Arriva più forte dall’Italia, dopo che in Argentina si è chiuso il più grande processo della sua storia con la condanna di 48 dei 54 ex militari e civili accusati di crimini contro l’umanità, perpetuati durante la dittatura tra il 1976 ed il 1983, che ha provocato 30mila morti, la richiesta di istituire una “Giornata della memoria per le vittime italiane del terrorismo di stato argentino”.
La petizione è stata lanciata a Napoli lo scorso settembre, in occasione della mostra Memoria Olvidada di Giuseppe Klain e a cura di Giuseppe Narducci, durante la terza edizione dal festival per la libertà di stampa, Imbavagliati che si è svolto al Museo Pan (lì dove è custodita la Mehari di Giancarlo Siani). Narducci è un Pm napoletano noto per aver scoperto “Calciopoli”. Oltre al suo lavoro ha due grandi passioni: la sua città e l’Argentina. Per caso scopre che nella terribile vicenda dei desaparecidos argentini degli anni Settanta, c’è anche una storia napoletana. È la storia di Rosaria Grillo, di Barra, tra i 30mila desaparecidos assassinati dal regime dei militari dopo il golpe del ’76.
Con il piglio del Pm, intervistando parenti e sopravvissuti e studiando documenti e quotidiani dell’epoca, compie una vera e propria indagine sulla scomparsa di Rosaria, fornendo un apporto significativo all’investigazione sui responsabili della desapariciòn di altri sei militanti della Juventud Guevarista che come lei scomparvero nella notte tra il 13 e il 14 settembre 1976.
L’analisi dei sequestri dei giovani guevaristi di Buenos Aires dimostra infatti che, tra loro, esiste un filo unico e una stessa regia repressiva. Il suo libro El minuto – così chiamavano i militanti la frazione di tempo a loro disposizione per organizzarsi in caso di arrivo della polizia – riassume compiutamente l’esperienza di vita che quei giovani vissero negli anni drammatici della dittatura militare di Videla.
Anni in cui l’Italia si limitò a esprimere blande richieste di informazioni sulla sorte dei tanti cittadini italiani desaparecidos, per poi chiedere giustizia, in modo parziale e approssimativo, solo dopo la fine della dittatura. Dalla sua inchiesta nasce l’esposizione di arti visive di Giuseppe Klain, la sola pagina facebook della mostra, durante la settimana di Imbavagliati, è stata visualizzata in Argentina da più di diecimila persone: sono tantissimi i messaggi di sostegno, arrivati dai parenti delle vittime. Attraverso documenti fotografici originali, quadri e video interviste, il lavoro accende i riflettori sulla vicenda di un’intera generazione sequestrata e uccisa durante il regime dittatoriale. Per questo sembra giusto agli organizzatori, far partire proprio dal festival di giornalismo civile, un’importante petizione “per non dimenticare” gli italiani desaparecidos.
“Secondo la Segreteria dei Diritti Umani dell’Argentina – recita la lettera indirizzata al Presidente del Senato e della Camera dei Deputati della Repubblica Italiana e scritta da Narducci – sul totale di 30.000 desaparecidos assassinati, gli argentini di origine spagnola furono il 24,5% e quelli di origine italiana il 22,3%. Ma, negli anni della dittatura, l’Italia non protesse quegli italiani e non salvò le loro vite. Anzi, molti settori della politica e della imprenditoria italiana, furono complici dei repressori”.
L’Italia, quindi, non esitò ad intrattenere relazioni diplomatiche con le giunte militari e fortissimi furono i rapporti economico-commerciali con l’Argentina. E anche le attività delle logge massoniche, influenzavano le decisioni politiche ed economiche a Buenos Aires ed a Roma e quell’attività fu il collante che strinse i terroristi di stato. “L’Italia – viene puntualizzato nella petizione – non aiutò in concreto, i padri e le madri, italiani, a trovare i loro figli, mentre erano prigionieri né ad ottenere, negli anni successivi, verità e giustizia”. Anche gli esuli che arrivarono nel nostro paese ricevettero aiuto soprattutto attraverso una rete di solidarietà costruita da cittadini e associazioni. Solo l’intervento del Presidente Sandro Pertini, nell’aprile 1983, iniziò a modificare una situazione di compromissione o di acquiescenza verso i repressori. Ma il regime, ormai, aveva già completato lo sterminio.
