Ormai nessuno potrà dire “non sapevo”. I fatti sono davanti agli occhi di tutti, anche se molti cercano di nasconderli o di fornirne una interpretazione funzionale ai propri disegni politici. Si è visto chiaramente perché le ONG dovevano essere allontanate dal Mediterraneo centrale, e quando alcune sono ritornate ad operare dopo la firma del Codice di condotta Minniti, gli attacchi si sono intensificati ed hanno avuto come primo bersaglio, e prime vittime, i migranti sequestrati in acque internazionali o mandati a  fondo. Sono riprese anche le insinuazioni contro le ONG “colpevoli” di solidarietà, mentre la lista dei morti e dei dispersi si allunga ogni giorno che passa. Tutto sembrerebbe giustificato per dare maggiore vigore alla “lotta contro i trafficanti”. Ma il fine non giustifica i mezzi. Siamo di fronte all’abisso.

Il fine non giustifica i mezzi neppure quando si fanno i processi contro i trafficanti o presunti tali,  se l’accertamento dei fatti procede con modalità che suscitano perplessità e preoccupazione. Il rischio che si corre è quello di lasciare intatte le grandi reti criminali colluse con i poteri politici, quegli stessi poteri politici che stringonoaccordi con i governi europei, anche quando si tratta di criminali di guerra. Gli accordi del governo italiano con il Sudan ne sono una prova eloquente.

C’è da dubitare che, insistendo oltre nella direzione di trovare un colpevole a tutti i costi, anche di fronte ad un possibile scambio di persona,  si riesca ad arrestare la violenza mafiosa che in Libia, come in Italia, fa vittime tra i migranti. I fatti dimostrano che i processi penali accertano doverosamente responsabilità individuali, ma non hanno alcun effetto di deterrenza rispetto alle persone che sono costrette a fuggire da abusi e torture di ogni genere, ricorrendo alle organizzazioni criminali, perché non esistono alternative legali di fuga, che potrebbero essere offerte con il rilascio di visti umanitari che gli stati e l’Unione Europea non vogliono concedere. Decime di migliaia di morti nel Mediterraneo sono la prova più evidente della disumanità delle politiche di contenimento di quelli che continuano a chiamare “flussi migratori” anche quando si tratta di persone in carne ed ossa.

La grande debolezza dell’azione istituzionale risiede nella pretesa di autosufficienza e nell’atteggiamento ostile contro chi pratica la solidarietà e diffonde libera informazione. Solo una azione sinergica delle istituzioni e della società civile possono permettere di sconfiggere le mafie che lucrano sulla pelle dei migranti, nei paesi di transito come in Italia. E solo la stessa sinergia può  contrastare il clima conflittuale che si registra all’interno dei centri di accoglienza, soprattutto dopo gli esiti negativi delle procedure per il riconoscimento di uno status di protezione davanti alle Commissioni territoriali. Lo sbarramento delle frontiere conseguito con gli accordi bilaterali, e la lotta ai trafficanti attuata con le missioni militari e con il ricorso ai servizi segreti, come la distinzione strumentale tra richiedenti asilo e migranti economici, non hanno alcuna probabilità di successo, al di là di qualche effimero vantaggio sul terreno del consenso politico.

La sicurezza non è un valore e un obiettivo disgiungibile dal rigoroso rispetto delle regole, e dei principi dello stato di diritto e dei principi costituzionali che stabiliscono la separazione dei poteri tra legislativo, giudiziario ed amministrativo. Non occorre eludere il sistema delle garanzie di difesa per accertare fatti, che nei diversi gradi dei procedimenti verranno comunque accertati.

Troppe notizie rimangono sistematicamente censurate. Il ruolo dei media dovrebbe restare nei limiti della corretta informazione per fare crescere la consapevolezza nell’opinione pubblica, non per fornire capri espiatori  ad ogni costo, magari per costruire di riflesso gli “eroi” ,o per legittimare operazioni politiche che eludono le domande di partecipazione e di trasparenza che provengono dai cittadini. Vanno difesi i giornalisti indipendenti, spesso esposti a pressioni improprie che limitano spazi di informazione sempre più angusti.

Il populismo giudiziario e l’accanimento della politica nel blocco delle frontiere in nome del contrasto dell’immigrazione “illegale”, che si rivolgono anche contro persone in fuga che cercano a tutti costi un modo per raggiungere l’Europa,  trovano il loro punto di sintesi negli accordi di polizia firmati con i paesi terzi. Siamo certi purtroppo, ed i fatti di questi ultimi giorni lo confermano, che le reti dei trafficanti non saranno scalfite da indagini a  senso unico e da accordi con quelle stesse forze che per anni sono state colluse o direttamente responsabili del traffico di esseri umani. Si continuerà soltanto a fomentare conflitti sanguinosi, come in Libia, ed a fornire alibi ai professionisti della sicurezza ed all’informazione che se ne fa portavoce. Come cittadini proseguiremo a nostro rischio, fino a quando sarà possibile, il lavoro di documentazione e di ascolto delle ragioni di chi viene privato di una identità e di una qualsiasi possibilità di parola.

La Corte penale internazionale sta già indagando sui crimini commessi dalla sedicente Guardia Costiera libica. Se non saranno i tribunali italiani a condannare i colpevoli di strage ed i loro mandanti politici e militari, sarà la società civile che raccoglierà prove e testimonianze per portarle a conoscenza delle corti internazionali e dei tribunali di opinione. Se non ci saranno sentenze emesse dai giudici, resteranno i fatti consegnati alla storia. Nessuno, davvero nessuno, potrà dire, non sapevo.

Fulvio Vassallo Paleologo

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