Di qui la condanna, per essersi introdotto illegalmente nel territorio azero, come prevede l’articolo 318.2 del Codice penale di Baku. Caduta invece l’altra imputazione, quella per pubblico incitamento contro lo stato, che gli avrebbe potuto costare più del doppio della pena. Lapshin aveva visitato il Karabakh in due occasioni, nel 2011 e nel 2012. Dopo essere stato bandito dal Paese in seguito a queste visite, il blogger aveva deciso di recarsi comunque in Azerbaigian nel 2016, usando il suo passaporto ucraino, dove lo spelling del suo nome risulta leggermente diverso. Una volta scoperto, su richiesta delle autorità azere, a dicembre era scattato l’imprigionamento a Minsk, in Bielorussia, e la conseguente estradizione.
Lapshin è un blogger di viaggio molto noto nel mondo russo. Sul suo blog, che ha un notevole seguito di lettori, ha raccontato con testi e immagini i suoi viaggi in oltre 120 Paesi. Non si occupa di politica, non ha denunciato gli scandali finanziari del presidente azero o violazioni dei diritti umani, come molti suoi colleghi finiti in carcere a Baku. Gli è bastato, dunque, visitare un Paese che non c’è come il Karabakh per entrare in un vero e proprio incubo, di cui vede ancora lontana la fine. «Gli azeri vogliono fare di Lapshin un esempio», ha dichiarato mesi fa un diplomatico israeliano rimasto anonimo al quotidiano Haaretz.
Ma non è solo Lapshin. Avremmo potuto esserci in tanti – me incluso – in quella prigione a Baku. Sono oltre 180 i giornalisti stranieri dichiarati non graditi dal regime dell’Azerbaijan, con la motivazione ufficiale di aver visitato la regione contesa del Karabakh. Tanti anche gli italiani, fra cui alcuni nomi molto noti, come Milena Gabanelli, già alla guida del programma Report. Una piccola macchina da guerra, quella messa in piedi da Baku, composta da giornalisti prezzolati, troll, hacker di stato e funzionari zelanti, attiva per colpire la stampa locale (l’Azerbaijan è agli ultimi posti al mondo per la libertà di stampa) ma anche i giornalisti stranieri che osano mettere il naso nei suoi affari. Tanti i casi di minacce e intimidazioni denunciati contro giornalisti e attivisti dei diritti umani, anche in Italia. Ma nulla di simile a quello capitato oggi a Lapshin, che crea un precedente gravissimo, e dalle conseguenze tuttora imprevedibili.
Articolo originale: http://www.eastjournal.net/archives/85520