Imelda Daza sta facendo un lavoro molto concreto all’interno del parlamento colombiano. Lei è parte delle voci del processo di pace che si sta portando avanti in Colombia.
Imelda, qual è il lavoro che le Voci della Pace stanno portando avanti? Come sta avanzando e quali sono le difficoltà che hanno incontrato?
La Colombia, nella sua storia, ha sofferto i rigori della violenza politica, attenuata in alcuni periodi e incrementata in altri. Sono state forme diverse di violenza e di diversa origine, che negli ultimi cinquant’anni hanno generato una violenza motivata da due fattori fondamentali.
Il primo è la struttura del possesso della terra, che è il nostro principale fattore produttivo dato che non siamo un paese industrializzato, quindi abbiamo bisogno di utilizzare la terra come fonte primaria di produzione. L’altissima concentrazione della proprietà in pochissime mani ha generato condizioni di ingiustizia molto gravi e ha condannato alla miseria quasi 5 milioni di contadini colombiani. Questa è una delle ragioni principali della guerra e della violenza di gruppi ribelli, che ha segnato le ultime cinque decadi della storia della Colombia.
Il secondo fattore è la mancanza di democrazia. Ci definiamo un paese democratico, una repubblica democratica, ma solo sulla carta. Nella pratica, la democrazia è una faccenda in sospeso. Non siamo mai vissuti in democrazia e ciò che ha caratterizzato la vita politica in Colombia è l’implementazione di una politica funesta, l’eliminazione dell’avversario, l’eliminazione fisica da parte dello stato colombiano, utilizzando i propri corpi di sicurezza e le proprie forze armate per scagliarsi contro la protesta popolare e contro i movimenti sociali.
L’Unione Patriottica, per esempio, a causa del successo elettorale è stata condannata all’eliminazione, alla sparizione, a un genocidio politico che ancora resta impunito e le cui vittime non hanno ricevuto alcuna giustizia.
Io sono una sopravvissuta di quel genocidio politico contro l’Unione Patriottica. Quel genocidio mi ha costretta a un esilio di 26 anni in un paese lontanissimo, la Svezia. Sono tornata due anni fa animata dal processo di pace che ci permetterà di costruire quella Colombia che tutti abbiamo sognato e che tutti meritiamo.
In questo quadro politico, le FARC e la maggioranza delle organizzazioni guerrigliere hanno deciso di negoziare con il governo il termine del conflitto armato. Alcuni anni fa lo hanno fatto altre guerriglie minori, mentre le FARC ci hanno provato 32 anni fa con Belisario Betancur, ma in quell’epoca i negoziati furono molto deboli, fragili e rapidi. Non hanno tenuto.
Abbiamo dovuto passare per migliaia di altre morti e per molto più dolore e tragedia perchè alla fine le FARC e il governo si sedessero a negoziare a L’Avana, cinque anni fa. Lì si è giunti a un accordo finale, che sfortunatamente è stato sottoposto a un plebiscito che il governo non ha promosso, che non è riuscito ad affrontare e che non ha saputo gestire, e il risultato è stato catastrofico. In ogni caso, la costante è stata la persistenza della pace.
Nell’accordo si è stabilita la creazione di un gruppo di opinione, di un’organizzazione politica di transizione che supervisionasse l’accordo stesso. Siamo stati selezionati in 6: quattro uomini e due donne per effettuare, nel Congresso, la supervisione dei progetti di legge e degli atti amministrativi che traducessero l’accordo al linguaggio giuridico al fine di approvare le leggi che sarebbero state vincolanti per tutta l’istituzionalità colombiana.
Quello che si sta facendo è trasformare l’accordo – testo scritto in un linguaggio comune e corrente – in leggi multiple, in molteplici atti legislativi, e anche in decreti del governo affinché siano vincolanti e formino parte dell’insieme di norme che regolano il funzionamento del paese e della società colombiana.
Noi abbiamo questo incarico, la funzione di monitorare che ogni legge e ogni atto legislativo emesso dal Congresso sia strettamente aderente allo spirito e al contenuto dell’accordo, cioè: non si può cambiare niente, non si può sopprimere niente, non si può aggiungere nè togliere. Inoltre abbiamo il ruolo di facilitatori delle funzioni delle FARC affinchè possano fare quest’ultimo passo, che è in realtà l’obiettivo di tutto il processo negoziale: trasformarsi in un nuovo partito politico che costruisca una politica senza armi, senza uniformi.
Il contesto storico nel quale si sta lottando in modo così persistente per costruire questa pace in modo legale è complesso; è attraverso un inquadramento normativo che ci si aspetta di garantire la continuità di questo nuovo processo colombiano, perchè in realtà sta nascendo una nuova Colombia, e costruirla sta costando molto. Imelda, esistono molte difficoltà per il compimento degli accordi? C’è davvero uno sforzo serio da parte del governo di Juan Manuel Santos per mantenere questo accordo di pace?
Esiste un impegno da parte del governo di Santos, suo e di quelli che gli stanno più vicino, che è quello di implementare l’accordo, di arrivare davvero alla fine dello scontro armato e di mettere a tacere i fucili. La volontà del governo esiste, ma la pace in Colombia ha molti nemici. La pace è difficile per i settori privilegiati del governo perchè la guerra occulta i privilegi, i problemi del paese, non permette di parlare dell’ingiusta distribuzione della terra, non permette di parlare di nient’altro che non siano i morti, i feriti, i sequestrati, ecc.
C’è gente che trae beneficio dalla guerra, non solo perchè occulta privilegi, ma anche perchè la guerra è un affare economico che costa allo stato colombiano 22.000 milioni di pesos al giorno, denaro gestito in parte da funzionari e in parte dalle forze armate. La gente che ha in carico questa gestione e che si occupa di questi affari legati alla guerra non vuole la pace, questa è una terribile verità. E’ questo il settore che si è occupato di manipolare l’opinione pubblica, di ingannare un popolo ignorante e poco colto con menzogne che, ripetute mille volte, finiscono per diventare false verità a cui la gente crede. Inventa, per esempio, che il paese è stato consegnato nelle mani delle FARC e ci si chiede: cosa gli è stato dato? La terra, il bilancio pubblico, o sono stati nominati ambasciatori, ministri o pubblici ministeri? Ma niente di questo è accaduto, in ogni caso i nemici continuano a lottare a spada tratta per frenare il processo di implementazione.
A partire dall’accordo di pace cominciano a emergere in modo molto più chiaro una serie di conflitti, come il conflitto dei cocaleros, il conflitto a Chocó e Buenaventura, la persecuzione dei difensori dei diritti umani (…)
E’ così, la pace permette l’affiorare di altri conflitti come la povertà, la miseria e i salari bassi. Ora si sa qual è la gravità di tutti i conflitti del paese, ora che i fucili sono stati messi a tacere emergono gli altri problemi, e questo è ciò che i nemici della Colombia non vogliono che si sappia.
Traduzione dallo spagnolo di Matilde Mirabella