«Talaq, talaq, talaq». Da quasi millequattrocento anni, ad un uomo islamico era sufficiente, applicando la “Sunna” – il “codice di comportamento” della Comunità musulmana – pronunciare tre volte la parola «talaq» per ripudiare la propria moglie in maniera istantanea ed irrevocabile. Ci sono stati “divorzi” comunicati per lettera e, più recentemente, via Skype o tramite un messaggino su Whatsapp!
Ora, però, secondo quanto riporta il giornale “The Hindu”, la Corte Suprema indiana ha interdetto questa pratica. Shayara Bano, la donna che, in origine, ha presentato il ricorso alla Corte Suprema ha definito l’evento: «Un giorno storico per le donne musulmane» (sempre “The Hindu”).
La decisione è giunta, comunque, con un voto a maggioranza – tre giudici a favore e due contro – e apre il dibattito, anche fra i favorevoli all’abrogazione del “divorzio istantaneo” (talaq-e-biddat), sulla correttezza dell’intromissione della giustizia, e quindi dello Stato, in faccende di natura religiosa.
L’India infatti è uno Stato dove l’art. 25 della Costituzione (edizione in inglese) garantisce «liberamente la pratica religiosa» e all’art. 13 riconosce validità di legge a tutti «gli usi e le abitudini» – e quindi anche alla Sunna -, vigente prima dell’entrata in vigore, nel 1950, della Costituzione. Unica condizione posta è che questi usi non violino i «diritti fondamentali» previsti dalla Costituzione stessa.
Per la maggioranza dei giudici il “talaq-e-biddat” è «manifestamente arbitrario» in quanto permette all’uomo musulmano un «capriccioso» divorzio dalla moglie.
In effetti, la stessa Costituzione, all’art. 14, «non nega l’eguaglianza ad alcuna persona», neanche in ragione del sesso.
Decisione Corte Suprema: Proteste e conseguenze
Sulla vicenda era intervenuto, a sostegno del ricorso contro il triplo “talaq”, il primo ministro Narendra Modi, come ricorda anche l’edizione belga del giornale “Metro”, suscitando con ciò le proteste della comunità musulmana, che teme d’essere privata della propria legge religiosa a favore dell’induismo maggioritario.
Altri ricorsi alla Corte Suprema, intanto, sono in attesa di esame e valutazione, primo fra tutti quello contro la poligamia.
Anche su questo tema è sceso in campo direttamente il governo indiano sostenendo, come riporta sempre il giornale “The Hindu”, come «la poligamia non sia una pratica religiosa, ma, piuttosto, un’abitudine sociale per la quale il Governo ha titolo d’intervenire, senza violare l’art. 25 della Costituzione, a tutela della eguaglianza di genere e della dignità delle donne. Eguaglianza e dignità che non sono negoziabili».
La storia di secoli, dai greci ai romani, agli stessi hindu, ebrei e zoroastriani, comincia a cambiare.