Anche l’Italia, a partire dagli anni ’90, ha preso sempre più coscienza delle dimensioni del genocidio che era avvenuto. Dal 2002, la Repubblica Argentina, il 24 marzo di ogni anno, celebra “El Dìa de la Memoria por la Verdad y Justicia”.. “Chiediamo che le Istituzioni della Repubblica Italiana facciano la stessa scelta – chiedono i firmatari della petizione – Il 14 settembre 1976, a Buenos Aires, venne sequestrata una ragazza nata, 25 anni prima, in un popolare quartiere di Napoli. Lavorava e studiava economia. Aspettava un figlio. Maria Rosaria Grillo venne tenuta prigioniera nel centro clandestino di detenzione di Campo de Mayo e da allora è desaparecido”..
Un triste destino vuole che proprio il 14 settembre sia la data scelta dai genitori di Giulio Regeni, che chiedono “verità e giustizia” per un altro desaparecidos, figlio dell’Italia, torturato e ucciso in Egitto, dove “i diritti umani continuano a essere violati con azioni sistematiche”. Il messaggio che Paola e Claudio Regeni, avevano fatto pervenire sempre ad “Imbavagliati” e al “Premio Siani”, era stato diffuso nell’ultima giornata della manifestazione, proprio nel giorno in cui si ricordava Giancarlo Siani. La lettera era stata scritta a dieci giorni di distanza dalla decisione del Tribunale di Sicurezza nazionale egiziano di tenere in carcere Ibrahim Metwally, rappresentante legale della famiglia Regeni al Cairo. “Abbiamo bisogno della vostra scorta mediatica – si leggeva nella lettera – dopo il ritorno dell’ambasciatore italiano al Cairo (il 14 settembre!) occorre tenere i riflettori puntati su quanto sta accadendo in Egitto perché la collaborazione della procura e delle istituzioni egiziane non sia solo proclamata ma divenga effettiva.
Noi ad oggi ancora dobbiamo vedere il fascicolo aperto dalla procura egiziana sul rapimento, le torture e l’uccisione di Giulio – concludeva il messaggio – e ancora stiamo aspettando che i nostri consulenti al Cairo vengano ricevuti dal procuratore Sadek.
State con noi, con Giulio, con tutti i Giuli e le Giulie d’Egitto e con chi li difende”. A farsi portavoce delle parole della famiglia Regeni era stato Giuseppe Giulietti, presidente della Federazione Nazionale Stampa italiana, nel corso del dibattito “Mai più soli: l’importanza della scorta mediatica per i giornalisti minacciati”, con Nello Trocchia, Sandro Ruotolo e Paolo Borrometi, tre giornalisti sotto scorta che sono intervenuti all’iniziativa “Siani per Ilaria Alpi”. Come promesso in occasione di ogni 14 del mese, la “scorta mediatica”, chiederà di conoscere i nomi di chi sequestrò, fece sparire, torturò e uccise Giulio Regeni al Cairo ormai 22 mesi fa.
“L’Egitto che ha ucciso Giulio Regeni – racconta Narducci – produce continuamente desapariciòn. Anche in Messico, c’è una situazione complessa, grandissima parte del territorio è controllato dalle organizzazioni dei narcotrafficanti, che hanno soppiantato i colombiani. Centomila persone sono scomparse, in questa terribile guerra inimmaginabile e della quale si parla troppo poco, in un paese dove lo stato è fortemente colluso con la criminalità”.
Per Narducci: “è importante che ci sia stata questa nuova sentenza, proprio durante il governo di Macri, che sta tentando di fare un revisionismo storico. Spesso, per giustificare la repressione che ci fu in quegli anni, si parla di una sorta di guerra civile, tra lo Stato e delle formazioni armate di guerriglia. Invece fu un vero e proprio genocidio… Non è più sostenibile quello che però nel 1984 Ernesto Sabato, che fece la prima grande operazione di indagine storica, quella che è conosciuta come la teoria dei due demoni. L’Argentina fu il teatro di uno sterminio pianificato in forma clandestina, diversa dal Cile”.