In Rojava, il kurdistan siriano, l’Università mesopotamica di scienze sociali a Qamislo e, soprattutto, l’Università delle donne a Rimelan mettono in discussione il modo tradizionale di pensare la trasmissione dei saperi. Gli studenti non sono solo i giovani, ma anche gli adulti, perfino nonne e nonni. Alcuni sono già laureati, altri sono analfabeti, ognuno ha del sapere da mettere in comune. I docenti non sono necessariamente insegnanti specializzati; sono persone la cui esperienza di vita ha dato loro idee che possono condividere. Qui si studia, tra le altre cose, la lingua e la storia del popolo kurdo, a cominciare da quella delle donne, del resto la jineolojî, o “scienza delle donne”, ha una storia ormai pluridecennale. Gli studenti scelgono un particolare problema sociale, poi fanno ricerche e scrivono una tesi sul modo in cui risolverlo: l’apprendimento è sempre pratico e anche teorico ed è mirato a servire un bene sociale. Gli esami, in queste università, non misurano la conoscenza, sono più dei ripassi, dei dialoghi. In effetti, l’istruzione in Rojava non riguarda “costruirsi una carriera e diventare ricchi”. Analogamente, l’accademia cerca di non sviluppare la professionalità, ma di coltivare la persona nella sua completezza
In seguito all’esplosione della guerra civile in Siria e al ritiro delle forze governative siriane dal Kurdistan occidentale, ai curdi di quella regione si offrì l’occasione unica di asserire la propria autonomia. Sebbene minacciato dall’espansione dello Stato Islamico che arrivava dall’Iraq, e dall’eccedenza di combattimenti dalla Siria, il movimento rivoluzionario curdo quasi immediatamente dichiarò la supremazia delle nuove istituzioni autonome, un modello politico noto con il nome di ‘confederalismo democratico’, che mira ha ad assicurare l’autogestione democratica di una società senza lo stato.
Una volta stabilite le istituzioni autonome, la necessità di un nuovo tipo di istruzione era primaria. Non che le persone del Kurdistan occidentale non fossero istruite – le percentuali di licenze di scuola superiore erano e sono molto alte, come io e il resto di una delegazione accademica abbiamo appreso durante la nostra visita. L’istruzione era però fondamentale per creare la cultura rivoluzionaria in cui potevano prosperare. Non riguarda soltanto i bambini e i giovani, ma anche gli adulti, perfino gli anziani.
Come ci spiegò Aldar Xelîl, membro del consiglio Tev-Dem, cioè la coalizione politica che governava la regione autonoma di Rojava, il progetto politico di Rojava ‘non riguarda soltanto il cambiamento di regime, ma la creazione di una mentalità che porti la rivoluzione per la società’. Dorîn Akîf, che insegna in due università in Rojava, era d’accordo: “Si deve cambiare la percezione – ci ha detto – perché adesso la mentalità molto importante per la rivoluzione. L’istruzione è determinante per noi”.
Il primo problema che la rivoluzione ha dovuto affrontare è stato quello della lingua da usare per l’istruzione. Per 40 anni, sotto il regime di Assad, i bambini curdi dovevano imparare l’arabo e studiare in arabo. La lingua curda era bandita dalla vita pubblica; il suo insegnamento era illegale e poteva essere punito con la detenzione e perfino con la tortura. E così, quando i curdi siriani presero le comunità nelle loro mani, immediatamente programmarono l’istruzione in lingua curda. La prima di queste scuole che fu aperta, è stata la Scuola Sehîd di Fewzî nel cantone di Efrîn, seguita da una a Kobanê e una a Cizîrê. Nell’agosto 2014 la sola Cizîrê aveva 670 scuole con 3.000 insegnanti che tenevano corsi di lingua curda per 49.000 studenti.
L’università mesopotamica a Qamislo
All’inizio di dicembre la nostra delegazione ha visitato la prima e unica istituzione di istruzione superiore, l’Università mesopotamica di scienze sociali a Qamislo. Il regime di Assad non aveva permesso istituzioni di questo genere nelle zone curde; questa ha aperto nel settembre 2014 ed è ancora in gran parte in costruzione. L’insegnamento e le discussioni si svolgono per lo più in curdo, sebbene le fonti siano spesso in arabo, dato che molti testi essenziali non sono stati ancora tradotti.
