“Se alle elezioni dovessimo ottenere il 40% potremmo governare da soli. Se non dovessimo farcela, la sera delle elezioni faremo un appello pubblico alle altre forze politiche che sono entrate in Parlamento presentando il nostro programma e la nostra squadra. E governeremo con chi ci sta”. Così Luigi Di Maio, leader del M5S, nel corso di una recente intervista alla trasmissione Circo Massimo di Radio Capital.
Tutti i commentatori politici hanno sottolineato la novità: i grillini per la prima volta in modo esplicito ipotizzano di governare insieme ad altri.
Nessuno ha rilevato una grave lacuna nell’ipotesi di Di Maio. Nel caso il M5S avesse il 40% dei consensi, com’è possibile che governi da solo?
La legge elettorale voluta da Matteo Renzi, l’Italicum, stabiliva che il partito o la coalizione che al primo turno avesse superato il 40% dei consensi, alla Camera avrebbe avuto il 54% dei seggi. Ma questa legge è stata abrogata e sostituita con la recente approvazione del Rosatellum, che prevede il 64% dei seggi assegnati con il sistema proporzionale e il restante 36% con i vincitori nei collegi uninominali.
Di conseguenza, se un partito arrivasse al 40%, con il proporzionale otterrebbe il 40% del 64% dei seggi, cioè il 25,6%. Per arrivare alla maggioranza dei seggi (50,1%) dovrebbe aggiungere almeno il 24,5% con gli eletti nei collegi uninominali. Il che significa che dovrebbe vincere nel 69% dei collegi, poiché il 69% del 36% corrisponde al 24,8%.
Ma che il M5S possa vincere nel 69% dei collegi uninominali è un’ipotesi ancora più azzardata del 40% da raggiungere nella ripartizione proporzionale, anche perché ci sono aree geografiche in cui tradizionalmente il peso elettorale delle altre forze politiche è particolarmente concentrato e rilevante: ad esempio il centrodestra nelle regioni del nord e il centrosinistra nelle regioni del centro, che di fatto risultano favoriti nei collegi uninominali. Pertanto è del tutto improbabile che il M5S possa raggiungere tale risultato, a dimostrazione che il riferimento alla soglia del 40% da parte di Luigi Di Maio è sostanzialmente improprio, per non dire del tutto infondato.
Luigi Di Maio, intervistato da La7, ha anche chiarito la sua posizione rispetto alla moneta unica europea: “se si dovesse arrivare a un referendum sull’euro, che però io considero un’estrema ratio, voterei per l’uscita”.
Anche in questo caso dai giornalisti e dai politici è stato sottolineata la dichiarazione di voto contrario all’euro da parte del leader del M5S.
Pochi hanno invece rilevato che un referendum sull’euro in Italia non è possibile, poiché la Costituzione vigente vieta referendum sulle leggi “di autorizzazione a ratificare trattati internazionali” (art. 75). Infatti, l’euro è stato introdotto a seguito del trattato di Maastricht ratificato dall’Italia nel 1992.
Ciò significa che il M5S propone di modificare la Costituzione? Se così fosse, sarebbe più corretto che Luigi Di Maio in modo esplicito avanzasse una proposta di revisione costituzionale. Altrimenti si parla del nulla o, ad essere più precisi, di mera propaganda.