Uguaglianza di genere
L’indice dell’uguaglianza di genere viene calcolato con un punteggio da uno a cento sulla base di un’analisi della situazione lavorativa, accesso a risorse finanziarie, tempo speso in lavoro domestico e attività sociali, partecipazione e traguardi educativi, salute e accesso ai servizi sanitari, presenza in ruoli decisionali in ambito politico ed economico. L’Ungheria ha ottenuto 50.8 punti, largamente al di sotto della media dei 28 dell’Unione. Non se la cavano certo meglio Romania e Slovacchia con un timido 52.4 né Repubblica Ceca e Polonia rispettivamente con 53.6 e 56.8.
I punteggi dell’Ungheria sono piuttosto alti, certamente sopra la media UE, negli ambiti lavorativo, sanitario e finanziario, ma sono tremendamente bassi per quanto riguarda la presenza in ruoli decisionali, traguardi educativi e tempo ricreativo a disposizione. In ambito politico, la presenza femminile in Parlamento raggiunge solo il 9,7% contro il 27,7% dell’UE, e i posti governativi ricoperti da donne sono stati solo 1,5% contro il 26,8% dell’UE.
Il problema di Fidesz con le donne
D’altronde Fidesz, il partito del premier ungherese Viktor Orbán, negli ultimi anni non si è mai speso in favore dei diritti delle donne. A livello comunitario il partito è membro del Partito popolare europeo (PPE) ma negli ultimi due anni in 58 casi si è astenuto o ha votato contro l’opinione della maggioranza. Al di là delle più note situazioni relative alla crisi migratoria, in molti casi Fidesz si è opposto a riforme europee che riguardavano un miglioramento nelle questioni di genere.
Tra questi si contano: maggiore supporto all’educazione femminile, implementazione del principio di uguali opportunità in ambito lavorativo e occupazionale, rafforzamento dell’uguaglianza di genere per i diritti delle donne nell’era digitale, prevenzione e combattimento del traffico di esseri umani, sviluppo di condizioni del mercato del lavoro favorevoli al bilancio tra lavoro e vita privata, report sui sussidi dell’UE per la promozione dell’uguaglianza di genere. Ciò non stupisce considerate le posizioni di Orbán sulla partecipazione delle donne in politica, ritenute “troppo delicate” per potersi occupare della cosa pubblica.
Patriarchia, dominio e libertà
Nel 2015, Orbán affermò che “si dovrebbero dare più opportunità alle donne nella vita politica”. Questo modo di ragionare presuppone siano gli uomini a dover concedere più spazio alle donne, decretando un dominio degli uni nei confronti degli altri. Sylvia Walby definisce la patriarchia come “un sistema di strutture e pratiche sociali in cui l’uomo domina, opprime e sfrutta la donna”. Il dominio non si sostanzia solo in violenza o diretta restrizione di libertà, ma piuttosto in modi di ragionare e imposizioni indirette.
I recenti dati sull’allarmante situazione della disuguaglianza di genere in Europa dell’Est non sono una novità, e si collocano sull’onda delle riforme restrittive della libertà riproduttive delle donne in Polonia e sulla differenza salariale di genere nell’area.
Gran parte della letteratura accademica, da Cavalcanti a Seguino alla stessa Banca Mondiale, concorda sul fatto che una maggiore partecipazione delle donne nel mondo del lavoro determinerebbe grossi incrementi di crescita economica. Un maggiore accesso delle donne al mercato del lavoro passa per leggi più sensibili sulle questioni di genere e maggiori tutele per la salute riproduttiva delle donne, come dimostrato da Euwals nel caso olandese. Sulla questione migranti come sulla questione di genere bisognerebbe capire che il controllo, ridotto a dominio, non aiuta, ma nuoce. Al contrario, più libertà genera liberazione per tutti.