Li chiamano Chokorà, in swahili “rifiuto”, i bambini di strada di Nairobi, intenti a rovistare tra le immondizie a caccia di oggetti da rivendere per acquistare, spesso, colla da sniffare. Una piaga pericolosa a cui qualcuno ha pensato di porre fine, provando perlomeno ad arginarla.
Si tratta del progetto Amref, African Medical and Research Foundation, organizzazione non governativa internazionale nata per migliorare la salute in Africa coinvolgendo le comunità locali. Tra i vari progetti attivati dall’ONG ci sono la lotta all’AIDS e alla malaria, la lotta contro l’acqua contaminata, servizi clinici per emergenze sanitarie e assistenza ai bambini di strada.
“Chokorà – Il barattolo che voleva suonare”
Insieme ad Amref Italia, Valentina Tamborra e Mario De Santis hanno dato vita a un progetto fotografico-narrativo per mostrare al mondo come vivono migliaia di bambini di strada e com’è possibile trasformare un banale rifiuto in uno strumento musicale, cambiando prospettiva.
(Maggiori informazioni e immagini sulla pagina Facebook Chokora – Il barattolo che voleva suonare o sul sito Amref).
Un’esperienza che ha profondamente toccato la fotografa Valentina Tamborra, che ha rivelato: “Pensavo “in fondo queste cose le conoscono tutti”, ma quando sei davanti a un bimbo di 6-7 anni completamente fatto di colla, solo, che rovista nella spazzatura dividendosi il cibo con cani e uccelli, ecco lì comprendi che non sapevi nulla“.
Ed è così che barattoli di latta destinati a tutt’altro utilizzo sono diventati pezzi di cultura musicale. Gli autori del progetto hanno spiegato di essersi voluti soffermare sulla musica perché il riuso di plastica e metallo in questo contesto ha un valore simbolico che riecheggia mentalmente e visivamente la durezza di questa realtà.
Il 22 giugno è anche partita una mostra incentrata sul progetto presso la Galleria HQ di Mario Giusti, in via Cesare Correnti 14, Milano, il cui scopo è sensibilizzare l’opinione pubblica sul delicato argomento. La mostra farà parte di una serie di iniziative organizzate da Amref, che quest’anno festeggia 60 anni dall’inizio delle attività in Africa e 30 anni dalla nascita della sezione italiana.
Così ne hanno parlato gli autori: “Vorremo parlare così a tutti, attraverso lo strumento artistico delle foto e delle parole, per ritrasmettere innanzitutto l’impatto emotivo che colpisce chiunque entri a contatto con questo mondo invisibile. e per far in modo che la forza delle immagini – insieme alle parole che le contestualizzano ma anche ne diano un’interpretazione – possa essere pero ogni spettatore l’occasione per guardare rasoterra quel che non hanno mai visto, pensare quel che sembra ai più impensabile, inimmaginabile.”
Nairobi, una delle città a più alto rischio per i bambini
Nairobi non è certo l’unica città africana popolata da moltissimi bambini di strada e purtroppo nonostante l’intervento di molte organizzazioni umanitarie sul territorio, attive ormai da anni, il fenomeno non è diminuito.
Si tratta di bimbi solitamente tra i 5 e i 10 anni, che inalano colla per dimenticare la propria condizione di vita spaventosa. Vagano da soli per le strade della città o in gruppi e stando alle statistiche, sarebbero circa 60.000. In tutto il Kenya sono invece più o meno 300mila bambini. La colla li rende dipendenti e finisce che il denaro trovato qua e là anziché sfamarli, viene impiegato per drogarsi.
Le attività svolte dai bambini di strada per sopravvivere spesso sono illegali e vanno dalla prostituzione alla rapina. I bambini di strada non frequentano alcuna scuola, spesso hanno totalmente perso i contatti con la famiglia di origine, dormono dove capita e si aggregano in bande per sopravvivere (meglio). La società li allontana sia perché li teme che per ribrezzo.
I bambini di strada nel mondo
I bambini di strada nel mondo potrebbero essere circa 150 milioni e probabilmente molti sfuggono alle statistiche e ai censimenti. Vengono chiamati street children, definizione che include i minori senza casa che vagano per strada senza sorveglianza e protezione. Un fenomeno diffuso soprattutto nelle grandi città dei Paesi in via di sviluppo ma anche nel mondo industrializzato, dove i numeri stanno crescendo in modo preoccupante.
I motivi che spingono questi bambini a vivere per strada sono diversi e fatta eccezione per quelli già citati, come condizioni di povertà estrema, situazioni famigliari tragiche con episodi reiterati di violenza e abusi, possono dipendere da guerre civili, politiche sociali inadeguate, inuguaglianze economiche troppo marcate, degrado sociale, crisi economiche.
Questi bambini si ritrovano a mendicare, rubare, vendere cianfrusaglie, riciclare immondizie, prostituirsi e corrono spesso il rischio di venire sfruttati da trafficanti e criminali vari. Anche le forze dell’ordine, in molti paesi, anziché proteggerli, li massacrano di botte, abusandoli o torturandoli sia fisicamente che psicologicamente. La situazione non è migliore negli istituti di pena giovanili, dove spesso vengono perpetrati abusi sui ragazzi reclusi.
Per difendersi e sopravvivere i bambini si uniscono a gang locali perché si sa, l’unione fa la forza. Purtroppo l’opinione pubblica è spesso dura nei loro confronti perché di fatto, commettono reati e quindi, vengono percepiti come pericolosi. Ciò non aiuta a comprendere che per evitare comportamenti devianti, l’unica soluzione è offrire loro delle alternative di vita e favorire politiche di inclusione sociale, assicurandogli gli stessi diritti degli altri cittadini.