Abbiamo approfittato dell’ ultimo programma live dell’anno per parlare con Javier Tolcachier e fare un bilancio dell’anno. Chi sono i nuovi attori politici, verso dove vanno gli avvenimenti nella regione e nel resto del pianeta. Quali sono le prospettive per l’anno nuovo?
Tutto questo e molto altro ancora a Pressenza Internacional a la Oreja con Nelsy LIzarazo, Mariano Quiroga e Tony Robinson.
Il Brasile di Temer… o da temere, a giudicare dagli avvenimenti di quest’anno, l’Argentina di Macri, che ha chiaramente dimostrato di essere disposto a tutto per imporre le sue politiche, un Paraguay sfiancato e un Uruguay senza Mujica da due anni… come si configura alla fine del 2017 il cono meridionale del continente?
Il Brasile attraversa un enorme processo involutivo. Temer, alleato a una maggioranza di parlamentari corrotti, è riuscito a congelare per 20 anni gli investimenti nella salute e nell’educazione, oltre ad approvare una riforma neo-schiavista che fa retrocedere al 1942 il panorama lavorativo. L’estremo degrado politico, dopo il colpo di stato mediatico-parlamentare-giuridico-impresariale, è funzionale all’avanzamento delle forze confessionali ultraconservatrici e retrograde, quelle che cercano, con la PEC 181, di proibire ogni possibilità di aborto, anche in casi di stupro. A questa situazione si aggiunge la persecuzione giuridica dell’ex presidente Lula, che raccoglie un enorme appoggio popolare a fronte delle prossime elezioni presidenziali, alle quali, se il prossimo gennaio sarà confermata la sua condanna, non potrà partecipare.
L’Argentina di Macri, che ha chiaramente dimostrato di essere disposto a tutto per imporre le sue politiche…
Si tratta di un governo facinoroso al servizio delle grandi imprese, con pratiche mafiose, come la recente estorsione a governatori provinciali e deputati con cui è riuscito ad approvare un taglio per i pensionati, per quelli che ricevono l’assegno familiare e per i veterani della guerra delle Malvinas, oltre a una riforma fiscale – che deve ancora essere affrontata dalla Camera dei senatori – a favore della massimizzazione dei profitti aziendali.
Oltre all’acquisto di voti, al ricatto, alla manipolazione dei media, si aggiunge la pratica della repressione come mezzo per mettere a tacere la protesta.
Il clamoroso rifiuto e la mobilitazione popolare hanno indebolito il sostegno ottenuto dal governo nelle elezioni parlamentari del 22 ottobre, rendendo questo pacchetto di leggi (compresa la riforma del lavoro prevista per l’anno prossimo) forse un prima e un dopo nella situazione politica dell’Argentina.
Il Paraguay sfiancato
Il Paraguay storicamente è stato in mano a un gruppo di proprietari terrieri e imprenditori legati alla politica attraverso il Partito Colorado, creato da Stroessner per mascherare e rifare il trucco alla sua sanguinosa dittatura. Nulla di tutto ciò è cambiato: quest’anno i contadini e gli studenti sono tornati a protestare in modo massivo contro il mancato rispetto, da parte del governo, di quanto concordato al tavolo dei negoziati. Le manovre legislative illegittime per consentire la rielezione di Cartes, infine, non sono riuscite. Alla contesa elettorale dell’aprile 2018 concorrerà il senatore Mario Abdo Benitez, figlio di un uomo fidato del dittatore Alfredo Stroessner, nel tentativo di dare – ancora una volta! – continuità al coloradismo al potere. Dall’opposizione, per rompere l’egemonia colorada, il candidato sarà Efraín Alegre del pur tradizionale partito liberale, in alleanza con il Frente Guasú, del deposto ex-presidente Fernando Lugo.
E un Uruguay senza Mujica da due anni…
Il governo di Tabaré Vazquez, del Frente Amplio, è stato tiepido e orientato su politiche centriste, senza mettere minimamente in discussione le strutture di mercato, similmente a quanto fatto da Bachelet in Cile. Tuttavia, dal punto di vista dei diritti civili, ci sono stati alcuni risultati importanti in entrambi i luoghi, come la depenalizzazione dell’uso di cannabis, leggi ugualitarie sul matrimonio e la recente approvazione dell’aborto per tre motivi, togliendo il Cile dall’elenco dei paesi in cui il suo divieto è netto.
