Innanzitutto desidero ringraziare il GUE, il Gruppo della Sinistra Europea/Verde Nordica, Milano in Comune e tutti coloro che come volontari, relatori, coordinatori delle sessioni e dei gruppi hanno dato e stanno dando il loro contributo per la riuscita di questa importante giornata. Solo due mesi fa tutto questo sembrava impossibile.
Come sapete domani e lunedì si riunirà a Milano il G7 sulla salute. L’abbiamo scoperto per caso: fino ad un paio di mesi fa non ne sapevano nulla nemmeno a Palazzo Marino, sapevano solo che era stato prenotato Palazzo Reale per una sontuosa cena. Nient’altro. Solo da un paio di settimane si conoscono i temi all’ordine del giorno: le conseguenze sulla salute dei cambiamenti climatici, la salute della donna e dei bambini e la resistenza agli antibiotici.
Da qualche giorno escono le notizie sui quotidiani: ci informano quali mostre i “grandi” andranno a visitare e sul menù delle loro cene. Null’altro. Un incontro clandestino, sospeso tra la mondanità e il nulla. Tutti sanno che è così, anche coloro che per dovere professionale devono trovare qualche notizia da sbattere in pagina.
Eppure il paziente sta male, soffre, continua a peggiorare, avrebbe bisogno di una cura decisa e forte, ma sa che nessuno verrà a salvarlo, potrà contare solo sulle sue forze.
I potenti, “i grandi” come si fanno chiamare, dedicheranno tre ore a discutere dei cambiamenti climatici, un’ora e mezza per ragionare sulla salute della donna e dei bambini e poco più di un’ora per parlare di farmaci, poi l’abbuffata, le foto ricordo, i discorsi formali e l’aereo che li riporta a casa.
Eppure le questioni all’ordine del giorno sono di rilevanza fondamentale per il presente e per il futuro dell’umanità. Attorno a quei tavoli non siederanno medici e terapeuti preoccupati per la salute degli esseri umani e del pianeta, ma alcuni tra i massimi responsabili di un modello di sviluppo che ci sta portando velocemente verso il baratro.
Sono i rappresentanti di quegli stessi governi che in gran segreto dal 2013 stanno trattando l’accordo TiSA (Trade in Services Agreement) sugli scambi dei servizi, tra questi vi sono anche l’istruzione e la sanità.
Nel 2014 WikiLeaks, l’organizzazione di Julian Assange, ha per la prima volta rivelato l’esistenza di tali trattative. Il Tisa sarebbe il più grande accordo commerciale mai discusso; i servizi infatti rappresentano circa il 70% del PIL mondiale. Il 4 febbraio 2015 l’agenzia AWP Associated Whistleblowing Press (agenzia formata da giornalisti investigativi) ha reso pubblico un documento del Tisa dove si può leggere: “C’è un potenziale enorme ancora non sfruttato per la globalizzazione dei servizi sanitari”. Si parla di un mercato di diverse centinaia di miliardi. Ma questo mercato non ha potuto ancora essere sfruttato pienamente. Ciò – viene spiegato nel documento – è dovuto al fatto che i sistemi sanitari sono finanziati ed erogati dallo Stato o da enti assistenziali e fino a quando la situazione rimane questa, non sono di nessun interesse da parte degli investitori stranieri a causa dell’assenza di finalità commerciali.La soluzione proposta e praticata è semplice: privatizzare tutto, aprendo le porte ai grandi fondi finanziari, alle compagnie internazionali di assicurazioni e contemporaneamente cancellando il ruolo dello Stato come responsabile della salute collettiva.
Ecco allora la vera discussione che verrà fatta, che già è stata fatta lontano dalle telecamere: come trarre ulteriore profitto dalla nostra salute e dalla devastazione del pianeta.
Di fronte a tutto questo noi abbiamo lanciato un appello perché si realizzasse un incontro al massimo livello tra scienziati, ricercatori e attivisti impegnati nella difesa della salute per proporre delle alternative praticabili per salvare il pianeta, le nostre vite e quelle delle generazioni future. Questo appello, come potete vedere dal programma, è stato raccolto da donne e uomini che hanno dedicato la loro vita alla ricerca scientifica, impegnati ogni giorno in istituzioni prestigiose, alcune delle quali tutt’ora all’avanguardia nella ricerca medica, eppure oggi sono qui con noi, anzi, direi che, proprio per le conoscenze che hanno acquisito dai loro studi, vivono come noi la tragica consapevolezza della situazione odierna.
