È una conferenza intergovernativa molto importante, quella in corso a Jeju, in Corea, inaugurata lo scorso 4 dicembre e in programma sino al 9 dicembre, chiamata a decidere sulla registrazione, nella lista del patrimonio mondiale UNESCO dell’umanità, di nuove espressioni socio-culturali del patrimonio immateriale. In totale trentatré elementi sono stati inseriti in questa lista e certo la “parte del leone”, negli organi di stampa nazionali, l’ha svolta “l’arte della pizza”, sostenuta dai 3000 pizzaioli napoletani e dalle circa due milioni di firme, a sostegno della candidatura, raccolte in giro per il mondo, che ha rappresentato, in questa sessione, i colori italiani nella lista dell’UNESCO.
Tuttavia, la nostra pizza è solo uno degli elementi e dei patrimoni immateriali il cui valore è stato riconosciuto a livello universale da questa, che senza dubbio passerà alla storia come una delle conferenze intergovernative più interessanti, se consideriamo la pluralità e il significato dei tanti elementi che hanno finalmente fatto il loro ingresso nella lista rappresentativa, vale a dire il registro delle forme di espressione socio-culturale capaci di testimoniare la vivacità e la pluralità del patrimonio immateriale e di suscitare interesse e consapevolezza in ordine alla loro importanza e alla loro tutela. In particolare, l’iscrizione di nuovi elementi, anche nel registro delle forme culturali bisognose di urgente salvaguardia e speciale protezione, sollecita la comunità internazionale a fornire cooperazione e assistenza affinché tali espressioni culturali siano ancora praticate e trasmesse.
Tra questi elementi del patrimonio a rischio troviamo la “musica llanera” della Colombia e della Repubblica Bolivariana del Venezuela, amata e ricordata, a suo tempo, anche da Hugo Chavez. I canti popolari del llano consistono di melodie cantate sui temi del lavoro agricolo o pastorale tradizionale, misti talvolta ad elementi magici o religiosi. Trattandosi di canti basati su testi e storie di vita popolare llanera, sono minacciati nella loro sopravvivenza, in relazione alle trasformazioni della vita sociale e familiare, all’urbanizzazione e all’industrializzazione, nonché alle trasformazioni demografiche cui va incontro la società llanera stessa. È l’intera cultura llanera, del resto, ad essere importante in questi contesti, quelli della regione della savana e delle praterie a Nord dell’Orinoco, una cultura che si esprime attraverso un complesso di forme letterarie e musicali, quali la danza dello joropo, con i suoi strumenti, il cuatro (la chitarra a quattro corde), la bandola, il furruco.
Un importante riconoscimento, tra i Paesi della regione, è stato assegnato a Cuba, che ha visto l’arte del “punto” iscritta nel patrimonio mondiale immateriale. Il punto è la musica e la poesia popolare degli agricoltori cubani, basata su una melodia sulla quale il cantante o il musicista improvvisa una o più strofe impostate su un tema ritmico riconoscibile. È un fattore centrale del patrimonio culturale tradizionale cubano, soprattutto in quanto da’ forma, esprime e veicola l’identità delle comunità che lo praticano, e si trasmette sia in maniera informale sia attraverso programmi di insegnamento dedicati.
Suoni e colori, peraltro, non si fermano alla soglia dei Caraibi. La Festa di Marzo, festa della primavera, diffusa, in particolare, in Macedonia, Bulgaria, Romania e Moldova, ma ampiamente praticata in tutta la regione balcanica e carpatica, è associata, in queste regioni, al primo giorno di marzo, e riguarda l’insieme delle tradizioni atte a celebrare l’inizio della primavera. Le pratiche socio-culturali principali riguardano, ad esempio, il fatto di indossare abiti e tessuti bianchi e rossi come simbolo del passaggio dall’inverno alla primavera, ma anche gli incontri che attraversano le famiglie e coinvolgono la comunità, rappresentando, in tal modo, un fattore coesivo, di creatività e di interazione, sociale e con la natura, veicolando, in maniera informale, la continuità della pratica.
Legata alla primavera è anche la Festa di Ederlezi, molto sentita in tutti i Balcani, sopratutto in Serbia e in Macedonia, ma anche in Turchia, con il nome di Hıdrellez. Essa ha luogo il 6 maggio, giorno della festività di S. Giorgio secondo il calendario ortodosso, che corrisponde al Djurdjevdan serbo, appunto Ederlezi in romanì e Hıdrellez in turco. Essendo la festa della primavera, rappresenta, anche nelle culture rom, la festa del risveglio della natura e, per estensione, della continuità della vita, cui, del resto, lo stesso simbolo, la ruota della vita, presente sulla bandiera rom, fa riferimento. Essendo una festa riconosciuta e condivisa a carattere trans-nazionale, è spesso anche l’occasione di incontri tra le comunità, è talvolta festeggiata insieme, ed è un potente veicolo di dialogo inter-comunitario. Nell’occasione della festa, si tengono, in tutti i Paesi della regione, eventi e rituali legati alla natura, anche come buon auspicio per la protezione del bestiame e la tutela dei raccolti.
