In settembre hai passato otto giorni sulla nave Aquarius dell’ong Sos Mediterranée, impegnata in operazioni di salvataggio dei migranti con l’aiuto di Medici senza Frontiere e l’hai definita “una delle esperienze più importanti della tua vita.” Che cosa ti ha colpito di più?
Senz’altro il mix di umanità e professionalità di persone (la maggior parte tra i 20 e i 40 anni) che dedicano mesi a salvare gente in fuga da situazioni disperate, la loro capacità di mantenere la calma in situazioni difficili e complesse, che potrebbero anche degenerare, anche perché non si sa mai che cosa può succedere con la Guardia Costiera libica. Questi operatori sono per me la massima rappresentazione di quello che significa “restare umani”. E poi la felicità, il senso di sollievo e direi di rinascita di chi si sente finalmente al sicuro dopo mesi d’inferno, che allevia per quanto possibile la sofferenza per le violenze subite e per le persone care perse nel viaggio. Ho potuto conoscere in prima persona i temi di cui mi occupo come giornalista ed educatore e questo ha moltiplicato per mille, o anche centomila, il mio impegno civile.
Foto di Daniele Biella
Da quando, in maggio, è uscito il tuo libro “L’isola dei giusti – Lesbo, crocevia dell’umanità” lo hai presentato in innumerevoli incontri in giro per l’Italia. Com’è stata questa esperienza?
Al centro del libro c’è il tema dei Giusti, quelle persone che seguono la propria coscienza e per aiutare gli altri arrivano a infrangere la legge, quando è iniqua. Mi preme raccontare le vicende di chi viene salvato, ma soprattutto parlare di quelli che salvano altri anche a costo di rischi e difficoltà personali e fornisco elementi per capire chi sono. Ognuno di noi può essere un Giusto, magari risolvendo attraverso il dialogo, la conoscenza e il rispetto reciproci situazioni piccole nel proprio paese. Gli incontri sono sempre stati molto partecipati, con tante domande da parte di un pubblico che spesso ascolta queste cose per la prima volta e dice di avere così la possibilità di superare la paura indotta dalla disinformazione e dalle martellanti campagne mediatiche contro i migranti.
E a proposito di Giusti, vorrei citare due persone straordinarie che ho avuto la fortuna di conoscere: uno è un affermato reporter della radio pubblica francese che era con me sull’Aquarius, Raphaël Krafft, autore del libro Passeur, in cui racconta l’atto di disubbidienza civile con cui ha fatto passare la frontiera tra Italia e Francia a due giovani provenienti dall’Africa e l’altra è la parlamentare ticinese Lisa Bosia, che conosco da tempo e ho ritrovato pochi giorni fa in occasione della mia partecipazione come moderatore al Film Festival diritti umani di Lugano. E’ stata arrestata e condannata a una pena pecuniaria per aver aiutato dei profughi a passare la frontiera tra Italia e Svizzera – quello che oramai è noto come l’anacronistico “reato di solidarietà” – ma ciò non ha scalfito la sua azione umanitaria, tanto che ora sta organizzando la marcia per i diritti e la dignità: sostenuta dalla maggiori associazioni che si occupano di diritti e accoglienza, dal 14 ottobre al 10 dicembre 2017 la marcia attraverserà la Svizzera, toccando piccoli villaggi e grandi città con volontari e rappresentanti delle comunità migranti.
La tua attività ti ha portato anche nelle scuole
Sì, dal 2016 partecipo al progetto “Con altri occhi” della cooperativa sociale Aeris di Monza-Brianza e vado a parlare di migrazioni nelle scuole a partire dalla quarta elementare. Facciamo un percorso di due incontri, ognuno della durata di due ore: nel primo racconto, usando anche foto e dati, da dove arrivano i migranti, da quali situazioni e condizioni scappano, in modo da smontare i miti e le paure sull’invasione indotti da alcuni media e politici. Aiuto i bambini e i ragazzi a identificarsi con loro attraverso simulazioni come il fare loro indicare 5 cose che ti porteresti via dovendo prendere un barcone o un gommone verso un destino ignoto. Nel secondo incontro sono accompagnato da un testimone richiedente asilo o un rifugiato, una persona che ha fatto il viaggio, è qui da un po’ e parla bene l’italiano e loro la “intervistano” tempestandola di domande. Alla fine scrivono su un foglietto un commento a proposito di quello che gli è rimasto dai due incontri (ne abbiamo raccolti 4.000, tanti quanti gli studenti incontrati nello scorso anno scolastico) e il riscontro è ottimo: paure superate, frasi semplici che smontano disinformazione e pregiudizi. Inoltre il testimone che arriva in classe vive nella zona, dunque capita che i ragazzi lo rivedano, lo invitino a feste e incontri e così i legami si rafforzano.
Alla fine dell’anno scorso abbiamo organizzato un concorso artistico, ricevendo circa 300 elaborati tra poesie, disegni, sculture e video. Quest’anno ripetiamo il percorso e c’è già molta richiesta, anche se la scuola è iniziata da poche settimane. Per me è un’esperienza stupenda, che mi permette di unire le mie due passioni, il giornalismo e l’educazione.
Che ruolo può avere il giornalismo indipendente per contrastare la deriva razzista che sta investendo buona parte dei media, delle forze politiche e dell’opinione pubblica?
C’è bisogno di raccontare, di scardinare i meccanismi della disinformazione e della non conoscenza, di creare occasioni di incontro e di confronto e anche di agire su questioni concrete, su situazioni pratiche puntando al dialogo e all’aggregazione. Ci sono tante reti che lavorano quotidianamente per questo. Il compito del giornalismo indipendente non è solo raccontare le loro attività, ma anche collegare i vari ambiti e farli conoscere tra loro.