Alcuni di loro hanno provato a chiedere attenzione ai potenti della terra, li hanno rincorsi fin dentro le loro prestigiose sedi; qualcuno è anche stato ricevuto, ha provato a presentare i risultati delle proprie ricerche trovando solo indifferenza talvolta mista a derisione, compassione e lusinghe affinché volgesse altrove i propri interessi. E oggi sono qui con noi.
La sfida che noi lanciamo è quella di contribuire a costruire un’alleanza duratura tra una parte significativa del mondo scientifico e i movimenti sociali, il mondo delle associazioni perché, come recita il nome del nostro comitato, la salute non può avere né padroni, né confini.
I DETERMINANTI SOCIALI DELLA SALUTE
Per noi, come recita l’OMS la salute continua ad essere “uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non la semplice assenza dello stato di malattia”. Anche per questo, e qui mi rivolgo ai miei connazionali, abbiamo difeso la Costituzione che all’art. 32 recita: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti …” Notate bene. E’ l’unico articolo della Costituzione dove si parla di individuo e non di cittadino: la salute, per i nostri padri costituenti, è un bene comune, il bene per eccellenza che come tale deve essere tutelato. Nessuno può quindi essere privato delle terapie necessarie a causa della sua condizione economica. Ed infatti l’art. 3 della Costituzione, dopo aver affermato l’uguaglianza di tutti i cittadini senza alcuna distinzione, recita. “E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini impediscono il pieno sviluppo della persona umana ….” Questa è senza dubbio la parte più innovativa che testimonia la grandezza della nostra Costituzione e che spiega perché tanti hanno fatto di tutto per modificarla. Infatti non si limita ad affermare dei principi teorici di uguaglianza, ma affida esplicitamente allo Stato il compito di rimuovere tutti quegli ostacoli che non rendono pienamente fruibili i diritti declamati.
E’ questo lo Stato nel quale crediamo.
Ma la situazione è ben diversa: nell’attuale piramide sociale del mondo l’8,6% della popolazione controlla l’85% della ricchezza, ma soprattutto il 70% dei cittadini ha a disposizione meno del 3% della ricchezza del pianeta. La situazione peggiora di anno in anno. E quando parliamo di ricchezza e di povertà non parliamo più solo di emisfero nord e di emisfero sud.
Lenzie e Calton sono due zone di Glasgow, distanti fra loro meno di 10 miglia eppure, fra loro, vi è una differenza nell’attesa di vita di quasi trent’anni; trent’anni, non tre mesi, tra chi vive in un quartiere povero e chi vive in una zona residenziale e siamo sempre in Scozia, non in un paesino del Burundi confrontato con una cittadina canadese.
Ecco cosa significa valutare i determinanti sociali della salute. Ecco quanto la povertà, le condizioni abitative, il lavoro piuttosto che la disoccupazione incidono sulla qualità ma anche sulla durata della nostra vita. E non è qualcosa di lontano da noi; in un recente convegno dei ricercatori dell’Istituto Mario Negri hanno mostrato come anche nell’europea Milano esiste, tra le zone ricche e le periferie, un preciso gradiente relativo all’attesa di vita, anche se per fortuna non drammatico come quello che abbiamo visto.
LA PREVENZIONE, PRIMA DI TUTTO
Spesso nei convegni di medicina si ricorda come nell’antica Cina i medici venivano premiati e pagati tanto di più quanto meno i cittadini affidati alle loro cure si ammalavano. Era la prevenzione la materia principe di chi si avvicinava alla scienza medica. Oggi la prevenzione è scomparsa, è la Cenerentola della medicina. In Italia la spesa per la prevenzione è inferiore al 5% del totale della spesa sanitaria; prevenzione significa costante attenzione alle condizioni di vita della popolazione nei suoi diversi aspetti.
Ma la prevenzione non necessita di farmaci, di grandi ospedali, di sofisticate tecnologie; la prevenzione non produce grandi profitti, non spalanca le porte ad interessi privati e allora non interessa. E, anche in questo caso solo per fare un esempio, si lascia che ogni anno in Italia s’infettino oltre 3.600 persone con l’HIV, il virus dell’AIDS, 10 ogni giorno. Delle campagne di prevenzione e di informazione non c’è l’ombra, né nelle strade, né nelle scuole, eppure ogni persona che s’infetta non solo è destinata a vivere una condizione difficile, sul piano sociale e umano, ma dovrà assumere per tutta la vita delle terapie, sottoporsi a degli esami diagnostici e questi costano alla collettività, non meno di 10.000 euro all’anno per persona. Oggi, solo in Italia, sono oltre 60.000 le donne e gli uomini in terapia con gli antiretrovirali nell’indifferenza delle istituzioni e tra i brindisi delle multinazionali che si garantiscono dei clienti fissi, come li chiamano loro, per i prossimi trent’anni. Nel mondo si sono infettati con l’HIV nel 2016 1.800.000 persone.
