Dal Brasile
Dal Congo al Brasile per un documentario che affronta un tema di grande attualità anche per noi: l’impatto delle grandi opere sulle comunità locali. Favela Olimpica del documentarista svizzero Samuel Chalard racconta il destino di Vila Autódromo, favela alla periferia di Rio de Janeiro, dove viveva una comunità molto unita e solidale, ma collocata su un terreno sul quale era stato deciso di costruire la strada principale che doveva collegare al tessuto urbano il nuovo stadio costruito in occasione delle Olimpiadi del 2016.
Le riprese si sono susseguite dal 2014 al 2016 e hanno seguito passo dopo passo tutte le diverse fasi della contrapposizione/trattativa/scontro tra le autorità e la comunità. Vengono intervistati tutti gli attori dello scontro in atto, ognuno con diritto di replica, sono documentate dal vivo le modalità di discussione e di formazione delle opinioni e delle decisioni all’interno della comunità, sono illustrate con dovizia di particolari le proposte in denaro e in alloggi alternativi avanzate dall’amministrazione di Rio e l’effetto che queste provocano dentro la comunità con le differenti scelte che ne conseguono, dando spazio alle motivazioni di ciascuno.
Il documentario realizzato in modo asciutto e sfuggendo a qualunque retorica rende evidente l’immenso patrimonio di relazioni sociali che viene cancellato, indipendentemente dalle soddisfacenti o meno alternative abitative proposte e poi accettate obtorto collo dalla popolazione. La mente degli spettatori italiani si è immediatamente trasferita in val Susa e le similitudini, nella solidarietà e nell’organizzazione delle comunità come nella fierezza di una vita semplice, dignitosa e collettiva non sono poche, anche se per ora sembra che, per fortuna, il destino sia differente.
Verso la conclusione del documentario di Samuel Chalard viene più volte citato esplicitamente il sospetto che dietro la necessità di sgomberare l’area per fare spazio alle strutture olimpiche si celino ragioni molto meno confessabili, quali ad esempio una grande speculazione edilizia per costruire un quartiere di lusso al posto della favela. Non mancano nemmeno le reiterate promesse dell’amministrazione, pronta ad assicurare che passate le Olimpiadi quegli spazi saranno destinati a uso sociale e che i benefici del grande evento ricadranno su tutta la popolazione, promesse ovviamente non mantenute. E qui le orecchie saranno fischiate ai (pochi) milanesi presenti, riportati bruscamente alle promesse mancate sui benefici dell’EXPO. Un’altra similitudine non proprio entusiasmante è che a gestire le grandi opere, a magnificare le PPP – Partnership Pubblico Privato – a Roma come a Brasilia sono i governi autodefinitisi progressisti, di centrosinistra. E il modello di sviluppo proposto non cambia.
… ai presidenti a stelle e strisce
Due i documentari sulla politica USA. The Reagan Show, di Pacho Velez e Sierra Pettengill, è costruito unicamente attraverso i telegiornali degli anni Ottanta e le videocassette prodotte dall’amministrazione americana. Un documento di estremo interesse, che mostra in modo inequivocabile come la presidenza di Reagan, in epoca decisamente pre-berlusconiana, si sia fondata ampiamente sulla costruzione dell’immagine e sull’uso del mezzo televisivo e come l’attenzione alla comunicazione sia diventata ancor più strategica ed estremizzata dopo l’arrivo di Gorbaciov ai vertici dell’URSS. Evento inaspettato dall’amministrazione americana abituata, almeno sul terreno della comunicazione e dell’appeal televisivo a giocare sempre in vantaggio di fronte a personalità quali Breznev e Andropov.
Meno interessante A Campaign of Their Own del regista svizzero Lionel Rupp sulla campagna elettorale di Bernie Sanders; il documentario si sofferma sull’attivismo spontaneo di migliaia di persone e sulla crescita dell’entusiasmo popolare attorno a Bernie, ma non aggiunge nulla che non sia ampiamente risaputo; non vi è nessun tentativo di scavare un po’ più a fondo su come si sia costituita la base sociale di Sanders. L’aspetto forse più interessante è rappresentato dalle immagini che mostrano in modo inequivocabile come la base degli attivisti di Sanders non sia stata disponibile a seguire le indicazioni di voto per Hillary Clinton dopo la sua nomination alla convention democratica. Ma anche questo è un argomento più che documentato.