“Cos’è oggi la Libia si sapeva già…”. O, ancora: “Sono cose terribili, ma in fondo già note”. E via di questo tono. E’ con dichiarazioni di questo genere che vari esponenti del Governo e del Parlamento italiano hanno reagito alla dura presa di posizione di Zeid Raad Al Hussein, il commissario Onu per i diritti umani il quale, evidenziando l’orrore dei lager libici, ha contestato la politica migratoria dell’Unione Europea, condannando in particolare l’accordo tra Roma e Tripoli per fermare gli sbarchi. “E’ disumana – ha detto testualmente Zeid Raad – la scelta Ue di assistere le autorità libiche nell’intercettare i migranti nel Mediterraneo e riportarli nelle terrificanti prigioni in Libia. La sofferenza dei migranti detenuti in Libia è un oltraggio alla coscienza dell’umanità”. La conferma di questo inferno è arrivata, in quelle stesse ore,  da un reportage della Cnn che ha documentato la vendita all’asta di alcuni profughi come schiavi, esattamente nei modi che diversi richiedenti asilo sbarcati in Italia hanno raccontato negli ultimi mesi a varie Ong e operatori umanitari. Ma la reazione alle immagini sconvolgenti della Cnn da parte della politica italiana è stata sostanzialmente la stessa: “Già si sapeva…”. Ovvero, nessuna presa di distanza ma, anzi, quasi una auto-assoluzione e un ulteriore supporto alla Libia. Non a caso i principali giornali libici – ad esempio il Libya Herald o il Libyan Express – hanno titolato: “L’Italia difende la Libia contro l’Onu dall’accusa di accordo inumano sui migranti”.

Allora, “si sapeva”. Certo che si sapeva. A parte tutti i dossier e le denunce alla stampa che si susseguono da anni ad opera di Ong come Medici Senza Frontiere, Amnesty, Medici per i Diritti Umani, Human Rights Watch, sono numerosi i rapporti fatti anche da istituzioni internazionali. Qualche esempio, solo negli ultimi 12 mesi.

– Metà dicembre 2016. Dopo lunghe, accurate indagini sul campo, la relazione della missione Onu in Libia non lascia adito a dubbi: la maggior parte dei 34 centri di detenzione sono lager dove maltrattamenti, torture, lavoro coatto, violenze di ogni genere sono la vita quotidiana. E dove spesso i trafficanti hanno campo libero anche con la complicità di funzionari dello Stato o delle forze di polizia ad ogni livello. Un inferno che per le donne è ancora più inferno: il rischio di essere catturate e stuprate è così alto che moltissime ragazze, costrette a fuggire dalle condizioni terribili che vivono nel proprio paese, prima di entrare in Libia assumono per mesi dosi massicce di anticoncezionali, per cercare almeno di evitare una gravidanza indesiderata ma procurandosi spesso danni irreversibili, come hanno poi confermato diversi mesici in Italia.

– Marzo 2017. La Corte Penale Internazionale apre un’inchiesta sugli orrori subiti dai migranti in Libia. Ne dà ufficialmente notizia due mesi dopo, in maggio, il procuratore capo Fatou Bensousa, magistrato gambiana, durante un’audizione al Consiglio di sicurezza dell’Onu. “Il Mio ufficio – dichiara – sta raccogliendo prove sui crimini perpetrati contro i migranti in Libia, diventata ormai un mercato per il traffico di esseri umani. Secondo fonti credibili, gli stupri, gli omicidi e gli atti di tortura sarebbero all’ordine del giorno. Sono rimasta scioccata da queste informazioni. Migliaia di migranti, tra cui donne e bambini, risultano detenuti ovunque, nel paese, in condizioni spesso disumane”.

– Maggio 2017. Pochi giorni dopo l’audizione di Fatou Bensousa alle Nazioni Unite, in una intervista rilasciata al quotidiano La Stampa, Flavio Di Giacomo, portavoce italiano dell’Organizzazione Internazionale Migrazioni (Oim), rileva esattamente lo stesso orrore: “Abbiamo notizie di violenze indicibili: stupri e torture, migranti costretti a seppellire vivi migranti feriti… E si tratta spesso di violenze razziali, perché le vittime sono tutte di colore”. A confermare materialmente questa ed altre denunce analoghe sono i segni delle torture, cicatrici e piaghe dolorose, sui corpi di molti dei profughi riusciti a sbarcare in Europa. O, ancora, la percentuale altissima di giovani donne in stato di gravidanza dopo essere state violentate durante il lungo itinerario verso l’Europa, quasi sempre dalle guardie dei campi di detenzione.