Come si configura alla fine del 2017 il cono meridionale del continente?
Un chiaro bastione della destra, alleata geopolitica di Washington, un Mercosur furiosamente orientato al libero mercato. D’altra parte, questi governi serviranno agli USA come un ariete contro il Venezuela e rappresenteranno l'”avanguardia” dell’indebolimento della sovranità regionale.Una foto degli anni ’90 in un ambito internazionale sovraccarico.
Saliamo alla regione andina e troviamo una Bolivia che ci dà buone notizie e prospettive elettorali non molto chiare, un Perù con il presidente in giudizio politico, l’Ecuador con il nuovo governo che segue l’era Correa e il Venezuela con recenti elezioni in cui stravince il partito al potere. E abbiamo la Colombia che si dibatte in un difficilissimo processo di pace e anche in vista delle elezioni.. quali credi che siano le prospettive per questa regione nel ’18?
In Bolivia, dopo le pressioni dei movimenti sociali e l’approvazione del Tribunale elettorale, Evo non ha avversari che potrebbero oscurare la sua nuova vittoria alle urne. Dovremo quindi vedere come opererà lì il potere del Nord, e nessuna manovra può essere esclusa. Il paese sta crescendo e, nonostante i sospetti di corruzione in alcuni settori del partito al governo, la maggioranza dei boliviani, specialmente i contadini e le popolazioni indigene, appoggia l’attuale governo.
In Perù attualmente si stanno scontrando settori del potere economico che, come altrove, tengono sotto sequestro ogni possibilità di reale democrazia. Il parlamento, controllato dal fujimorismo, non ha potuto – ancora – ottenere la destituzione o le dimissioni dell’attuale presidente Kuczinsky, ma è certo che continuerà a manovrare per dirigere la politica nazionale e – tra le altre cose – ottenere il perdono per l’inquietante Alberto Fujimori, la cui figlia Keiko guida Fuerza Popular. Lì, solo la forza dell’unità popolare di sinistra riuscirà a far sentire la voce del popolo.
In Ecuador, dopo la vittoria progressista sul banchiere Lasso e stante la necessità di creare uno stile di governo più dialogante, il Presidente Moreno ha iniziato ad abbassare le bandiere della Rivoluzione Cittadina. Ciò ha portato ad una rottura interna del progressismo e a un’agenda funzionale agli interessi della destra. Non sembra essere un buon modo di procedere, né lo è stato cedere alle richieste delle imprese e dei media nel caso di altri governi progressisti che sono stati successivamente sconfitti o rovesciati.
La Colombia avanza molto lentamente nel suo processo di pace, l’assassinio dei leader contadini continua e non vi è alcuna prospettiva di miglioramento della disuguaglianza nella proprietà della terra. D’altra parte, la lunga storia di proscrizioni politiche suggerisce che saranno poste pietre sul cammino per impedire l’unità della sinistra a sostegno di Gustavo Petro o Piedad Córdoba per affrontare l’attuale vice presidente Vargas Lleras – principale candidato dell’establishment.
In Venezuela il governo è uscito politicamente rafforzato dai processi elettorali (costituente, regionale e municipale), ma continua a scontrarsi con una guerra economica spietata, prodotto di sanzioni unilaterali, accaparramento di materie prime, contrabbando e manipolazione monetaria. Questa guerra, agita anche attraverso intense campagne di discredito mediatico e di pressione diplomatica, mira a indebolire la Rivoluzione bolivariana per cercare di sconfiggere Nicolas Maduro alle prossime elezioni presidenziali, essendo falliti i tentativi di colpo di stato che quest’anno hanno causato tanta sofferenza e violenza.
Nel 2018 questa zona continuerà ad essere molto instabile socialmente e politicamente.
Nel corso di quest’anno il Guatemala è tornato a mobilitarsi, senza grandi risultati rispetto alle richieste dalla gente, El Salvador non è ancora in grado di avanzare con un’assemblea di opposizione, Honduras, sull’orlo di una guerra civile con delle elezioni fraudolente e senza presidente eletto… La regione centroamericana continua a cercare giustizia e democrazia… qual è la tua lettura generale di ciò che ha vissuto questa regione nel 2017?