Una sfida che affronta l’università, ci hanno detto vari membri dell’amministrazione e della facoltà, è che la gente nella Siria nord-orientale pensa che deve andare all’estero per avere una buona istruzione. “Vogliamo cambiare questa idea – ha detto uno dei docenti – Non vogliamo che le persone si sentano inferiori a causa del luogo dove vivono. In Medio Oriente c’è tantissimo sapere e saggezza, e stiamo cercando di scoprirlo. Molto cose che sono accadute nella storia sono successe qui”.
L’anno scolastico consiste di tre periodi e ognuno dura tre o quattro mesi, e va dalla visione di insieme delle materie, alla specializzazione e ai progetti finali. Il curriculum comprende principalmente storia e sociologia.
Perché quelle materie? Sono essenziali, ci hanno detto. Durante il regime “la nostra esistenza [in quanto curdi] veniva contestata. Stiamo cercando di dimostrare che esistiamo e che lungo il nostro percorso abbiamo fatto molti sacrifici… Ci consideriamo parte della storia, soggetti della storia”. L’istruzione cerca di “rivelare storie di popoli che sono state negate… di creare una nuova vita per superare gli anni e i secoli di schiavitù del pensiero che sono stati imposti alla gente”. Fondamentalmente, il suo scopo è di “scrivere una nuova storia”.
Il curriculum della sociologia assume una posizione critica nei riguardi del positivismo del 20° secolo e cerca invece di sviluppare una nuova scienza sociale alternativa per il 21° secolo, quella che Abdullah Öcalan, il capo del Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK), ora in prigione, chiama la “sociologia della libertà’. Per il loro progetto finale, gli studenti scelgono un particolare problema sociale, poi fanno ricerche al riguardo, e scrivono una tesi sul modo in cui risolverlo. Quindi l’apprendimento è pratico e anche teorico ed è mirato a servire un bene sociale.
In effetti, l’istruzione in Rojava non riguarda “costruirsi una carriera e diventare ricchi”. Analogamente, l’accademia cerca di non sviluppare la professionalità, ma di coltivare la persona nella sua completezza. “Crediamo che gli esseri umani siano degli organismi, ma non possono essere tagliati a pezzi, separati in scienze diverse”, ci ha detto un docente. “Una persona può essere scrittore o poeta e interessarsi anche di economia, perché gli esseri umani fanno parte di tutta la vita”.
Al contrario dei convenzionali approcci occidentali, la pedagogia dell’accademia rifiuta la trasmissione dei fatti che vada in una sola direzione. Di fatto, non separa rigidamente gli inseganti e gli studenti. Gli insegnanti imparano dagli studenti e viceversa; idealmente, tramite un discorso intersoggettivo, arrivano a conclusioni condivise.
I docenti non sono necessariamente insegnanti specializzati; sono persone la cui esperienza di vita ha dato loro idee che possono impartire. Un insegnante, per esempio, racconta favole popolari una volta a settimana. Ci hanno detto: “Vogliamo che gli insegnanti ci aiutino a comprendere il significato della vita”. “Ci concentriamo sul dare un significato alle cose, sull’essere in grado di interpretarle e commentarle e anche di analizzarle”.
Gli studenti fanno gli esami che però non misurano la conoscenza e sono più dei ripassi, dei dialoghi. E i docenti stessi sono soggetti alla valutazione da parte degli studenti. Un allievo può dire: “Non ha spiegato questo molto bene”. Un insegnante che viene criticato deve sviscerare l’argomento con lo studente fino a quando entrambi sentono che si sono capiti.
L’Università delle donne a Rimelan
L’Università delle donne Yekitiya Star (nome di un’organizzazione femminile) spinge più avanti l’approccio all’istruzione rispetto all’Università Mesopotamica. La nostra delegazione ha visitato anche questa all’inizio di dicembre.
Fondata nel 2012, il suo scopo è di educare i quadri rivoluzionari femminili, e quindi naturalmente l’enfasi sull’ideologia è più pronunciata. Negli scorsi trent’anni, ci ha detto la docente Dorîn Akîf, le donne partecipavano al movimento curdo per la libertà, prima come combattenti, poi nelle istituzioni femminili. Tre anni fa le donne curde crearono la jineolojî, o ‘scienza delle donne’, che considerano il culmine di quella esperienza pluridecennale.
