All’indomani della presentazione del volume, con il Presidio di Libera di Portici, il Collegamento Campano contro le Camorre “G. Franciosi” e il Festival del Cinema dei Diritti Umani di Napoli, una riflessione collettiva sui contenuti della ricerca-azione e il ruolo della cultura nella promozione dei diritti umani e per la costruzione della pace.
Tra gli eventi del percorso di costruzione della edizione 2017 del Festival del Cinema dei Diritti Umani di Napoli non poteva mancare una riflessione sul ruolo della cultura ai fini della promozione dei diritti umani. E parlare di “cultura” e “patrimonio culturale”, termine sul quale insistono promesse e minacce (pressione turistica, manomissione privatistica, speculazione economica, persino «gentrificazione»), significa, al tempo stesso, affermare un’esigenza di innovazione, di interpretazione della complessità che nel patrimonio si condensa, di individuazione dei giacimenti di memoria che nel patrimonio si stratificano, di definizione del messaggio, culturale e sociale, che attraverso i componenti del patrimonio si annuncia per l’avvenire. E qui sta anche l’esigenza che alla difesa del patrimonio culturale restino associate una idea e una pratica di «partecipazione», affinché le ricchezze, le bellezze e le opportunità culturali di un territorio o di una città possano essere condivise, fruibili ed attraversabili, dai cittadini.
Il volume di Gianmarco Pisa, operatore di pace e attivista internazionalista, dal titolo Ordalie. Memorie e Memoriali per la Pace e la Convivenza (Ad Est dell’Equatore, Napoli, 2017) mette in rilievo proprio questo aspetto: i contenuti del patrimonio culturale, sia di ordine materiale (monumenti e luoghi della memoria dotati di un valore simbolico nella percezione collettiva), sia di carattere immateriale (le pratiche sociali e le consuetudini diffuse) possono ispirare il lavoro per la pace e nella promozione di «tutti i diritti umani per tutti», parafrasando uno dei maggiori giuristi italiani, vicino al movimento per la pace, Antonio Papisca, docente emerito di relazioni internazionali all’Università di Padova, recentemente scomparso. Si tratta di un volume di ricerca o, per meglio dire, di ricerca-azione, come pure viene scritto all’interno del volume: l’indagine è frutto di un lavoro “sul campo” per il superamento del conflitto kosovaro e a sua volta ha fornito griglie di lettura utili, ad esempio per mappare i luoghi della memoria e i giacimenti culturali della regione e per metterne in luce i caratteri e i significati di “trasformazione”.
Come ricorda Shemsi Krasniqi, docente di sociologia della cultura all’Università del Kosovo a Prishtina: «Un tema cruciale è il ruolo del patrimonio culturale in relazione alla memoria, in particolare alla memoria collettiva. Dopo la guerra, specie da parte albanese, sono stati istituiti nuovi “luoghi della memoria”, soprattutto nella forma di memoriali, come a Prekaz, e oggi quasi ogni municipio in Kosovo ha il proprio “luogo del ricordo”, legato soprattutto a figure ed eventi della guerra recente. Sono luoghi concepiti per gli Albanesi e anche, spesso, etnicamente connotati […]. Tuttavia, il monumento alla “Fratellanza e Unità”, a Prishtina, che risale all’epoca della Jugoslavia, resta in piedi come oggetto senza più senso, sebbene potrebbe avere un nuovo significato, dal momento che porta con sé un messaggio universale. […] Oggi è in uso un nuovo discorso pubblico: società multietnica, multiculturalismo e coesistenza tra le comunità etniche. In tale contesto, il monumento potrebbe essere riconcepito per le future generazioni, e non distrutto, tanto più che, per decenni, è stato uno dei simboli di Prishtina. […] Il patrimonio culturale può aiutare a trovare nuove prospettive e può aiutare a costruire pace e solidarietà».
Se poi il valore universale del patrimonio culturale (chi potrebbe discutere il fatto che i monasteri di Gračanica e Dečani, pur essendo profondamente ancorati alla tradizione serba ortodossa, non siano a tutti gli effetti patrimonio culturale universale? chi potrebbe obiettare, d’altra parte, che le splendide moschee di Hadum a Gjakova e di Sinan Pasha a Prizren, abbiano un valore di portata internazionale?) diventa occasione di creatività e fattore di reciprocità, allora si apre la prospettiva, interessante, tutta da approfondire, dell’importanza dei giacimenti culturali ai fini della prevenzione della violenza e della trasformazione del conflitto. È una traccia di lavoro importante, che permette di declinare il binomio cultura-pace nel senso della validità dei contenuti di cultura ai fini del lavoro degli operatori di pace e in particolare dei corpi civili di pace: la sfera culturale, spesso distorta per alimentare ostilità o conflitto, può, nondimeno, costituire potente fattore di legame, un terreno positivo per i diritti umani.
A cura del Festival del Cinema dei Diritti Umani di Napoli