca (2012- 2017) le maggiori tv italiane hanno dedicato solo l’1% di visibilità (492 notizie totali per una media di 7 notizie al mese per tutti i telegiornali) con un lieve ma ulteriore peggioramento nel secondo semestre di quest’anno (79 notizie dal 2015 al primo semestre del 2017; 24 nel 2017).
Vi sono paesi con meno di 10 notizie in due anni e mezzo, come il Vietnam, il Centrafrica e la Mauritania. Altri, come il Burundi, l’Algeria e la Sierra Leone presenti in un solo servizio. E poi c’è il Darfur, completamente dimenticato nonostante sia entrato nel suo 14esimo anno di conflitto con il devastante carico di 400 mila morti e 2 milioni e mezzo di sfollati.
L’unico momento di visibilità per quella che è tra le più vaste e gravi crisi umanitarie del mondo è il 26 febbraio, data in cui viene ricordato l’inizio della guerra nella regione sudanese, nel 2003, e Italians for Darfur presenta il rapporto annuale sulla situazione nel Paese. Anche quest’anno ci sarà tanto da raccontare: la stagione delle piogge è stata particolarmente violenta, soprattutto nel Nord Darfur, con la distruzione di case, scuole e fattorie. Le condizioni umanitarie si sono aggravate su gran parte del territorio del Sudan, in particolare nel Darfur ma anche negli Stati del Blue Nile e del Sud Kordofan.
La popolazione ha bisogno di assistenza prevalentemente a causa del conflitto tra gruppi ribelli e forze armate sudanesi ma anche per gli scontri inter-tribali che determinano lo spostamento e l’insicurezza alimentare di decine di migliaia di sfollati. Tuttavia, i bisogni umanitari sono determinati anche dalla povertà, dal sottosviluppo e dai fattori climatici. Non a caso alcuni dei più alti tassi di malnutrizione si registrano nel Sudan orientale, una zona libera da conflitti. Precipitazioni imprevedibili e molto abbondanti, su un versante, avanzamento della desertificazione, sull’altro, i fattori ambientali che hanno esacerbato dal 2016 a oggi la crisi umanitaria influenzando negativamente la fornitura e la raccolta di cibo e coltivazioni.
In Sud Kordofan e Blue Nile, sono stati registrati nuovi spostamenti dalle zone controllate dal governo. Nelle aree sotto il controllo del Movimento popolare di Liberazione del Sudan-Nord (SPLM-N) le organizzazioni umanitarie non sono state più in grado di accedere e fornire assistenza dal 2011. Stesse condizioni nella regione dei monti Jebel Marra in Darfur, dove gli scontri tra fazioni contrapposte si sono intensificati nei primi mesi dello scorso anno.
Gli operatori umanitari hanno guadagnato l’accesso solo in alcuni villaggi alle pendici dell’area montuosa riuscendo a portare assistenza a decine di migliaia di persone ma la maggior parte delle comunità restano inaccessibili e in balia di incursioni aeree e attacchi che le hanno ridotte allo stremo delle forze.
L’instabilità nel Paese si è aggravata con la ripresa delle ostilità tra fazioni contrapposte in Sud Sudan nel dicembre del 2013 che ha determinato un flusso costante di sud sudanesi. Al 2017, quasi 500.000 rifugiati dal Sudan meridionale sono arrivati nello Stato confinante in fuga dai combattimenti e dall’insicurezza alimentare.
Anche se i profughi sud sudanesi sono autorizzati a circolare liberamente all’interno del paese, la maggioranza si è stabilita nei campi allestiti nello Stato del Nilo Bianco mentre altri hanno cercato rifugio nel Darfur orientale. In questo contesto già estremamente destabilizzato dai problemi interni, il flusso continuo di rifugiati, richiedenti asilo e migranti da Chad, Eritrea, Etiopia e Repubblica centrafricana aggravano ulteriormente la situazione in Sudan. Tutta l’Africa Sub Sahariana e Occidentale è reduce da una delle carestie più gravi degli ultimi decenni.
L’augurio che possiamo rivolgere a questi popoli sofferenti è che il 2018 sia meno impietoso e da parte nostra rinnoviamo l’impegno a raccontare queste realtà che troppo spesso spariscono dai radar dei media mainstream.
Il nostro proposito per il nuovo anno è dunque questo, che nei prossimi 12 mesi si riesca a illuminare un po’ di più temi e crisi dimenticate.