Fa una certa impressione leggere il Rapporto 2017 della Conferenza delle Nazioni Unite sul commercio e sullo sviluppo (UNCTAD ), non per i dati riportati, che sono sostanzialmente in linea con le tendenze già note, ma per le valutazioni espresse e per le proposte avanzate. Questo documento – presentato il 14 settembre scorso – analizza l’attuale contesto economico globale e definisce un’ambiziosa agenda politica alternativa volta a costruire economie più inclusive ed attente alle condizioni di vita delle popolazioni.
Il rapporto anzitutto evidenzia il fatto che le grandi aziende negli ultimi anni hanno accresciuto il loro potere di mercato e la loro influenza essendo in grado di alterare persino le regole del gioco a loro beneficio per aumentare progressivamente i profitti. Oltre a ciò si è ampliata la possibilità di utilizzo dei paradisi fiscali per la parte più ricca della popolazione. Utilizzando una banca dati contente informazioni sulle società in 56 paesi sviluppati ed in via di sviluppo, il rapporto mostra come le imprese predominanti stiano appropriandosi di una quota crescente dei profitti: tra il 1995 ed il 2015 gli utili delle società più importanti sono cresciuti dal 4 al 23% dei profitti totali di tutte le imprese. Selezionando soltanto le 100 imprese maggiori il dato mostra una concentrazione ancora più rilevante: dal 19 al 40% del totale dei profitti.
Mentre queste grandi imprese stanno accumulando un controllo sempre maggiore dei mercati, la loro quota occupazionale non è aumentata proporzionalmente. Se la capitalizzazione complessiva di mercato per le 100 imprese maggiori è aumentata di ben quattro volte, la loro rispettiva quota di occupazione è meno che raddoppiata fra il 1995 ed il 2015. “Siamo di fronte ad un mondo di profitti senza prosperità in cui il potere di mercato asimmetrico rappresenta una delle principali cause dell’aumento della disuguaglianza nella distribuzione dei redditi”, ha dichiarato il Segretario generale dell’UNCTAD Mukhisa Kituyi.
Secondo il rapporto delle Nazioni Unite, nonostante l’enfasi posta durante la crisi di qualche anno fa sull’urgenza di cambiare radicalmente il sistema finanziario, le riforme adottate finora hanno apportato solo modifiche marginali: l’operare incontrollato dei mercati finanziari resta la caratteristica principale dell’odierna economia iper-globalizzata. L’incapacità di regolamentare questi mercati e di affrontare le disuguaglianze profonde che hanno generato, minaccia di rendere vani gli sforzi della comunità internazionale volti a costruire economie più inclusive.
L’autore principale del rapporto, Richard Kozul-Wright, ha dichiarato che: “Due delle più grandi tendenze socioeconomiche degli ultimi decenni sono state l’esplosione del debito e l’aumento della ricchezza delle super-elite, generalmente identificata con l’1% più ricco della popolazione. Queste tendenze, come discusso nel rapporto, sono strettamente collegate e dovute alla deregolamentazione dei mercati finanziari, al marcato aumento del divario nella proprietà di attività finanziarie ed all’impiego di strategie finanziarie mirate all’esclusivo conseguimento di rendimenti a breve termine. Disuguaglianza ed instabilità pertanto sono fortemente collegate all’iper-globalizzazione”.
Il rapporto sostiene che le cosiddette “aziende superstar” hanno beneficiato estensivamente di una legislazione antitrust molto permissiva e di una protezione eccessiva della proprietà intellettuale, oltre ad aver adottato strategie di fusione ed acquisizione molto aggressive. Inoltre, l’evasione fiscale, la svendita di beni pubblici, così come la concessione di sovvenzioni pubbliche alle grandi società, hanno aperto nuove opportunità di rendita. Di conseguenza il circolo vizioso fra potere di mercato e la capacità di lobbying da parte delle grandi aziende hanno facilitato l’aumento delle disuguaglianze dei redditi e gli squilibri di potere nell’economia globale.
Questa situazione ha generato un’economia mondiale caratterizzata da livelli insufficienti di investimenti produttivi, da posti di lavoro precari e da un indebolimento dello stato sociale. Ciclicamente assistiamo a crisi economiche, generalmente scaturite dalla fuga dei capitali posseduti dai redditi più alti, risolte con politiche di austerità che limitano quelli più bassi. Non è tutto: “Le finanze pubbliche – ha aggiunto il segretario generale Mukhisa Kituyi – sono state generosamente impiegate per salvare il settore finanziario durante la crisi del 2007-2008, ma le cause di fondo dell’instabilità finanziaria che ci ha condotto a quella crisi non sono state mai realmente affrontate né a livello locale né a livello globale”. Infatti il risultato è che i livelli di debito sono oggi più alti che mai.
