La storia del Premio Nobel per la Pace è lunga, controversa e contraddittoria.
Basti pensare che M.K. Gandhi, sicuramente la figura universalmente riconosciuta come uomo di pace, non ricevette mai il prestigioso Premio. Fu candidato nel 1937 ma venne escluso: la sua campagna per l’indipendenza dell’India era in pieno svolgimento e, per opportunità, il Comitato di Oslo non volle fare uno sgarbo al Regno Unito. Quell’anno infatti fu premiato l’inglese Robert Cecil per la sua “Campagna internazionale per la pace”. Dopo una sospensione del Premio per la Pace di cinque anni, dal 1939 al 1943 a causa del conflitto mondiale, Gandhi fu nuovamente candidato al Nobel nel 1947, ma anche questa volta venne accantonato a causa delle fortissime tensioni per la divisione tra India e Pakistan, e si disse che il Mahatma sarebbe stato identificato con una delle due parti in causa (mentre invece era impegnato anche con il suo ultimo drammatico digiuno per la riconciliazione tra indù e musulmani). Fu assegnato un Premio meno problematico alla “Società religiosa degli Amici”, cioè ai Quaccheri (scegliendo, non a caso, le rappresentanze degli Stati Uniti e del Regno Unito). Ultima candidatura nel 1948, ma ormai Gandhi era morto assassinato e così quell’anno il Nobel per la Pace non venne assegnato “perché non vi è nessun candidato idoneo vivente” (un tributo e un riconoscimento tardivo al Mahatma).
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Nella lunga vita del Nobel per la Pace, dal 1901 ad oggi, hanno ricevuto il Premio importanti figure della storia della nonviolenza come Bertha von Suttner, Albert Schweitzer, Martin Luther King, Adolfo Pérez Esquivel, Desmond Tutu, Aung San Suu Kyi, Nelson Mandela.
Ma, in contrappeso, vi sono stati anche Premiati per un eccessivo realismo politico, diplomatici e Capi di Stato che non hanno mai messo in discussione il sistema militare che porta alla guerra: Franklin Roosvelt, George Marshall, Henry Kissinger, Barack Obama, l’Unione Europea.
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Nell’elenco dei Nobel ben otto premi sono stati dedicati alla causa del disarmo: nel 1962 contro i test nucleari; nel 1974 per l’adesione del Giappone al trattato di non proliferazione; nel 1982 ai delegati all’Assemblea generale delle Nazioni Unite sul disarmo; nel 1985 per le Campagne informative sulle conseguenze catastrofiche della guerra atomica; nel 1995 per ridurre il ruolo delle armi nucleari nella politica internazionale; nel 1997 per la campagna contro le mine anti-uomo; nel 2005 per gli sforzi per impedire che l’energia nucleare venga usata per scopi militari; nel 2013 alla campagna per eliminare le armi chimiche. E finalmente nel 2017 si aggiunge ICAN (International Campaign to Abolish Nuclear Weapons) con il suo lavoro “per portare l’attenzione alle conseguenze umanitarie catastrofiche di qualunque uso delle armi nucleari e per i suoi straordinari sforzi per ottenere un trattato che metta al bando queste armi”.
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Non può sfuggire però la contraddizione di altri premiati per la pace, “nuclearisti” nei fatti.
– Il Dalai Lama, premiato nel 1989 “per la contrarietà all’uso della violenza nella lotta del suo popolo per la liberazione del Tibet”, nel 1998 prende posizione a difesa dell’arsenale nucleare indiano con una dichiarazione molto discutibile: “anche l’India ha diritto all’atomica al fine di controbilanciare quella della Cina” (il primo test nucleare indiano fu chiamato Smiling Buddha, Budda sorridente).
– Il presidente Obama, premiato nel 2009 “per i suoi straordinari sforzi per rafforzare la diplomazia internazionale e cooperazione tra i popoli”, non ha partecipato con la sua amministrazione alle Conferenze per la messa al bando delle armi nucleari e sotto la sua presidenza il governo ha approvato una spesa di mille miliardi di dollari per l’ammodernamento dell’arsenale nucleare Usa e la costruzione di nuove armi nucleari più piccole e quindi più utilizzabili.
– L’Unione Europea, premiata nel 2012 perchè “per oltre sei decenni ha contribuito all’avanzamento della pace e della riconciliazione, della democrazia e dei diritti umani in Europa” non ha mai messo in discussione le centinaia di bombe sul proprio suolo, oltre 300 in Francia, 215 in Gran Bretagna, a cui bisogna aggiungere le bombe atomiche americane presenti nelle basi europee, 50 solo in Italia.
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Il Comitato per il Nobel (cinque componenti scelti dal Parlamento norvegese) non è esente da influenze politiche e di opportunità. Sulla sua storia ci sono luci e ombre. Tuttavia, se quest’anno il Premio è stato conferito ad ICAN, significa che si è scelto di voler favorire il processo antinucleare avviato, dando in particolare un segnale a Stati Uniti e Corea del Nord che si stanno confrontando su un terreno troppo pericoloso che non piace all’opinione pubblica mondiale.
Il Premio Nobel 2017 è un incoraggiamento ad una campagna partita dal basso, dalla società civile, che ha raggiunto per la prima volta uno storico accordo a maggioranza dell’Assemblea ONU per mettere al bando le armi nucleari. Il Nobel aiuta certamente a diffondere e rafforzare la campagna, ora impegnata per la ratifica del Trattato da parte degli Stati che ancora non hanno aderito.
“Italia ripensaci” è la campagna che Rete Italiana Disarmo e Senzatomica (le due organizzazioni nazionali aderenti ad ICAN) stanno conducendo per premere sul governo italiano affinchè ratifichi il Trattato (così come ha già fatto il Vaticano). La forza per raggiungere questo obiettivo non verrà dal Nobel ma dalla determinazione di ciascuno di noi a percorrere questa strada.
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Le cerimonia di consegna del Premio (un milione di euro) che avverrà il 10 dicembre ad Oslo, sarà un momento importante per la crescita generale della consapevolezza che l’umanità deve raggiungere: secondo l’orologio dell’apocalisse del Bollettino degli scienziati atomici, mancano solo due minuti e mezzo alla mezzanotte (è il momento in cui le lancette sono state spostate più in avanti dal 1953 a causa della crescita dei nazionalismi, delle dichiarazioni di Trump sulle armi nucleari, del rischio di una nuova corsa agli armamenti tra Stati Uniti e Russia, dello scetticismo della amministrazione statunitense verso il cambiamento climatico). Le 15.000 testate nucleari presenti nel pianeta sono un pericolo costante, un’ipoteca sul futuro dell’umanità.
Il Nobel non servirà a nulla se non sarà la gente, i popoli, parlamenti e governi a trovare la strada, ognuno a partire da se stesso, di uscita dal nucleare, come passo per un’uscita dalla preparazione della guerra. Il disarmo unilaterale deve iniziare qui ed ora.