Undici anni dopo il massacro di Muttur in Sri Lanka, giustizia è ben lungi dall’essere fatta.
Il 4 agosto 2006, 17 operatori umanitari di Azione contro la Fame hanno perso la vita quando le forze governative dello Sri Lanka li hanno attaccati nei loro uffici.
Queste donne e questi uomini stavano lavorando per aiutare le vittime dello tsunami.
I 17 operatori umanitari sono stati uccisi a sangue freddo, con un proiettile in testa. Uccisi dalle persone che avrebbero dovuto proteggerli, e allo stesso tempo vittime del diritto umanitario internazionale (per la Convenzione di Ginevra in tempo di guerra devono essere rispettate alcune regole fondamentali, come la protezione dei civili e dei membri delle organizzazioni umanitarie). Questi omicidi costituiscono un crimine di guerra.
Questo dramma non ha provocato solo 17 vittime, ma ha avuto un impatto sull’intera popolazione che necessitava di aiuti umanitari: nel 2005 le squadre di Azione contro la Fame avevano portato aiuto a più di 100.000 persone. Due anni dopo il massacro, Azione contro la Fame ha lasciato l’isola, dopo 12 anni di presenza sul territorio.
Il governo dello Sri Lanka ha fallito nel suo dovere di garantire protezione e giustizia. Nel 2009 una commissione presidenziale d’inchiesta istituita in modo specifico per indagare sulle violazioni dei diritti umani, compreso questo reato, ha incolpato le Tigri Tamil, senza perseguire i responsabili.
A livello internazionale, il Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite ha espresso il proprio parere sul massacro dei 17 operatori umanitari nell’ambito di una relazione d’indagine sui crimini commessi durante la guerra civile dello Sri Lanka, giungendo alla conclusione che risulti evidente la responsabilità delle forze dell’ordine in questo crimine. Nel 2014 il Consiglio ha espressamente chiesto la creazione di un tribunale speciale con una dimensione internazionale per indagare su questo caso, affinché possa farsi giustizia dopo tutti questi anni di impunità. Purtroppo tale richiesta, approvata dalle Nazioni Unite e dal governo dello Sri Lanka, non è ancora stata implementata.
Inoltre, nel marzo del 2017, al governo è stata concessa un’ulteriore proroga di un anno per istituire il tribunale: il caso continua ad essere posticipato e solleva la questione della realtà e dell’integrità della politica di giustizia e riconciliazione messa in atto. Infatti, lo Sri Lanka rifiuta l’inserimento di giudici internazionali nel futuro meccanismo giudiziario. Il Consiglio dei diritti umani riconosce il massacro di Muttur come un caso emblematico di violazioni commesse durante la guerra. Tuttavia, non è una priorità all’ordine del giorno della giustizia. L’indifferenza, lo sprezzo delle norme internazionali e l’impunità garantita agli autori di questo orrendo crimine sono un segnale vergognoso per i Paesi in cui le persone e gli operatori umanitari affrontano gli stessi rischi e crimini.
Ancora oggi, i Paesi in cui i lavoratori umanitari sono maggiormente minacciati dalla violenza e dagli attacchi sono quelli che hanno maggior bisogno di assistenza umanitaria. L’impunità che ha prevalso nel caso di Muttur non è isolata, e questo triste esempio dimostra che nessun operatore umanitario, e quindi nessun civile, è completamente protetto.
Azione contro la Fame invita la comunità internazionale a fare di più per proteggere gli operatori umanitari, nello specifico tramite la creazione della figura di un relatore speciale incaricato di migliorare la protezione dell’azione umanitaria.
Undici anni dopo non li dimentichiamo e non rinunceremo a rendere loro giustizia: M. Narmathan, I. Muralitharan, R. Arulrajah, T. Pratheeban, A. Jaseelan, G. Kavitha, K. Kovarthani, V. Kokilavathani, S. Romila, M. Ketheswaran, M. Rishikesan, S. P. Anantharajah, G. Sritharan, S. Koneswaran, S. Ganesh, Y. Kodeeswaran, A. L. M. Jawffar.
Azione contro la Fame