Secondo i dati dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), pubblicati nel World Malaria Report 2016, sono circa 212 milioni i casi di malaria stimati nel mondo nel 2015 e circa 429 mila i decessi, il 70% dei quali tra bambini di età inferiore ai 5 anni (di cui 292 mila nella Regione Africana), seguita dal Sud-Est asiatico (7%) e dalla Regione del Mediterraneo orientale (2%).
Per non parlare del tabacco, che è la prima causa di morte tra le patologie non trasmissibili; la British American Tobacco è stata tra le principali finanziatrici della fondazione Open di Matteo Renzi, solo per restare in Italia.
IL BUSINESS DEI FARMACI
La malattia come fonte di profitti immensi: Big Pharma compete con l’industria militare per i migliori dividendi da distribuire ai suoi azionisti. Nel frattempo undici milioni di italiani hanno rinunciato a curare almeno una patologia e negli USA i più poveri muoiono in media 14 anni prima dei più ricchi; la metà delle persone sieropositive nel mondo non possono accedere alle cure e in quello che era il ricco Occidente oltre un milione di persone non possono assumere le nuove efficaci terapie contro l’epatite C , solo per fare degli esempi.
Se le aziende di Big Pharma non si sono scomposte di fronte alla condanna a 14 miliardi di dollari di multe in cinque anni per corruzione e pubblicità fasulla è perché si paga volentieri quando il reato produce guadagni molte volte maggiori delle sanzioni!
Il costo di ricerca e produzione del Sofosbuvir, il farmaco contro l’epatite C, non arriva al 10% del prezzo con il quale il farmaco è stato messo sul mercato e per la prima volta anche nei “ricchi” paesi occidentali è stato inserito il numero chiuso per curarsi. La logica è molto semplice: puoi curarti se la tua malattia progredisce, in sintesi devi aspettare che la tua situazione clinica peggiori. Chi resta fuori o ha i soldi per comprarlo pagando decine di migliaia di dollari, o può provare ad andare in India o in Egitto dove il costo del farmaco è 10, 20, 50 volte minore. E pensare che la Gilead ha comprato il principio attivo da una start up americana che aveva potuto svolgere le ricerche grazie a fondi pubblici. Quando si dice che il pubblico finanzia il privato! E ora si annuncia l’arrivo di nuovi farmaci oncologici con un costo che arriverà anche a 100.000 euro per ciclo! Quale stato potrà garantire simili terapie? Non solo. Chi ne controllerà l’efficacia e il reale vantaggio nell’aumentare la sopravvivenza?
Noi chiediamo che nell’immediato gli Stati applichino le due clausole contenute negli accordi TRIPs, gli accordi sulla proprietà intellettuale, clausole che permettono a una nazione, quando non è in grado di garantire le cure ai propri cittadini, di produrre direttamente i farmaci senza rispettare i brevetti.
Contemporaneamente chiediamo che i nostri governi rimettano in discussione, nell’Organizzazione Mondiale del Commercio, gli accordi TRIPs; non ha alcun senso garantire un monopolio della produzione per vent’anni, quando spesso in un anno le aziende hanno recuperato tutte le spese e gli investimenti. Non è solo una richiesta ai governi, ma questo sarà uno dei nostri obiettivi condivisi.
Ma non è sufficiente. Non è possibile lasciare che l’industria farmaceutica sia monopolio del privato; è importante battersi perché risorga un industria pubblica del farmaco, anche sovranazionale, ma pubblica, che abbia come obiettivo la cura e non il profitto.
Abbiamo parlato finora di patologie per le quali esistono delle cure, ma sono sempre più inabbordabili per un’immensa quantità di persone. Ma c’è di peggio. Ci sono le negletted deseases , le malattie dimenticate, per le quali non si fa ricerca perché colpiscono popolazioni povere fuori dal mercato e per le quali, in alcuni casi, i farmaci ci sarebbero ma vengono tenuti nel cassetto perché non produrrebbero profitti.