– Aprile-maggio 2017. Due rapporti dell’Oim denunciano che si è creato un vero e proprio mercato degli schiavi, alimentato da trafficanti che dispongono di un numero pressoché infinito di migranti, L’asta si svolge alla luce del sole, in una delle principali piazze di Sabha, il capoluogo del Fezzan, sul quale confluiscono gran parte delle strade e delle piste dal Sudan, dal Ciad e dal Niger e dal quale si dipartono le vie che conducono a nord, verso la costa mediterranea. Alla periferia della città peraltro – come riferiscono altre fonti – c’è un enorme lager che sarebbe la base di un grosso trafficante: una sorta di fortezza circondata da alte mura e filo spinato, sorvegliata giorno e notte da miliziani armati. Il primo rapporto risale all’inizio di aprile. Il Consiglio Municipale di Sabha ha cercato di contestarlo, asserendo che è basato solo sulle testimonianze “di migranti africani irregolari”, i quali avrebbero raccontato l’orrore di esseri umani messi all’asta solo per muovere a pietà i funzionari Oim e ottenere una tutela internazionale. L’Oim non solo ha mantenuto il punto ma, a metà maggio, ha pubblicato un secondo rapporto ancora più dettagliato e sostenuto da un gran numero di testimonianze di migranti provenienti soprattutto dalla Nigeria, dal Ghana e dal Gambia ed entrati in Libia dal Niger. “Secondo quanto hanno riferito all’Oim coloro che sono riusciti a salvarsi – scrive il Libyan Express – centinaia di migranti, catturati lungo le rotte del Nord Africa, vengono comprati e venduti senza problemi in un vero e proprio, moderno mercato di schiavi”.

Colpisce in particolare il racconto di un giovane senegalese, che ricostruisce i fatti con estrema precisione, dal momento in cui ha versato i 320 dollari di ticket al “passatore” per attraversare il deserto da Agadez alla Libia fino a quando, giunto a Sabha stipato su un pick-up stracarico di giovani come lui, è stato portato direttamente in uno spiazzo dove era in corso un’asta di esseri umani: “Migranti sub-sahariani – ha testimoniato – erano venduti e comprati da libici, con l’aiuto di ghanesi e nigeriani che lavoravano per loro”.

– Maggio 2017. Dopo aver visitato alcuni centri di detenzione a Tripoli, Filippo Grandi, commissario Onu per i rifugiati, si dice scioccato per le durissime condizioni in cui sono costretti migliaia di rifugiati e migranti: “Bambini, donne e uomini che hanno già patito tantissimo non dovrebbero essere costretti a sopportare ancora così gravi sofferenze”. Quali fossero queste “così gravi sofferenze” lo hanno rivelato più esplicitamente, nelle settimane e nei mesi successivi, i precisi, dettagliati, lunghi rapporti pubblicati prima da Medici Senza Frontiere, il 7 settembre, con l’aggiunta di una lettera “riassuntiva” diretta al presidente del Consiglio Paolo Gentiloni; e poi da Medici per i Diritti Umani, il 2 ottobre, frutto di un’inchiesta incentrata in particolare sui lager di Tripoli, Sabha, Gharyan, Beni Walid, Zawiya e Sabratha.

– Settembre 2017. Il Consiglio d’Europa, attraverso il commissario per i diritti umani Nils Muiznieks, chiede chiarimenti al ministro Marco Minniti sull’accordo con la Libia, osservando che “anche quando uno Stato ha difficoltà ad affrontare il flusso dei migranti, ha tuttavia il dovere di proteggere e tutelare i loro diritti umani”. Di più: facendo riferimento ai numerosi rapporti sulla situazione in Libia, si rileva che “consegnare delle persone alle autorità libiche e ad altri gruppi in Libia le esporrebbe al reale rischio di tortura o di trattamenti inumani e degradanti”. E non a caso si ricorda che l’Italia è già stata condannata dalla Corte Europea per i Diritti dell’Uomo, nel 2012, per aver consegnato numerosi migranti ai libici. La risposta del Viminale è che “mai navi italiane o che collaborano con la Guardia Costiera italiana hanno riportato in Libia migranti salvati in mare”. Che è vero. Ma non è questo il punto. Il punto è che l’essenza dell’accordo stipulato tra Roma e Tripoli si sta rivelando, di fatto, una sorta di “appalto” alla Guardia Costiera libica per il “lavoro di respingimento”. Ovvero, una “consegna indiretta” dei rifugiati alla Libia, dove spesso diventano schiavi sottoposti ad ogni genere di violenze e venduti come una merce qualsiasi.

– Ottobre 2017. La Corte d’Assise di Milano riconosce che i centri di detenzione in Libia sono luoghi in cui ogni diritto, anche il più elementare, viene calpestato: luoghi di tortura e di costante violazione della dignità degli esseri umani. E’ questo il significato profondo della sentenza di condanna all’ergastolo di un trafficante somalo che “operava” nel campo di Beni Walid e che, arrivato in Italia spacciandosi per profugo, è stato arrestato dopo che alcune delle sue vittime lo hanno riconosciuto: un atto d’accusa anche contro gli accordi stipulati tra Roma e Tripoli. Il processo, infatti, ha fatto emergere tutta la realtà di torture, stupri, omicidi dei lager libici, paragonati dal pubblico ministero ai lager nazisti. Una realtà nella quale i migranti vengono intrappolati anche dalla politica di chiusura e respingimento attuata dall’Italia con la collaborazione della Libia..

