Alla vigilia della discussione finale, con voto, delle mozioni presentate alla Camera dei Deputati sulla situazione dello Yemen le organizzazioni e campagne che hanno fatto appello al Parlamento stimolando questo dibattito ribadiscono la loro richiesta di interrompere l’esportazione da parte dell’Italia di sistemi militari ai paesi implicati nel conflitto yemenita.
La pace non è solo quando le armi tacciono; occorrono molti altri sforzi per ottenerla veramente, ma sicuramente non si può ottenere la pace quando le armi sparano, le artiglierie tuonano, gli aerei bombardano. Ogni sforzo deve essere fatto per fermare la carneficina, soprattutto di civili, in Yemen e iniziare ad occuparsi seriamente di una delle attuali catastrofi umanitarie più gravi del mondo.
L’Italia non può contribuire a questo scempio con ordigni fabbricati sul proprio territorio e inviati in particolare all’Arabia Saudita, paese che guida la coalizione militare intervenuta senza alcun mandato internazionale nel conflitto in corso in Yemen contro i gruppi armati Houti.
Nessuna alleanza in materia di contrasto al terrorismo internazionale, né la mancanza di formali embarghi internazionali e nemmeno l’impegno sul fronte diplomatico può giustificare il protrarsi di queste forniture di morte e distruzione. La legge italiana sul controllo dell’esportazione di materiali d’armamento (L. 185/90), la Posizione Comune del Consiglio dell’Unione Europea (2008/944/PESC) e il Trattato internazionale sul commercio di armi (ATT) non vietano, infatti, solamente l’esportazione di armamenti ai paesi sotto embargo, ma anche in tutti i casi in cui “sia a conoscenza, al momento dell’autorizzazione, che gli armamenti possano essere utilizzati per commettere atti di genocidio, crimini contro l’umanità, gravi violazioni delle Convenzioni di Ginevra del 1949, attacchi diretti a obiettivi o a soggetti civili protetti in quanto tali, o altri crimini di guerra definiti dagli accordi internazionali di cui lo Stato è parte” (Arms Trade Treaty, Art. 6.3).
Il “Rapporto finale del gruppo di esperti sullo Yemen” inviato al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite lo scorso 27 gennaio, documenta chiaramente l’utilizzo da parte dell’aeronautica saudita di ordigni prodotti ed esportati dall’Italia dall’azienda RWM Italia S.p.A. per bombardare diversi centri abitati da civili in Yemen ed esplicitamente afferma che tali azioni militari “possono costituire crimini di guerra” («may amount to war crimes»).
Facciamo pertanto appello al governo, affinché sappia con coraggio cambiare linea e decidere una strada diversa per sforzi reali di pacificazione dello Yemen. Facciamo appello al Parlamento, perché sappia considerare la situazione al di là degli equilibri geopolitici ed avendo invece in mente le sofferenze della popolazione civile yemenita. Chiediamo che vengano votate tutte le mozioni (in particolare le già presentate Marcon e altri e Corda e altri) che chiedono la sospensione dell’invio di materiali militari e – soprattutto – l’inizio di un percorso europeo verso un embargo all’esportazione di armamenti ad Arabia Saudita ed alleati, come richiesto due volte dal Parlamento Europeo (e votato dagli stessi partiti e gruppi politici chiamati ora ad esprimersi a Montecitorio). Qualsiasi nuova mozione che vada nella stessa direzione sarà da noi favorevolmente accolta.
Salutiamo come un segnale forte di fedeltà alla Costituzione il voto unanime del Consiglio Comunale della città di Iglesias, che il 19 luglio 2017 ha espresso «la volontà della città di porsi come luogo di costruzione di rapporti internazionali di pace e solidarietà» richiedendo allo Stato italiano «di mettere in atto tutti i meccanismi utili alla verifica del rispetto dei Trattati internazionali, i principi costituzionali e la normativa nazionale sulla commercializzazione degli ordigni fabbricati nel territorio italiano».
Come dimostrato in passato, i nostri sforzi saranno anche massimi in ottica di riconversione economica dei territori per dismettere la produzione di ordigni italiani coinvolti nella guerra in Yemen: convinti che i lavoratori della fabbrica che, in Sardegna e per conto della tedesca RWM, produce le bombe non debbano essere sottoposti al ricatto tra occupazione e diritti umani. Chiediamo quindi alle istituzioni europee, nazionali, regionali, alle parti sociali e alle comunità locali di impegnarsi immediatamente per evitare questi tragici dilemmi ed investire invece risorse ed energie nella costruzione di sistemi economici e sociali che favoriscano il lavoro giusto e lo sviluppo a lungo periodo. Proteggendo ambiente e persone (sia quelle che si trovano in Italia, sia quelle che si trovano nei teatri di conflitto).
Comunicato stampa congiunto di Amnesty International Italia – Fondazione Finanza Etica – Movimento dei Focolari – Oxfam Italia – Rete della Pace – Rete Italiana per il Disarmo