Nella penisola del Sinai il terrorismo uccide centinaia di fedeli in preghiera nella moschea Al Rawdaw a Bir Al Abed nei pressi di Al Arish. I morti sarebbero quasi 250 e oltre un centinaio i feriti, tra questi circa 30 bambini.
L’attentato terrorista ha colpito la moschea frequentata dalla tribù Al Sawarka, la più importante del nord Sinai e nota per la sua collaborazione con l’esercito egiziano nella lotta contro l’Isis, pubblicamente rivendicata circa un anno e mezzo fa. Proprio per questo, pur in assenza di rivendicazioni ufficiali, si dà per scontato che si tratti di un attentato Isis. I droni dell’esercito avrebbero inoltre colpito 4 camionette di terroristi poco distanti dalla moschea uccidendo 15 miliziani del cosiddetto Stato Islamico.
La tecnica usata dagli assassini rivela l’intenzione di rendere la strage più cruenta possibile, infatti una o più bombe sarebbero esplose all’entrata della moschea in cui si trovavano circa 200 fedeli in preghiera, mentre alcuni terroristi armati di mitra facevano fuoco su chi tentava di fuggire.
Non è un caso che la moschea Al Rawdaw sia considerata la roccaforte del sufismo, una corrente mistica che rappresenta la dimensione spirituale dell’Islam e la cui filosofia di fondo è di apertura verso ogni religione che ha nutrito il pensiero del Profeta. Il sufismo è trasversale a sunniti e sciiti e fin dal VII secolo, grazie a studiosi islamici di altissima levatura culturale ha avuto molti seguaci tra poeti, letterati e in genere persone di cultura. Per i terroristi dell’Isis è considerato apostasia, quindi una ragione di più per attaccare proprio questa moschea.
In Occidente, come normale, la strage è stata considerata come notizia importante, dato il numero delle vittime, ma non più di tanto data – forse – la loro nazionalità o – forse – la loro religione. Infatti non si è levato nessun “je suis egyptien” nonostante la ferocia degli assassini e il numero degli assassinati.
Al presidente egiziano Al Sisi sono arrivati, come di norma, telegrammi di cordoglio da parte delle istituzioni dei vari paesi più o meno amici e, per parte italiana, sono stati spediti telegrammi da parte del presidente della Repubblica oltre che del presidente del Consiglio e del ministro degli Esteri. Ma mentre Gentiloni e Alfano hanno inviato le loro condoglianze per le vittime, il Presidente Mattarella è andato oltre ed ha inviato un messaggio quanto meno inquietante, vista la sorte del nostro Regeni e la risaputa pratica seguita dalle cosiddette forze dell’ordine egiziane. Diciamo che il presidente Mattarella poteva risparmiarsi quell’ultima frase contenente la promessa all’Egitto di “poter contare sempre sul determinato sostegno dell’Italia”.
Non può essere sottovalutato che il presidente Al Sisi, nel suo messaggio al popolo egiziano, prima di promettere giustizia ha promesso feroce vendetta e ben sappiamo, noi che ci picchiamo spesso della nostra cultura democratica, che il terrorismo, della democrazia ne mina le basi, e non solo per quel che esprime, ma per le risposte che induce a dare se si esce dall’alveo del diritto. Il presidente Al Sisi, peraltro, non ha certo dato grande prova di democrazia visto il numero di arresti di chi osa esprimere una critica, viste le sparizioni e gli abusi di cui noi, come italiani, abbiamo la prova con l’atroce fine di Giulio Regeni.
Dopo aver dichiarato tre giorni di lutto nazionale per le vittime di questa feroce strage, Al Sisi ha infatti affermato che “la tristezza e il dolore che provano ora gli egiziani non sarà vano: trarranno da questo dolore la volontà di affrontare il terrorismo…- aggiungendo poi – vendicheremo i nostri martiri con forza brutale….Le forze armate e la polizia vendicheranno i nostri martiri con tutta la loro forza nel prossimo periodo.” Così riportano fonti egiziane attendibili nonché la tv di stato.
Cosa dobbiamo aspettarci? Forse che la giusta lotta all’Isis fornisca l’alibi alle già conosciute milizie egiziane per proseguire nelle loro pratiche di arresti e torture di chiunque osi criticare il governo del paese? Non sarebbe certo in linea con i principi dello spiritualismo sufi seguiti dalla maggior parte delle vittime della moschea Al Rawdaw.
Dal canto nostro, in quanto democratici italiani, speriamo almeno che al primo messaggio del presidente Mattarella ne segua un altro, magari dettato dalla consapevolezza che le ragioni del diritto e della giustizia dovrebbero venire prima di quelle della violenza e della vendetta.