LA RICERCA SUL GENOMA E L’EMA
Il corpo umano è da un lato ignorato, calpestato, abbandonato a se stesso, ma dall’altra parte fonte di guadagno e terra di conquista in tutto il mondo e anche qui, vicino a noi. E’ di qualche mese fa la notizia di un accordo con il quale il governo italiano ha garantito all’IBM la fornitura dei dati sanitari prima della popolazione lombarda e poi di tutta la popolazione italiana. Grandi banche dati nelle mani dell’IBM che, insieme con i colossi dei farmaci e delle sementi, potranno sviluppare ricerche sul genoma. Temo che non siano lontani i tempi nei quali parti dell’essere umano verranno privatizzate, come lo sono stati semi e piante che da secoli erano presenti nella natura.
Diciamo con forza che siamo contrari a questi progetti che si sviluppano oltretutto fuori da qualunque controllo democratico, siamo contrari qui a Milano al progetto Human Technopole. Parlano di un futuro fondato su una medicina personalizzata, ma personalizzata per chi? Futuro per chi, quando la maggioranza della popolazione umana non può accedere alle terapie già disponibili oggi?
Pensiamo che il dibattito sulla collocazione geografica dell’Agenzia europea per i medicinali (EMA) così come si sta svolgendo non abbia alcun senso; prima di sapere in quale città sarà collocata la nuova sede vorremmo sapere perché l’EMA, come denunciato recentemente da un pool di scienziati di tutta Europa, non conduce delle ricerche indipendenti per valutare l’efficacia di un farmaco, per analizzarne gli effetti collaterali; vorremmo sapere perché i giudizi dell’EMA si fondano solo sulle ricerche presentate dalle aziende farmaceutiche. Vorremmo sapere quali sono le garanzie dell’assenza di conflitto d’interesse tra chi lavora per le agenzie internazionali nel campo della salute e chi lavora per le multinazionali. La vicenda della falsa influenza epidemica H1N1 è ancora troppo recente. Ma su tutto questo i governi che si contendono l’EMA non hanno nulla da dire.
I DRASTICI TAGLI DEI FINANZIAMENTI PER LA SANITA’
I paesi maggiormente colpiti dalla crisi, anche nell’emisfero occidentale, hanno tagliato principalmente proprio sulla sanità e la quota del PIL destinato alla sanità pubblica diminuisce in continuazione.
Per capire cosa accade prendiamo come esempio il nostro paese: dal governo di Mario Monti ad oggi vi è stato un taglio del finanziamento al Servizio Sanitario Nazionale pesantissimo; solo Grecia e Portogallo hanno fatto peggio di noi. Tra il 2010 e il 2014 – secondo la Corte dei Conti – al Ssn sono stati tolti 14,5 miliardi e altri 10,5 se ne stanno andando tra il 2015 e il 2018.
Le operazioni di marketing politico per acquistare facile consenso nascondono sempre l’altra faccia della medaglia: solo per fare un esempio per il bonus Irpef – gli 80 euro in busta paga – e per gli sgravi alle assunzioni del Jobs act sono stati sottratti circa 10 miliardi alla sanità nel 2015-2019.
Ecco cosa succede: ufficialmente ogni anno il finanziamento del Ssn cresce un po’, ma sempre meno di quanto era stato annunciato e meno di quanto sarebbe necessario anche solo per recuperare l’aumento dei prezzi delle tecnologie e dei servizi, stimato in media attorno al 2%.
Nel 2015 era stato annunciato che nel 2016 il Fondo nazionale sarebbe stato di 117 miliardi, che invece sono stati ridotti a 111, uno in più del 2015, ma 6 in meno del previsto.
Ora siamo nella stessa situazione. Il governo ha annunciato in pompa magna i nuovi LEA, i Livelli Essenziali di Assistenza, annunciando che nel 2018 per il Fondo Sanitario sarebbero stati stanziati 115 miliardi. Ma la vicenda è andata in modo diverso: la legge di Stabilità ha tagliato un miliardo, i ministeri del Tesoro e della Salute a giugno con un decreto hanno tolto altri 604 milioni, Gentiloni con la recente manovra sottrae alle Regioni altri 2,7 miliardi, di cui 300 milioni alla sanità e non dimentichiamo i 700 milioni necessari per il rinnovo del contratto.