I tassi di violenza in El Salvador, Honduras e Guatemala sono leggermente diminuiti, in parte grazie agli scontri armati e ad altre misure adottate dai governi, sia di destra che di sinistra, contro le bande (“maras”). D’altro canto, il Centroamerica ha registrato una crescita economica superiore a quella del Sudamerica. Significativo è il progresso in materia di matrice energetica con l’uso delle energie rinnovabili, che consente una minore dipendenza dal petrolio e una maggiore disponibilità di risorse da investire in altri settori. Il Nicaragua continua a sostenere il governo sandinista e il suo modello economico combinato di piccole cooperative e uno stato centralista. Lì la FSLN, dopo la rielezione di Daniel Ortega, ha vinto con un ampio margine anche le elezioni comunali. Il Guatemala, nonostante le voci che si sono levate con forza dalla cittadinanza, continua ad essere una Repubblica delle banane corrotta come l’Honduras.
E arriviamo al Messico, alle porte delle elezioni presidenziali, con una candidata delle popolazioni indigene per la prima volta nella storia e con Trump in cima, minaccioso. Quale è il ruolo che corrisponderebbe al Messico, nella regione?
Il Messico è quello che più assomiglia a uno stato fallito, negli artigli del narcotraffico che dominano la politica e sottomesso al suo atroce vicino del nord grazie a un trattato di libero commercio, ora in dubbio. La violenza è totale, contro le donne, i giornalisti, gli indigeni, gli studenti, contro tutti. Si è avvicinato troppo agli USA e agli USA non sta bene e ora il loro governo razzista non vuole più la società precedente – in realtà un’annessione – con il Messico. Il Messico dovrà tornare al suo spirito migliore, quello della sfida, emulando le imprese rivoluzionarie e rivolgendo il suo sguardo verso i suoi fratelli del sud.
Non vogliamo lasciare fuori i Caraibi, sferzate dall’uragano Irma, isole devastate, e Cuba, sollevata dal disastro… Verso dove vanno i nostri Caraibi, Javier?
Bisogna collocare la geografia politica dei Caraibi. I Caraibi iniziano a Caracas e terminano a Miami. E i venti, i tornado vanno e vengono tra i due poli. Lì c’è una lotta per preservare una relativa indipendenza dall’egemonia che gli Stati Uniti pretendono di ripristinare su ciò che considerano il cortile di casa loro. L’impulso emancipatorio è sostenuto dall’asse formatosi tra il governo bolivariano in Venezuela e Cuba, aggiungendo diverse nazioni insulari appoggiate dal sistema PetroCaribe, attraverso il quale ottengono petrolio a prezzi preferenziali e con un buon finanziamento, cosa che libera risorse di per sé scarse. Cuba si sta muovendo verso il rinnovamento generazionale del suo governo. Nell’aprile 2018 assumerà l’incarico un nuovo presidente, presumibilmente Miguel Díaz Canel, attuale vicepresidente, nato dopo la Rivoluzione. Ci si aspetta riforme moderate, soprattutto l’apertura controllata agli investimenti esteri che consentano un imprescindibile rinnovamento tecnologico.
E’ iniziata l’era di Trump e con questa un’inversione di tendenza nella politica estera degli Stati Uniti o solo uno svelamento di quello che stava arrivando? Con quali conseguenze per la nostra regione e per il pianeta?
Siamo abituati alle devastazioni perpetrate dagli Stati Uniti in luoghi molto distanti dal loro territorio. Tuttavia, al loro interno le cose non vanno meglio. I suoi abitanti vivono un’era di fascismo all’americana. 41 milioni di poveri, consumo massiccio di droga e oppiacei, un grandissimo numero di civili armati, una popolazione carceraria gigantesca, per la stragrande maggioranza nera, un governo sostenitore della supremazia in cui i militari sembrano detenere il potere reale, una maggioranza repubblicana ed estremista in entrambe le camere. Un paese oggi isolato in ambito internazionale, con un buco fiscale astronomico, impossibile da pagare. Armamentista e sceriffo del mondo, una posizione insostenibile. Un vero inno alla meritocrazia individualista.
Uno sguardo all’Europa: vari paesi sono andati a elezioni, i rifugiati continuano ad arrivare, il Regno Unito se ne va dall’Unione Europea, la Catalogna con la sua lotta autonomista… come definiresti, alla fine di quest’anno, lo scenario europeo?