All’Università di Rimelan agli studenti si offre prima una panoramica generale della jineolojî, “il tipo di sapere che era stato rubato alle donne” e che le donne ora possono recuperare. “Stiamo cercando di superare la non-esistenza delle donne nella storia. Tentiamo di comprendere in che modo si producano i concetti e si riproducano all’interno delle relazioni sociali esistenti, poi mettiamo insieme la nostra propria idea. Vogliamo stabilire una reale interpretazione della storia guardando il ruolo delle donne e rendendo le donne visibili nella storia”.
La jineolojî, ci ha detto Dorîn Akîf, considera che le donne siano “le protagoniste principali nell’economia, e l’economia la principale attività delle donne… La modernità capitalista definisce l’economia come responsabilità primaria dell’uomo. Noi però diciamo che non è vero, che sempre e dovunque le donne sono le protagoniste principali dell’economia”. A causa di questa fondamentale contraddizione, Dorîn sostiene, la modernità capitalista alla fine sarà vinta.
Il modo in cui le persone interpretano la storia influenza il modo in cui esse agiscono, e quindi “parliamo dell’organizzazione sociale pre-sumera. Esaminiamo anche in che modo lo stato è apparso storicamente e come il concetto è stato costruito”, ha aggiunto Akîf. Però il potere e lo stato non sono la stessa cosa. “Il potere è ovunque, ma lo stato non è ovunque. Il potere può operare in modi diversi”. Il potere, per esempio, è presente nella democrazia della gente comune, che non ha a che fare con lo stato.
La jineolojî considera che la quintessenza delle donne sia democratica. La Star Academy istruisce gli studenti (sono essenzialmente donne) nell’educazione civica di Rojava. “Consideriamo i meccanismi politici, parlamenti delle donne, comuni delle donne, e i parlamenti generali [misti], le comuni miste, i parlamenti di quartiere. Qui in Rojava abbiamo sempre avuto sia quelli misti che quelli esclusivamente femminili. In quelli misti, la rappresentanza delle donne è il 40 per cento, e inoltre c’è sempre una co-presidenza per assicurare la parità.’
Come all’Università Mesopotamica, agli studenti della Star Universty si insegna a considerarsi cittadini, con ‘il potere di discutere e costruire… Non esistono l’insegnante e lo studente. La sessione è costruita sulla condivisione delle esperienze”. “Gli studenti vanno dagli adolescenti alle nonne. Alcuni sono laureati dell’università, e alcuni sono analfabeti. Ognuno ha del sapere, ha la verità nella propria vita, e ogni conoscenza è fondamentale per noi… La donna più vecchia ha esperienza. Una donna di 18 anni è spirito, è la nuova generazione che rappresenta il futuro.’
Ogni programma si conclude con una sessione finale che si chiama la piattaforma dove ogni studentessa si pone e dice in che modo parteciperà alla democrazia di Rojava. Entrerà in un’organizzazione o nelle Unità di Protezione delle Donne (YPJ), o parteciperà a un consiglio di donne? Che tipo di responsabilità assumerà?
Abbiamo fatto delle domande a Dorîn circa gli insegnamenti dell’Università riguardo al genere (una parola che in curdo non esiste). “Il nostro sogno – ha detto – è che la partecipazione delle donne e la costruzione della società a opera loro, cambierà gli uomini e che emergerà un nuovo genere di maschilità. I concetti di uomini e donne non hanno una base biologica – siamo contrari a questa idea. Definiamo il genere come maschile e la maschilità in connessione con il potere e l’egemonia. Naturalmente crediamo che il genere sia fabbricato dalla società”. Inoltre ha spiegato. “Il problema femminile non riguarda unicamente le donne: è inserito nella società, e così l’esclusione delle donne è un problema della società. Quindi dobbiamo ridefinire le donne e la società insieme e contemporaneamente. Il problema della libertà delle donne è il problema della libertà della società“.
Ha continuato citando una frase di Öcalan, “Uccidere l’uomo”, che è diventata uno slogan che significa che “l’uomo maschio deve cambiare. Analogamente, ha detto Dorin, la soggettività colonizzata delle donne, o femminilità, deve essere eliminata. L’ambizione sociale impersonata dall’Università è di superare il dominio e il potere egemonico e di “creare una vita uguale insieme”.