Insomma, alla fine scenderemo a circa 113 miliardi; è ovvio che non sarà possibile garantire tutti i servizi previsti dai LEA, i cittadini saranno spinti, se hanno i soldi, a rivolgersi al privato. A pagare il prezzo più alto saranno le persone disabili, perché a questi tagli per loro si sommeranno i tagli alle Regioni dei finanziamenti a loro specificatamente dedicati. La previsione è che la spesa sanitaria nel 2020 arrivi al 6,3% del Pil, al di sotto della soglia minima prevista dall’OMS.
LA PRIVATIZZAZIONE DEI SERVIZI SANITARI
La privatizzazione della sanità aumenta di anno in anno. “Solo i ricchi potranno curarsi” non è una battuta, ma è sempre più la realtà dell’oggi. D’altra parte non è vero che la privatizzazione della sanità produce un risparmio della spesa, semplicemente trasferisce quote ingenti di spesa dallo stato al singolo cittadino.
LA PRIVATIZZAZIONE IN LOMBARDIA
Questa tendenza alla privatizzazione presente in tutto il mondo, è in stato più che avanzato anche nella nostra regione, dove la spinta per spostare la popolazione dal Servizio Sanitario Pubblico alle strutture private è realizzata con modalità subdole e apparentemente riferite a dati “oggettivi”, mentre invece nasconde responsabilità e volontà precise.
Le lunghe liste di attesa sono costruite ad hoc attraverso mille espedienti: la mancanza di un centralino unico tra strutture pubbliche e private convenzionate, in modo tale che risulta impossibile controllare le reali disponibilità; una crescita dell’intramoenia, la professione privata realizzata dentro le strutture pubbliche e la sua collocazione spesso negli orari di ambulatorio; la riduzione dei finanziamenti, per cui da ottobre nella nostra città è praticamente impossibile prenotare un visita o un controllo diagnostico senza attendere vari mesi, se non di più … E la cosa incredibile è che chi ha la responsabilità istituzionale di questa situazione osa rivolgersi ai cittadini proponendo loro di affidare le loro patologie croniche a un “gestore”, spesso una società privata, per superare le liste d’attesa; e per ottenere tutto questo non esita ad assumere atteggiamenti che facilmente possono apparire ricattatori e intimidatori verso i medici che difendono il loro ruolo nel Servizio Sanitario Nazionale; ce n’è abbastanza per arrivare alla denuncia.
LA DISTRUZIONE DEL PIANETA
La privatizzazione della sanità, l’appropriazione del corpo umano come fonte di guadagno procedono di pari passo con la privatizzazione dei Beni Comuni necessari alla sopravvivenza del genere umano e della altre specie, a cominciare dall’acqua e dalla terra.
Un modello di sviluppo fondato sugli idrocarburi, sul dominio di un’industria chimica indifferente alla salute umana, animale e vegetale, come mostra la vicenda del glifosato.
Un presente costruito sul mito della crescita e dell’illimitatezza delle risorse energetiche sta distruggendo il pianeta: il surriscaldamento sconvolge le stagioni, provoca fenomeni naturali drammatici che già oggi provocano centinaia di migliaia di morti. Nel futuro secondo l’Oms si potrebbe arrivare a 12,6 milioni di decessi tra il 2030 e il 2050. 250.000 morti in più ogni anno: per malnutrizione, malaria, diarrea e 20.000 morti per colpi di calore nella sola Europa.
PERCHE’ SIAMO QUI
“C’è stata una lotta di classe negli ultimi anni e la mia classe ha vinto” ha dichiarato soddisfatto Warren Buffet, nel 2016 indicato da Forbes come il terzo uomo più ricco del mondo, nonché amministratore delegato della Berkshire Hathaway, una holding statunitense, in assoluto una delle più grandi multinazionali del mondo.
Ma noi non pensiamo che la partita sia finita. La Storia non è finita. Per questo abbiamo sentito come nostro dovere morale, oltre che sociale e politico, organizzare oggi questo Forum e domani un momento di coordinamento tra tutte le realtà italiane disponibili a gestire insieme delle campagne.
Non si tratta solo di difendere il nostro presente, ma di poter guardare in faccia, con dignità e senza dover abbassare lo sguardo, le giovani generazioni alle quali rischiamo di lasciare un mondo decisamente peggiore di come l’abbiamo trovato.
Il nostro non è un grido di disperazione: quello che lanciamo è un segnale di speranza di chi rifiuta di arrendersi, di chi non ci sta a rifugiarsi in soluzioni individuali, di chi vorrebbe che chi nascerà domani non debba maledire la sua esistenza, ma possa ancora innamorarsi della vita e di quello che lo circonda.