Ma non è solo questione di lager. Così come il calvario dei centri di detenzione, è ben noto anche il comportamento della Marina libica. Non a caso, nel luglio 2017, le indagini della Corte Penale Internazionale sulla violazione dei diritti umani nelle carceri libiche vengono estese alla Guardia Costiera di Tripoli, la “collaboratrice” più diretta della politica italiana di esternalizzazione delle frontiere. Il motivo di questo ampliamento dell’inchiesta è che i fatti che accadono a terra e in mare sono strettamente collegati. “E’ sempre più evidente – scrive in proposito il Corriere della Sera – che quanto avviene in terraferma è la conseguenza diretta di ciò che accade in mare, dove la Guardia Costiera intercetta i migranti e li riporta indietro, per finire, appunto, nei famigerati centri di detenzione”, agendo peraltro con metodi di una violenza inaudita. L’elenco degli esempi è infinito. Ecco alcuni dei più significativi:

– Ottobre 2013. Sparatoria e conseguente affondamento, alcune ore dopo, a 60 miglia da Lampedusa, di un barcone carico di profughi siriani. Oltre 260 le vittime.

– Agosto 2013. Sparatoria e abbordaggio della nave Bourbon Argos che, allestita da Medici Senza Frontiere, sta facendo rotta verso l’Africa per soccorrere i barconi dei migranti.

– Ottobre 2016, giorno 21. Violenze, percosse, minacce, abbordaggio di un gommone carico di profughi e colpi di arma da fuoco sparati dall’equipaggio di un motovedetta mentre è in corso un’operazione di salvataggio condotta dalla nave Sea Watch 2. Circa 30 morti.

– Febbraio 2017. Migranti presi a frustate da uomini della Guardia Costiera libica per prelevarli da un gommone, in acque internazionali. La scena viene documentata da Medici Senza frontiere con un video.

– Maggio 2017, giorno 17. Sfiorato da una motovedetta lo speronamento di una nave di Sea Watch, nel tentativo di tagliarle la rotta per impedire che possa prestare soccorso a un gommone carico di profughi in difficoltà.

– Maggio 2017, giorno 24. Spari in aria e minacce contro barconi in procinto di affondare e la nave Aquarius di Medici Senza Frontiere che li sta soccorrendo.

– Maggio 2017, giorno 26. Unità della Marina libica spara contro una motovedetta della Guardia Costiera italiana, che si allontana rapidamente. In serata il comando di Tripoli “si scusa”, asserendo che si è trattato di un errore: la nave italiana sarebbe stata scambiata per un battello di trafficanti. Non risultano note ufficiali di protesta da parte di Roma. E comunque l’episodio dimostra quali “regole di ingaggio” si sia data la Marina libica, incluso l’uso “facile” dei mitra.

– Agosto 2017, giorni 8 e 15. La Ong spagnola Proactiva Open Arms denuncia che una sua unità ha subito minacce, accompagnate da colpi di arma da fuoco in aria, da parte di una motovedetta libica durante un’operazione di salvataggio

– Novembre 2017, giorno 6. L’equipaggio di una motovedetta libica ostacola con la forza l’intervento della nave Sea Watch 3, che ha raccolto la chiamata d’emergenza della Guardia Costiera italiana per prestare soccorso a un gommone con a bordo quasi 150 migranti in procinto di affondare a 30 miglia dalla costa africana, in piene acque internazionali. Alla fine si contano almeno 40 vittime.

Ecco, è tutto questo che il governo e la politica italiana hanno liquidato con una scrollata di spalle, definendo “cose note” sia quanto ha mostrato il documentario della Cnn, sia gli argomenti citati dall’alto commissario Onu Zeid Raad Al Hussein quando ha definito “disumane” le scelte della Ue sui migranti e in particolare l’intesa Roma-Tripoli. “Cose note” e, dunque, nessuna necessità di ripensamento sulle scelte fatte: l’accordo con la Libia resta saldo e va avanti.. “Cose note”. Certo che sono cose già note. Ma è proprio qui il punto. Se il governo era a conoscenza – e non poteva non esserlo – che blindare il Mediterraneo e intrappolare in Libia migliaia di migranti significa condannarli a un girone infernale senza fine e, ciononostante, non solo non ha scelto una via alternativa, ma addirittura ha fornito e continua a fornire a Tripoli mezzi e finanziamenti per rendere sempre più insormontabili le muraglie della Fortezza Europa, allora quel “sono cose note” diventa non una scusante, ma un’ammissione di responsabilità. Una confessione da portare di fronte a una corte di giustizia.

Emilio Drudi

Da Tempi Moderni

https://www.a-dif.org/