Come nel resto del mondo, un grave spostamento verso destra, una regione in cui il panorama generazionale acuisce il conservatorismo. Guarda la Polonia, con migliaia di nazionalisti che cantano “Vogliamo Dio”; in Germania l’estrema destra in parlamento per la prima volta dopo la seconda guerra mondiale e ancora, per la quarta volta, la conservatrice Merkel rieletta come primo ministro; in Inghilterra è in corso il processo di uscita dall’Unione Europea; in Francia, la paura del Front National ha fatto sì che vincesse il candidato della banca; guarda la Spagna, dove il nazionalismo secessionista dà origine alla repressione del franchismo dal colletto inamidato di Rajoy; guarda Erdogan, un corteggiatore di Ataturk dal taglio fondamentalista; gli orientamenti politici in Ucraina, la Repubblica Ceca, dove un multimilionario ha vinto le recenti elezioni parlamentari e l’estrema destra si è classificata seconda; guarda il disastro dell’Unione Europea, un tempo progetto luminoso di unità, ora con un centralismo asfissiante nelle mani delle banche. Salvo alcune eccezioni molto onorevoli, come il laburista Corbyn o il disubbidiente Melenchon, un continente invecchiato, timoroso di essere inondato dai migranti, che non riesce a fare pace con la sua storia.
E che diresti dell’Asia?
In Oriente le prospettive sono migliori, almeno per quanto riguarda l’economia e alcuni aspetti sociali. La Cina lavora alla Via della Seta, il suo gigantesco piano di costruzione di strade, vie e porti per collegare zone isolate e stimolare il commercio mondiale, una sorta di piano Marshall asiatico. Nella sua alleanza con la Russia, con la fondazione di una banca d’investimenti e di sviluppo come specchio della Banca Mondiale, il commercio in valute diverse dal dollaro e la crescente influenza dello yuan, appare come il contrappeso dell’indiscussa unipolarità d’altri tempi degli Stati Uniti. Russia che sicuramente rieleggerà ancora una volta Putin e rappresenta in ambito diplomatico e militare quello che la Cina rappresenta in economia. La Corea del Nord, che era un paraurti comunista cinese contro l’ingerenza imperialista che minacciava la rivoluzione maoista dalla Corea del Sud, oggi è diventata un problema anche per la Cina, perché giustifica la presenza imperialista nordamericana nella zona, il riarmamentismo giapponese e lo sviluppo dell’ industria coreana degli armamenti. La pace lì, come sempre, è la cosa migliore per tutti.
In Medio Oriente queste speranze di pace sono lontane, muoiono e soffrono la fame milioni di persone in Yemen, in Siria, in Afghanistan, in Pakistan o in Irak. Una distruzione con la quale gli USA e la NATO vogliono contrastare l’asse iraniano-russo-cinese e dove i venti democratici destabilizzano le teocrazie monarchiche dell’Arabia Saudita e del Golfo e trattengono l’agire ogni volta più radicale e violento dello stato israeliano. L’argomentazione della continuità della guerra interreligiosa tra fazioni dell’Islam non è più sostenibile. Tuttavia il petrolio muove il mondo e chi controlla quella zona ha un grande potere.
L’Africa ha vissuto processi elettorali, uscite di scena di presidenti al potere da più di trent’anni… novità nel continente africano. Verso dove vedi che vanno le tendenze?
Gli stati africani sono stati, già dall’epoca coloniale, bottini di guerra per poter commerciare in risorse naturali, oltre a piccole oasi di sussistenza per minoranze burocratiche. Prima il commercio era solo con referenti europei, ora è più diversificato, con la Cina, il Canada e altri. Le guerre non sono etniche, la questione etnica, benché esista, si tira fuori dal cassetto come argomento irrazionale per appropriarsi del bottino. La diplomazia morbida della Cina, che non ha un passato schiavista in Africa, è avanzata molto. C’è stato un rinnovamento generazionale nei governi, simbolizzato dalla recente caduta di Mugabe, ma la corruzione continua, tanto nei governi socialisti quanto in quelli pro-capitalisti.
C’è qualcosa che attraversa ciascuno dei paesi del continente e che ha a che fare con le persecuzioni politiche perpetrate dal partito giudiziario, dal potere giudiziario, attraverso denunce in alcuni casi legate alla corruzione, ma in altri a qualsiasi scusa finalizzata a eliminare la leadership politica attraverso il carcere. Che cosa potresti aggiungere a questo proposito, che vediamo ripetersi come un modus operandi?