Ancora nei Balcani, l’UNESCO ha registrato nella lista rappresentativa del patrimonio immateriale dell’umanità anche due forme musicali, il kolo serbo ed il rebetiko greco. Il Kolo serbo è la danza popolare di gruppo tipica della Serbia, sebbene sue forme e varianti si trovino in tutta la regione che va dalla Croazia al Montenegro, e viene danzata in cerchio, con i danzatori che si tengono per le braccia, in modo da formare una catena danzante. È la danza che tipicamente accompagna feste e celebrazioni e svolge una importante funzione sociale, di connessione e di relazione, coinvolgendo i membri della comunità, rappresentando inoltre l’elemento veicolare di un patrimonio più ampio, che comprende anche i costumi tradizionali che, in occasione delle celebrazioni, i danzatori indossano, e gli strumenti tradizionali, quali la fisarmonica, la frula (flauto) e la šargija. Anche quest’ultima è un patrimonio trans-nazionale: corrisponde, infatti, al bouzouki (greco) ed alla baglama (turca).
Il Rebetiko greco è l’espressione musicale, attraverso il canto e la danza, tipica delle classi popolari urbane della Grecia e ne esprime, talvolta in maniera ironica, altre volte in forma drammatica, le storie di povertà o di emarginazione. Si articola, oggi, attraverso repertori diffusi e riprodotti in occasione di eventi e manifestazioni di carattere sociale, e viene in genere trasmessa oralmente.
Ed infine, dalla Grecia all’Italia, non può mancare il riferimento alla pizza. Quest’ultima entra nel patrimonio mondiale UNESCO sotto forma di «arte del pizzaiolo» ovvero di «arte di fare la pizza», una pratica culinaria ampiamente definita e standardizzata sia in merito alla qualità degli ingredienti sia in relazione al processo di preparazione per fasi, fino alla cottura nel forno a legna. La pratica è originariamente (e tipicamente) napoletana, ammantata di storie e racconti, ampiamente diffusa, in una infinità di varianti, in tutto il mondo, ed è continuamente praticata, a partire dai tremila pizzaioli napoletani, giocando un ruolo notevole quanto a socializzazione e trasmissione inter-generazionale.
Ovviamente c’è anche molto altro tra gli elementi del patrimonio culturale mondiale (una lista completa dei nuovi elementi rappresentativi è visibile sul sito UNESCO); d’altra parte, non c’è dubbio che ogni selezione, legata al contenuto che si intende veicolare, sia di per sé parziale e opinabile. Tuttavia pare chiaro che, anche da questi pochi cenni e da questa assai parziale elencazione, possa risaltare il contenuto importante, sia sotto il profilo sociale sia dal punto di vista culturale, che la protezione del patrimonio culturale immateriale viene ad assumere. Intanto, come indica la Convenzione per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale (Parigi, 2003), esso viene ad includere l’insieme delle pratiche culturali, rilevanti per le comunità, che non si condensano solo in oggetti fisici e che si trasmettono, lungo le generazioni, attraverso pratiche sociali e relazionali.
Più precisamente, in base all’art. 2 della Convenzione, «per “patrimonio culturale immateriale” si intendono le prassi, le rappresentazioni, le espressioni, le conoscenze, i saperi, come pure gli strumenti, gli oggetti, i manufatti, i luoghi e gli spazi culturali associati ad essi, che le comunità, i gruppi e, in alcuni casi, gli individui riconoscono in quanto parte del loro patrimonio culturale. Questo patrimonio immateriale, trasmesso di generazione in generazione, è costantemente ricreato dalle comunità e dai gruppi in relazione al loro ambiente, alla loro interazione con la natura e alla loro storia e dà loro un senso di identità e di continuità, promuovendo in tal modo il rispetto per la diversità culturale e la creatività umana. [Ai fini della Convenzione] si terrà conto di tale patrimonio immateriale nella misura in cui è compatibile con gli strumenti esistenti in materia di diritti umani e con le esigenze di rispetto reciproco fra comunità, gruppi e individui, e di sviluppo sostenibile».
La sua rilevanza sociale, come bene mette in luce, in premessa, la Convenzione, è fuori discussione: da un lato, essa riconosce «l’importanza del patrimonio culturale immateriale in quanto fattore principale della diversità culturale e garanzia di uno sviluppo duraturo»; dall’altro, essa conferma «il ruolo rilevante del patrimonio culturale immateriale in quanto fattore per riavvicinare gli esseri umani e assicurare gli scambi e l’intesa fra di loro». La cultura diviene allora non solo espressione della soggettività di un popolo, ma anche veicolo di incontro, di solidarietà e di pace, tra i popoli. Un messaggio importante, anche alla vigilia del 10 dicembre, Giornata Mondiale dei Diritti Umani.