Amnesty International ha chiesto al Giappone, in qualità di presidente del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, di porre fine a tre mesi e mezzo di paralisi e di affrontare i crimini contro l’umanità tuttora in corso contro la popolazione rohingya di Myanmar.
Il Consiglio di sicurezza tornerà a parlare dell’argomento una settimana dopo l’adozione, da parte del Consiglio Onu dei diritti umani, di una risoluzione di condanna per le violazioni dei diritti umani ai danni dei rohingya e di altre minoranze di Myanmar. La risoluzione è stata accompagnata dalle parole ammonitrici dell’Alto commissario Onu per i diritti umani, secondo il quale nelle recenti operazioni militari nella zona occidentale dello stato di Rakhine potrebbero ravvisarsi “elementi di genocidio”.
“A oggi, la risposta del tutto inadeguata del Consiglio di sicurezza è stata vergognosa. Dalla fine di agosto oltre 620.00 rohingya sono fuggiti da atrocità inenarrabili eppure il Consiglio di sicurezza ha emesso una sola dichiarazione, peraltro inadeguata alla gravità della situazione”, ha dichiarato Sherine Tadros, direttrice dell’Ufficio di Amnesty International presso le Nazioni Unite a New York.
“Per la presidenza del Giappone è il momento della verità: verrà ricordata per essere stata silenziosamente da parte mentre centinaia di migliaia di rohingya subivano la pulizia etnica nell’ambito di un regime di apartheid nello stato di Rakhine? Il Consiglio di sicurezza deve dare seguito alla risoluzione del Consiglio dei diritti umani imponendo un embargo sulle armi ed applicando sanzioni mirate nei confronti dei vertici militari di Myanmar”, ha aggiunto Tadros.
“Le autorità di Myanmar devono consentire immediato e pieno accesso alla Missione di accertamento dei fatti delle Nazioni Unite, alle organizzazioni di aiuto umanitario e agli osservatori indipendenti sui diritti umani. Ciò sarà fondamentale per raggiungere la verità e porre le basi per individuare e punire i responsabili delle atrocità commesse ai danni dei rohingya e per garantire il ritorno volontario e in condizioni di sicurezza e dignità di centinaia di migliaia di rifugiati rohingya”, ha sottolineato Tadros.
Amnesty International chiede inoltre al Consiglio di sicurezza di prendere misure concrete per assicurare l’accertamento delle responsabilità per i crimini contro l’umanità commessi in Myanmar dopo i richiami, la settimana scorsa, del Relatore speciale sulla violenza contro le donne e dell’Alto commissario per i diritti umani.
Ulteriori informazioni
La risoluzione del Consiglio Onu dei diritti umani, approvata il 5 dicembre con 33 voti a favore, tre contrari (Burundi, Cina e Filippine) e nove astensioni (tra cui lo stesso Giappone), condanna le gravi e sistematiche violazioni dei diritti umani in Myanmar, soprattutto quelle commesse contro i rohingya nello stato di Rakhine.
Nel giro di pochi mesi, oltre 620.000 rohingya sono fuggiti in Bangladesh a causa della campagna mirata di violenza lanciata dalle forze di sicurezza di Myanmar e fatta di innumerevoli uccisioni di uomini donne e bambini, di stupri di donne adulte e adolescenti, di incendi di interi villaggi e di impiego delle mine antipersona.
I rohingya rimasti in Myanmar sono intrappolati in un sistema disumanizzante di apartheid, in cui praticamente ogni aspetto della loro vita subisce gravi limitazioni. Smantellare questo sistema sarà essenziale per assicurare il ritorno volontario e in condizioni di sicurezza e dignità delle centinaia di migliaia di rohingya che hanno lasciato il paese.
Amnesty International ha anche documentato ampie violazioni dei diritti umani che le forze di sicurezza di Myanmar compiono contro altre minoranze etniche, in particolare i kachin e gli shan: esecuzioni extragiudiziali e altre forme di uccisione illegale, sparizioni forzate, detenzioni arbitrarie, torture e lavori forzati.
Per firmare l’appello in favore dei rohingya:
https://www.amnesty.it/appelli/myanmar-centinaia-rohingya-ancora-dispersi/