Il presidente della Polonia, Andrzej Duda, ha annunciato che non firmerà gli emendamenti alla legge sulla Corte Suprema, già approvati dai due rami del Parlamento nei giorni scorsi, che avrebbero definitivamente posto il sistema giudiziario sotto il controllo del governo del partito Diritto e Giustizia.
Se gli emendamenti fossero entrati in vigore, il Ministro della Giustizia (che dal 2016 è anche procuratore generale) avrebbe avuto tra le mani poteri enormi: tra cui far decadere i giudici della Corte suprema, nominarne di nuovi, avviare procedimenti disciplinari nei confronti di giudici “riottosi” ed intervenire nel merito delle decisioni prese dalla Corte in occasione di procedimenti disciplinari precedenti.
In poche parole, sarebbe stata la fine dello stato di diritto e della separazione dei poteri in Polonia.
Di questo scenario si era resa conto anche la Commissione Europea, la quale nei giorni scorsi aveva minacciato di applicare l’articolo 7 del Trattato dell’Unione Europea, che autorizza il Consiglio Europeo ad ammonire uno Stato membro laddove vi sia “un chiaro rischio di una grave violazione” del rispetto dello stato di diritto e dei diritti umani.
Ma, soprattutto, se ne erano resi conto i cittadini e le cittadine della Polonia che, dopo la repentina approvazione della riforma della Corte Suprema da parte del Parlamento, erano scesi in piazza a decine di migliaia, a costo di essere arrestati, multati o condannati. Difficile immaginare che, nel porre il veto, il presidente Duda non abbia tenuto conto di questa protesta popolare.