Diminuisce, seppur di poco, l’export italiano di armi e munizioni, ma toccano record storici le forniture al Medio Oriente di munizionamento militare e di armi leggere, soprattutto di pistole. E’ questo, in estrema sintesi, ciò che emerge dal “Rapporto sulle esportazioni nel 2016 di armi e munizioni dall’Italia e dalla provincia di Brescia” che gli analisti dell’Osservatorio Permanente sulle Armi Leggere e Politiche di Sicurezza e di Difesa (OPAL) hanno presentato in anteprima nazionale durante una conferenza stampa venerdì scorso a Brescia.
I dati rivelano diverse cose interessanti e sollevano più di un interrogativo sul rispetto delle normative vigenti da parte dell’ormai decaduto governo Renzi (in carica fino al 12 dicembre 2016), ma anche sull’attuale governo Gentiloni, responsabile della continuazione di diverse esportazioni di materiali bellici. Meritano pertanto di essere considerati con attenzione.
Diminuisce l’export, un’incoerenza?
Il primo dato del Rapporto di OPAL è all’apparenza anomalo rispetto a quanto si era appreso dalla Relazione sulle esportazioni di materiali militari inviata dal governo alle Camere lo scorso aprile. Quella Relazione, che riguarda le esportazioni del 2016, cioè lo stesso anno preso in considerazione da OPAL sulla base dei dati forniti da Istat e Eurostat, rivelava infatti una vera e propria esplosione delle autorizzazioni all’export di sistemi militari: “l’esecutivo Renzi ha portato le licenze per esportazioni di sistemi militari da poco più di 2,1 miliardi ad oltre 14,6 miliardi di euro”, scrivevo in un ampio e dettagliato articolo lo scorso giugno.
Un errore quindi rispetto a quanto evidenzia il rapporto di OPAL? Nient’affatto. Perché il record raggiunto dall’esecutivo Renzi riguarda le licenze all’esportazione, cioè come scrivevo, le autorizzazioni rilasciate e non le consegne effettive che invece, come documentavo fornendo anche un preciso grafico, erano in calo rispetto al 2015. La differenza tra autorizzazioni e consegne è nota agli esperti, ma è bene spiegarla. Innanzitutto va considerato che, trattandosi in gran parte di sistemi complessi, vi è necessariamente uno sfasamento temporale tra il rilascio delle autorizzazioni e il momento delle consegne: cioè, in parole semplici, ci vuole del tempo per fabbricarli e consegnarli e quindi ciò che è stato autorizzato lo scorso anno solo in gran parte verrà esportato a partire dal quest’anno. Ma occorre anche ricordare che le autorizzazioni comprendono una fetta, a volte consistente, di licenze di fabbricazione all’estero che l’Agenzia delle Dogane, che è quella che certifica appunto i passaggi doganali, non può riportare nella relazione di sua competenza perché non si tratta di beni tangibili ma, appunto, di licenze di fabbricazione.
I dati esaminati da OPAL, si riferiscono propriamente alle esportazioni, cioè ai materiali esportati (e non quindi alle autorizzazioni o licenze) e soprattutto non considerano tutti i materiali militari complessi (aeromobili, navi, mezzi terrestri, sistemi elettronici e di radaristica, ecc.) ma solo le “armi e munizioni”, cioè tutto (e solo) quanto riguarda le armi propriamente dette (mitragliatrici, fucili, carabine, pistole, revolver, ecc.) sia di tipo militare che cosiddetto “comune” e il munizionamento sia pesante (come bombe e altri ordigni) che “leggero” (munizioni, pallottole, cartucce ecc.).
Cala l’export, ma fa il botto in Medio Oriente
Le esportazioni effettive dall’Italia di armi e munizioni, di tipo militare e comune, mostrano anche nel 2016 un leggero calo (-2,4%): dai 1.252.573.023 euro del 2015 – che avevo esaminato in questo articolo – si passa ai 1.222.438.632 euro dello scorso anno in contrazione anche rispetto ai 1.302.319.271 euro del 2014. Fanno il botto invece le forniture, soprattutto di munizionamento militare, ai paesi del Medio Oriente: si tratta di oltre 161 milioni di euro con un incremento del 63,0% rispetto al 2015. In particolare aumentano le esportazioni all’Arabia Saudita (40 milioni di euro), ma soprattutto verso la Giordania (52 milioni di euro).
E qui troviamo una conferma e una vera e propria anomalia. Innanzitutto i dati Istat esaminati da OPAL confermano il protrarsi nel 2016 di spedizioni di munizionamento dalla Sardegna alle Forze armate dell’Arabia Saudita. Si tratta, di fatto, delle bombe aeree prodotte nella fabbrica della RWM Italia di Domusnovas in Sardegna che – come ha documentato un rapporto delle Nazioni Unite – sono utilizzate dall’aeronautica militare saudita per effettuare bombardamenti in Yemen, anche sulle zone civili, in un intervento militare mai legittimato dall’Onu che in tre anni ha causato più della metà degli oltre diecimila morti tra la popolazione inerme. Le esportazioni di queste micidiali bombe sono proseguite anche durante quest’anno con il beneplacito del governo Gentiloni: nei primi sei mesi ne sono state spedite dalla Sardegna per oltre 28,4 milioni di euro che significa che le forniture sono sestuplicate rispetto ai 4,7 milioni del primo semestre del 2015. Si tratta di esportazioni che il Parlamento europeo ha chiesto, per ben tre volte, di fermare perché, in considerazione del coinvolgimento dell’Arabia Saudita “nelle gravi violazioni del diritto umanitario accertato dalle autorità competenti delle Nazioni Unite” nel conflitto in Yemen sono in violazione dei criteri stabiliti dalla Posizione Comune dell’UE. Violazioni sulle quali la maggioranza del nostro parlamento ha deciso di sorvolare, non sospendendo le forniture di bombe ai militari sauditi.
