La papelera que devora la Colombia è il titolo di un reportage pubblicato su Colombia Plural e dedicato agli effetti devastanti della cartiera irlandese Smurfit Kappa, legata a doppio filo con l’oligarchia che fa capo sia al presidente Santos sia all’ex presidente Uribe, nonché responsabile di una vera e propria catastrofe ambientale nel paese andino.
Tutto ebbe inizio negli anni ’50, quando l’impresa allora denominata Cartón de Colombia iniziò a piantare pini ed eucalipti nelle foreste del Bajo Calima, dopo aver trasformato quel territorio in terra bruciata per utilizzare il legno producendo la polpa della carta. Da allora, la monocoltura di pini ed eucalipti ha causato la siccità di fiumi rimasti in gran parte secchi, ad esempio la gola del fiume Cañas Gordas, mentre la multinazionale irlandese Smurfit Kappa, la quale nel frattempo aveva inglobato Cartón de Colombia, si mangiava migliaia di ettari di terra. Oggi la politica dell’impresa, dedicata ad acquisire enormi latifondi senza guardare in faccia alle proteste di ecologisti, comunità indigene e contadine e attivisti sociali, spesso vittime di omicidi mirati, è quella di fare orecchie da mercante, nonostante già nel 2007 il Tribunale dei popoli avesse dichiarato che Smurfit Kappa aveva un debito ecologico, sociale, economico e culturale con il paese e i suoi abitanti. Gli ultimi dati sull’impresa di cui siamo a conoscenza risalgono al 2015 e indicano che Smurfit Kappa era in possesso di 454 grandi fincas tra la Cordigliera centrale e quella occidentale, oltre ad avere sotto il suo controllo quasi 68mila ettari di terra. La sede principale della multinazionale si trova nella Valle del Cauca, municipio di Yumbo, e tra i soci di Smurfit Kappa figura il gruppo Carvajal, oltre ad una complessa rete di filiali e piccole imprese che lavorano per il colosso irlandese. Il giornalista Walter Broderick, che ha condotto un pregevole lavoro di controinformazione a proposito di Smurfit Kappa, sostiene che la politica colombiana in più di una circostanza ha legiferato con leggi ad hoc a favore dell’impresa. Denominata da Broderick El imperio del cartón, l’impresa utilizza un sistema di taglio degli alberi denominato tala rasa, che consiste nel tagliare e sradicare tutti gli alberi dal terreno per far posto a pini ed eucalipti. Per le comunità indigene della zona, il taglio indiscriminato degli alberi, rispetto a quello mirato e selettivo degli indios, ha stravolto la biodiversità della Valle del Cauca, ma Smurfit Kappa ha sempre sostenuto che non si trattava di una attività illegale, citando altre imprese, ad esempio Maderas Pizano, da sempre favorevoli all’utilizzo del sistema di tala rasa.
Nel 2001 l’ambientalista Néstor Ocampo si recò in Irlanda per confrontarsi con l’allora presidente dell’impresa, Michael Smurfit, durante un’assemblea della multinazionale. Ocampo si fece portavoce della resistenza delle comunità, raccontando che la monocoltura di pini ed eucalipti aveva provocato, fin dagli anni ’80, implicazioni politiche ed economiche, ma il suo appello cadde nel vuoto. Proprio in quel periodo, nella Valle del Cauca, in particolare nel municipio di Darién, era sorto il comitato No al pino, che rifiutava l’imposizione delle conifere sostenendo che lo stesso municipio, fino a quel momento a vocazione agricola ed in grado di autorifornirsi con i prodotti della terra, aveva finito per vivere un progressivo declino ed una profonda crisi sociale. Germán Mejía, sindaco di Darién, guidò la mobilitazione della sua comunità contro Smurfit Kappa, ma fu ucciso in circostanze poco chiare nel 1997 e sulla sua morte non è mai stata fatta luce. Nel 2015 è emerso il caso di un contadino che era stato costretto a vendere la sua finca all’impresa irlandese sotto pressione di gruppi paramilitari e legati al narcotraffico legati a Smurfit Kappa, ma in precedenza sono stati molti altri i leader sociali a cadere in circostanza poco chiare (leggi per mano di paramilitari inviati dalla multinazionale del cartone), dalla dirigente contadina Dila Calvo, assassinata nel 1995, agli ecologisti Eder Alexander, Hernando Duque e Gloria Sofia Zapata, uccisi nel 1998, fino al caso dell’ambientalista Sandra Viviana Cuéllar, desaparecida nel 2012.
Nonostante la biodiversità della Colombia, ricchissima a livello naturale, il paese ha finito per barattare il suo patrimonio culturale e ambientale con una monocoltura che serve solo per produrre cartone, ma la percezione di Smurfit Kappa nell’opinione pubblica non è così negativa. Ad esempio, la stampa ha attribuito grande importanza al Sello Ambiental Colombiano, il riconoscimento assegnato di recente all’impresa dal Ministero dell’Ambiente poiché Smurfit Kappa sarebbe la prima papelera del paese ad aver ottemperato ai nuovi requisiti in materia ambientale. Aldilà dei forti legami con il potere, che spiegano il riconoscimento ministeriale all’impresa, il riconoscimento dello Stato colombiano è preoccupante poiché permette a Smurfit Kappa di produrre beni e servizi all’insegna di una presunta sostenibilità ambientale. Basta fare una rapida ricerca su Google per vedere che la parola sostenibilità è associata in maniera fin troppo sospetta alla multinazionale, grazie anche alla strategia comunicativa di Smurfit Kappa, la quale sbandiera ovunque il suo impegno per lo sviluppo delle comunità.
L’idea di una cartiera che divora il paese e si adopera affinché i leader sociali vengano eliminati evidentemente corrisponde con l’idea di “sviluppo” delle comunità che ha lo stesso Stato colombiano, non caso conosciuto a livello internazionale per la sua responsabilità nel perseguitare e vessare indios e contadini.
David Lifodi