Il 4 dicembre di un anno fa la riforma costituzionale voluta da Renzi & Boschi è stata pesantemente sconfitta nelle urne referendarie. È stato un evento importante, anche soltanto perché Matteo Renzi ha rassegnato le dimissioni da Presidente del Consiglio dei Ministri e di conseguenza è nato il governo Gentiloni. In realtà Renzi – in caso di sconfitta al referendum – aveva promesso di ritirarsi dalla politica attiva e invece è ancora il segretario del Partito Democratico. Anche Maria Elena Boschi, che aveva dichiarato di seguire l’iter di Matteo Renzi, dopo il voto ha soltanto cambiato poltrona, ricoprendo il rilevante ruolo di Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio.
Al di là di queste note relative ai percorsi politici dei protagonisti, è evidente che la data del 4 dicembre ha rappresentato una svolta nella politica italiana. Da allora il gradimento di Renzi & Boschi è in continuo declino e lo scenario è radicalmente cambiato. La composita area alla sinistra del Partito Democratico si sta riorganizzando e tutto il centrodestra si sta ricompattando. Consapevole che in questo scenario il treno del Partito Democratico rischia di finire su un binario morto, Matteo Renzi ha lanciato qualche segnale di apertura agli ex compagni e alleati di sinistra. Ma sembra davvero una mossa tardiva.
La recente approvazione della nuova legge elettorale, il cosiddetto Rosatellum, di fatto serve ad evitare che alle prossime elezioni ci sia un chiaro vincitore. Tutte le simulazioni mostrano come, dopo il voto della prossima primavera, nessun partito e/o coalizione disporrà della maggioranza dei seggi nei due rami del Parlamento. In Italia molto probabilmente si creerà una situazione simile a quella in cui oggi si trova la Germania, con gravi difficoltà per realizzare alleanze tra forze politiche concorrenziali.
Tutto ciò si sarebbe potuto evitare, se il clamoroso risultato elettorale del PD (il famoso 40%) alle elezioni europee del 2014 non avesse fatto “montare la testa” al leader del partito e ai suoi fedelissimi. Quando un partito pensa di essere autosufficiente, lì comincia il declino. Questo è oggi il rischio che corre anche il Movimento 5 Stelle.
Oltre a ciò si è visto che chi vuole forzare la mano, volendo cambiare unilateralmente le regole del gioco (la Costituzione), finisce per scottarsela: è accaduto al centrodestra nel 2006 e al Partito Democratico nel 2016. Per tacere sugli interessi di parte e del momento che di solito guidano la riscrittura delle leggi elettorali, ignorando sfacciatamente alcuni caposaldi costituzionali (e dopo la sconfessione della Consulta non c’è mai nessuno che si scusi e si dimetta!).
Per uscire da questa “palude” bisognerebbe riandare alle fonti, recuperando la cultura politica che ha consentito all’Assemblea Costituente di scrivere quel capolavoro giuridico e programmatico che è il nostro Patto di cittadinanza. Per questa ragione la data del 4 dicembre 2016 (come anche quella del 25 e 26 giugno 2006 in cui si è svolto il precedente referendum costituzionale) sarebbe da ricordare. Non per celebrare una vittoria o per sottolineare una sconfitta altrui, ma per richiamare tutti allo spirito costituzionale, di cui l’Italia oggi ha estremamente bisogno. Il fatto che il 4 dicembre sia passato quasi come se nulla fosse accaduto, senza memoria e senza autocritica, non è un buon segno per il prossimo futuro.
4 dicembre: quel referendum quasi dimenticato
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