All’interno del rapporto vengono esaminati anche altri aspetti problematici, legati all’introduzione dei robot ed alle discriminazioni di genere che influenzano le prospettive di lavoro sia nelle economie avanzate che in quelle in via di sviluppo. L’automazione e l’aumento della partecipazione femminile dovrebbero essere accolti come sviluppi positivi, ma appaiono invece come delle minacce, perché stanno prendendo piede in un contesto di austerità e di elevata concorrenza che spinge ad una corsa verso il basso sui mercati del lavoro. La mancata correzione degli eccessi dovuti all’iper-globalizzazione sta riducendo in maniera significativa la fiducia nei mercati e nei politici e sta compromettendo la coesione sociale. Finché i responsabili delle scelte di politica economica continueranno a brandire la spada dell’austerità e a misurare il successo delle loro politiche solo in termini di valori azionari e livelli di profitto, le grandi imprese continueranno a dominare nei settori chiave dell’economia e le diseguaglianze, già significative, potrebbero peggiorare ulteriormente.
Di fronte a questo scenario negativo ecco le proposte dell’UNCTAD per cambiare prospettiva. Il rapporto ipotizza un nuovo corso per il XXI secolo, un Global New Deal, in cui sia finalmente data la priorità ai bisogni dei cittadini rispetto ai profitti. Le premesse per raggiungere questo obiettivo sono la fine delle politiche di austerità, la limitazione delle opportunità di profitto per le grandi imprese e la riconversione del sistema finanziario come strumento per sostenere la creazione di posti di lavoro e gli investimenti in infrastrutture. Allontanarsi dall’attuale contesto di iper-globalizzazione per costruire economie più inclusive non dipende soltanto da un miglior funzionamento dei mercati e della finanza, ma richiede un’agenda globale più esigente e più vasta che affronti le molteplici disparità esistenti in materia di know-how tecnologico, di potere di mercato e di capacità di influenza politica.
Le misure chiave indicate nel rapporto includono anzitutto l’aumento degli investimenti pubblici, in particolare per il sociale, il rafforzamento dei principali programmi di opere pubbliche che migliorino le infrastrutture e l’utilizzo delle opportunità offerte dall’accordo sul clima di Parigi per mitigare e favorire l’adattamento al cambiamento climatico. Contemporaneamente occorre aumentare le entrate pubbliche: un maggiore utilizzo di sistemi di imposizione progressivi, applicati anche alle proprietà e alle forme di reddito da locazione e da rendite finanziarie, può aiutare a ridurre le disuguaglianze. Il rapporto delle Nazioni Unite mostra che anche piccole modifiche all’aliquota marginale sulla parte più ricca della popolazione mondiale potrebbero incrementare notevolmente i fondi disponibili per lo sviluppo; inoltre, ridurre le esenzioni fiscali e le sovvenzioni aziendali aumenterebbe notevolmente le entrate e l’equità del sistema. Indispensabile è anche l’introduzione di un registro finanziario globale, poiché il controllo di chi detiene attività finanziarie in tutto il mondo rappresenta un primo passo verso una tassazione più giusta.
L’UNCTAD fa tesoro di quanto è accaduto nel 1947, quando il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale, l’Accordo Generale sulle Tariffe e il Commercio e le Nazioni Unite furono capaci di riequilibrare l’economia globale del dopoguerra ed il Piano Marshall fu lanciato. Settanta anni dopo è necessario uno sforzo altrettanto ambizioso per affrontare le ingiustizie legate alla iper-globalizzazione e per costruire economie inclusive e sostenibili. Il rapporto delinea la strategia del Global New Deal: riuscire a combinare la ripresa con riforme e politiche economiche che favoriscano la ridistribuzione. Infatti il successo del piano economico adottato dagli Stati Uniti negli anni trenta si deve in larga misura all’enfasi posta sul riequilibrio dei centri di potere e sulla capacità di dare voce alle parti più deboli della società, tra cui gruppi di consumatori, le organizzazioni di lavoratori, gli agricoltori ed i più poveri. Tutto ciò è altrettanto cruciale al giorno d’oggi: i governi dovranno agire all’unisono per avere successo. La Conferenza dell’ONU li esorta a cogliere l’opportunità offerta dal varo degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile e a stipulare un vero accordo globale per il XXI secolo.