Per la terza volta dal maggio 2016, le autorità iraniane hanno programmato l’esecuzione di Alireza Tajiki, arrestato nel 2012 e condannato a morte nel 2013, quando aveva rispettivamente 15 e 16 anni, con l’accusa di aver violentato e poi ucciso un suo amico.
Il processo nei suoi confronti è risultato gravemente irregolare, basato prevalentemente su “confessioni” che Tajiki ha denunciato di essere stato costretto a fare sotto tortura e che ha successivamente ritrattato, dichiarandosi innocente dalla prima udienza in avanti.
La mattina del 9 agosto Tajiki è stato trasferito in isolamento e alla famiglia è stato chiesto di recarsi alla prigione Adel Abad di Shiraz per l’ultimo saluto. Nessuna comunicazione ufficiale è invece arrivata all’avvocato, che secondo la legge dev’essere informato di un’imminente esecuzione con 48 ore di anticipo.
L’applicazione della pena di morte nei confronti di persone che all’epoca del reato avevano meno di 18 anni è contraria al diritto internazionale. A più riprese le autorità giudiziarie iraniane hanno dichiarato che Tajiki era “maturo” e pienamente consapevole “dell’illegalità dell’atto commesso e della conseguente punizione”.
L’Iran è uno dei pochi paesi al mondo che continua a mettere a morte rei minorenni. Amnesty International ha i nomi di almeno 89 condannati a morte in attesa dell’esecuzione per reati commessi quando avevano meno di 18 anni.