Armi e munizioni alla Giordania: chi le ha autorizzate?
Ma c’è un altro dato, particolarmente strano, sul quale gli analisti di OPAL hanno posto l’attenzione. Nel 2016 sono state esportate alla Giordania armi e munizioni per oltre 52 milioni di euro, per l’esattezza 52.213.637 euro. Se una piccola parte riguarda armi leggere esportate dalle aziende della provincia di Brescia (1.832.709 euro) e di munizioni dalla provincia di Lecco (986.134 euro), la parte più consistente riguarda esportazioni dalla provincia di Roma (49.331.855 euro). L’anomalia sta nel fatto che, dato l’ammontare, è impensabile che si tratti di “armi comuni”, cioè di armi destinate alla popolazione civile e quindi non soggette alle prescrizioni della legge n. 185 del 1990. E’ logico quindi pensare che si tratti di materiali militari, ma – ed è qui il punto – nelle Relazioni governative inviate negli anni recenti al Parlamento le autorizzazioni all’esportazione di armamenti alla Giordania non raggiungono i 28 milioni di euro. E quindi, all’appello, ne mancano due dozzine di milioni di euro. Per capirci: chi e quando ha autorizzato l’esportazione alla Giordania di oltre 49 milioni di euro di “armi e munizioni”? E di che tipo di materiali si tratta? Due domande semplici che i parlamentari – e anche qualche organo di informazione nazionale – farebbero bene a porre al governo. Vedremo nei prossimi giorni se vi saranno riscontri.
Tante pistole per gli Usa, ma anche all’Iraq
Un altro forte incremento illustrato da OPAL consiste nell’export di rivoltelle e pistole: nel 2016 ammonta a 76.442.770 euro raggiungendo così la cifra record dal 1990. Un record ottenuto soprattutto all’aumento di esportazioni verso gli Stati Uniti (40.496.862 euro), ma anche verso diversi paesi del Medio Oriente (17.732.923 euro, cifra record dal 1990), tra cui principalmente l’Iraq (38.100 pistole per un ammontare di 14.820.131 euro), ma pure alla già citata Giordania (8.332 pistole per un valore di 1.732.839 euro), all’Oman (3.500 pistole per 977.364 euro) e finanche all’Egitto (1.233 pistole per 433.607 euro). A cui vanno aggiunte le esportazioni soprattutto al Messico (5.293 pistole per 1.645.377 euro) e al turbolento Venezuela (1.550 pistole per 762.061 euro) di cui ho già parlato in due precedenti miei articoli. In lieve calo (-1,6%) invece le esportazioni di carabine e fucili (258.465.526 euro) che però vedono una ripresa soprattutto nei paesi dell’UE (82.650.507 euro).
Gli affari delle aziende di Brescia
La provincia di Brescia si conferma anche nel 2016 come la principale zona di esportazione di armi e munizioni sia di tipo militare che per armi comuni: con quasi 326 milioni di euro ricopre più di un quarto di tutte le esportazioni nazionali in questo settore e rispetto al 2015 il giro di affari nel 2016 è aumentato del 9,6%. In forte crescita sono soprattutto, anche in questo caso, le esportazioni di armi e munizioni verso il Medio Oriente che nel 2016, con oltre 31 milioni di euro, hanno raggiunto la cifra record degli ultimi venticinque anni. Gli Stati Uniti (131 milioni di euro) si confermano il principale acquirente di armi prodotte a Brescia, ma nel 2016 figurano consistenti spedizioni anche verso l’Iraq (16 milioni), la Turchia (12 milioni), gli Emirati Arabi Uniti (6 milioni), Singapore (5,6 milioni) e Messico (4,2 milioni).
E proprio a questo riguardo l’Osservatorio OPAL non ha mancato di notare che anche quest’anno le esportazioni di armi italiane e bresciane rivelano il “permanere di consistenti forniture di tipo militare a paesi in zone di conflitto” ed “il persistere di spedizioni di armi semiautomatiche alle forze dell’ordine e a corpi di sicurezza di regimi autoritari internazionalmente riconosciuti per le reiterate violazioni dei diritti umani”.
Un festival controcorrente
«Riteniamo importante – ha commentato Piergiulio Biatta, presidente di OPAL – portare all’attenzione nazionale queste informazioni per riaprire il confronto pubblico, anche nella città e nella provincia di Brescia, sulla produzione e soprattutto sulle esportazioni di materiali militari e di armi comuni. Il forte incremento di esportazioni verso le zone in cui sono in corso conflitti armati, verso paesi governati da regimi autoritari, a monarchie assolute islamiche e a paesi belligeranti pone gravi interrogativi a tutte le parti sociali ed in particolare alle rappresentanze politiche» – ha aggiunto Biatta.
Si tratta di questioni a cui sono particolarmente sensibili le associazioni che fanno parte dell’Osservatorio OPAL che, insieme a numerose altre associazioni locali e all’Amministrazione comunale hanno promosso e celebrato nei giorni scorsi proprio a Brescia il primo “Festival della pace”. Un evento sul quale le realtà vicine al settore armiero hanno manifestato, nei modi che conoscono bene, più di qualche rimostranza. Ma che ha saputo sollevare, in alcuni dibattiti particolarmente partecipati dalla cittadinanza, questioni importanti che riguardano quei “beni comuni” che molti, in direzione ostinata e contraria ai venti di guerra, continuano a considerare preziosi: il disarmo e la pace.
Giorgio Beretta