E’ così, c’è una strategia che è una sorta di replica di ciò che fu il Piano Condor con gli stivali, oggi lo è con gli editti giuridici. Si perseguitano tutte le organizzazioni e le leadership che possano oscurare la possibilità che il capitalismo continui a regnare nella regione.
Tuttavia, bisogna dire che la corruzione esiste e che è un fenomeno collegato all’apparato statale, qualunque sia il segno politico che rappresenta. E’ un problema serio che bisogna studiare più da vicino e che ha a che vedere con la burocratizzazione di un apparato di potere che fa sì che si favorisca la corruzione all’interno dello stato e che sia utilizzata soprattutto dalle corporazioni economiche per ottenere contratti e altro. Ci sono corrotti e ci sono anche corruttori. Mi sembra che si tratti di una questione da affrontare con molta attenzione, perché non si esaurisce in una semplice denuncia politicamente motivata.
Ciò che è più significativo, più degno di nota nella nostra regione e nel mondo, eleviamo gli animi. E’ vero che lo scenario è tremendo, ma lo hai detto pochi minuti fa, ci sono un modello e un sistema che stanno chiaramente facendo acqua da tutte le parti e questo può rappresentare una speranza.
Cercando di riscattare il positivo da una prospettiva umanista:
- L’ottenimento di un trattato vincolante di proibizione delle armi nucleari all’ONU nel luglio di quest’anno, insieme alla consegna del premio Nobel ai principali promotori del Trattato, la Campagna Internazionale per l’Abolizione delle Armi Nucleari (ICAN).
- La richiesta massiva di una vita libera dalla violenza per le donne, nonostante le cifre quotidiane.
- Le maree di masse di resistenza popolare con uno stile di protesta creativo e nonviolento.
- Il progresso e il consolidamento di inquadramenti legali che rendono possibili forme familiari e di coppia diverse.
- La dimostrazione di solidarietà umana rispetto ai migranti, nonostante la grande corrente contraria e l’attitudine meschina dei governi.
- L’avanzamento dei concetti di pace e di dialogo come anticorpi a fronte dell’assalto di violenza nel crollo di un sistema in decadenza.
Tuttavia, è innegabile un forte spostamento a destra, la reazione del vecchio che non è ancora morto al nuovo che non è ancora nato.
Le principali tendenze nell’anno che comincia.
Nonostante l’apparente novità, il mondo ritorna vecchio e conservatore. Perché? Perché gira troppo rapidamente ed è nelle mani di pochi. Niente è come prima e il prima è ogni volta più vicino e, sembra, allo stesso tempo più lontano. Anche perché, effettivamente e oggettivamente, non solo soggettivamente, la popolazione in molti luoghi sta invecchiando.
La rivoluzione tecnologica, ora motorizzata dalla convergenza delle biotecnologie, della tecnologia genetica, dell’Internet delle cose e dell’intelligenza artificiale, lascia indietro ed esclude tre quarti della popolazione mondiale.
La proprietà concentrata in imprese transnazionali, combinata con un’economia usuraia e finanziarizzata, elimina le possibilità di sviluppo del quarto restante. Nel frattempo, l’atmosfera si imputridisce e la terra si spacca.
E’ l’apocalisse e la gente così la vede. Pertanto, anziché pensare o immaginare un mondo diverso, nuovo, solidale, creativo, nonviolento, le persone credono che potranno ripararsi da essa retrocedendo, rivolgendosi a formule conosciute, tornando al passato, seguendo idioti che gridano e sono appoggiati dal grande capitale, come fece Hitler a suo tempo.
Se dovessi rispondere razionalmente, direi che oggi ci sono moltissime più probabilità di nuove guerre, di più miseria, disuguaglianza e fame, piuttosto che di un’uscita evolutiva. Ed è così perché l’Umanità non ha ancora disimparato la violenza, radicata nella sua memoria come appropriazione e vendetta.
Tuttavia, la speranza è l’ultima a morire, perché è il germe del futuro e per conquistarlo la speranza è lo strumento principale. Dipende da noi stessi unirci e realizzarlo.
Traduzione dallo spagnolo di Matilde Mirabella