In Turchia è in corso la “marcia per la giustizia”. Una manifestazione pacifica organizzata dal principale partito di opposizione. Migliaia di persone cammineranno per circa un mese da Ankara a Istanbul e forse oltre.
Il 14 giugno il parlamentare Enis Berberoglu è stato arrestato e condannato a 25 anni di carcere. Appartiene al partito di opposizione CHP (Partito Popolare della Repubblica) ed è accusato di spionaggio politico e militare. L’accusa si basa su un servizio giornalistico realizzato dal quotidiano nazionale Cumhuriyet il 29 maggio del 2015 firmato dai giornalisti Can Dundar ed Erdem Gul. La notizia riguardava il trasporto delle armi dalla Turchia verso la Siria; il 19 gennaio del 2014 tre tir pieni di armi, guidati dai servizi segreti, sono stati fermati e scoperti dalla polizia su mandato dei giudici. Questo fatto aveva reso ancora più evidente e palese il conflitto politico tra il governo e la comunità religiosa Hizmet, guidata dall’ex imam Fethullah Gulen, che vive negli Stati Uniti. Anche perché il Presidente della Repubblica ed il governo avevano immediatamente definito “gulenisti” i soldati ed i giudici che hanno fermato i tir; nei giorni successivi l’aggettivo sarebbe diventato “traditori della patria”. La guerra politica, e non solo, sorta in quel periodo tra questi due ex alleati aveva trovato sfogo nel caso del trasporto delle armi e Cumhuriyet, pubblicando le fotografie di questa operazione, si era attirato l’antipatia del Presidente della Repubblica e del governo. Tuttavia i materiali audiovisivi diffusi da Cumhuriyet erano stati già pubblicati nei mesi precedenti da Milliyet ed Aydinlik, contro i quali non è stata presa nessuna posizione politica e nemmeno giuridica.
La notizia aveva colpito fortemente il governo del paese, prima di tutto perché le prime versioni ufficiali sul fatto, anche se un po’ confuse e contraddittorie tra di loro, negavano la presenza delle armi. Il secondo motivo della rabbia era dovuto al fatto che Cumhuriyet fosse, quasi ufficialmente, l’organo di stampa del CHP. L’accusa rivolta a Berberoglu troverebbe una “giustificazione” in questo secondo motivo. Infatti Berberoglu è accusato di essere la persona che ha “procurato le informazioni segrete” ai giornalisti. I giudici avanzano quest’accusa perché uno dei firmatari del servizio, Can Dundar, nel suo interrogatorio, ha detto di aver ricevuto i materiali da “un parlamentare di sinistra”. Berberoglu , interrogato, respinse le accuse specificando che in quel periodo non era ancora stato eletto. Tuttavia i media mainstream, il governo e la magistratura volutamente ignorano il fatto che i materiali e le informazioni diffuse da Cumhuriyet erano stati già utilizzati da altri media.
“Domani iniziamo a camminare, ci sarò anch’io, all’inizio del corteo, con un cartellone con scritto sopra ‘Giustizia’. Ora basta! Finché non ci sarà giustizia in questo paese camminerò. Iniziamo ad Ankara per arrivare fino al Carcere di Maltepe, dove è detenuto il nostro parlamentare. Non so quanti giorni durerà, ma cammineremo”. Con queste parole il segretario generale del CHP, Kemal Kilicdaroglu, la sera del 15 giugno sulla Cnn Turk ha annunciato l’inizio di questa manifestazione.
Il giorno dopo centinaia e migliaia di persone sono scese per le strade di Ankara per camminare insieme al leader del CHP. Donne, uomini, bambini, anziani, avvocati, professori, operai, pensionati, parlamentari, sindaci, insegnanti… Il primo giorno hanno camminato per ben 28 chilometri.
Ovviamente non poteva mancare la reazione del governo e dei suoi amministratori contro questa marcia. Il Sindaco di Ankara, del partito al governo, ha parlato così della marcia sul suo account personale-ufficiale Twitter: “E’ un nuovo tentativo di colpo di Stato. I partecipanti a questa marcia possono essere denunciati e processati con l’accusa di tentativo di colpo di Stato. Siete avvisati”. Già, in un paese che ha subito tre colpi di stato effettivi, due soft e un tentativo sanguinoso la paura di un nuovo colpo di stato è un nervo molto, ma molto scoperto.
Non è rimasto in silenzio neanche il nuovo alleato del governo, ossia il Partito del Movimento Nazionalista (MHP). “Questa non è una manifestazione innocente. La giustizia non si cerca per le strade del paese. La giustizia è dentro l’anima dello Stato turco. Con questo gesto il CHP apre la porta all’anarchia. Questo è una minaccia contro la democrazia. E’ l’espressione della volontà di prendersi la rivincita del tentativo di colpo di stato del 15 luglio. Con questa marcia sotto sotto si sostiene quel tentativo di colpo di stato” ha dichiarato il segretario generale del MHP.
Mentre il corteo già il primo giorno era alle porte della capitale, contemporaneamente ad Istanbul presso il Parco Maçka si radunava un gruppo sostanzioso per manifestare con gli stessi obiettivi. Dibattiti, concerti, spettacoli teatrali, proiezione dei film… Anche qui oltre la popolazione civile si vedevano diversi parlamentari nazionali, sindaci e politici appartenenti al CHP, e non solo. Tra le facce conosciute si vedeva anche quella di Ihsan Eliacik, ideatore del movimento dei Musulmani Anticapitalisti, un elemento importante della rivolta popolare del Parco Gezi e candidato per le elezioni nazionali del 2015 dal Partito Democratico dei Popoli (HDP). Infatti da quest’ultimo punto di vista la presenza di Eliacik era molto importante perché tuttora in carcere ci sono 11 parlamentari dell’HDP e nella votazione parlamentare per la rimozione dell’immunità, che aprì le porte del carcere a questi parlamentari, si contavano anche i voti a favore del CHP. Per cui sarebbe stato del tutto “comprensibile” se l’HDP fosse rimasto distante dalla “marcia per la giustizia”. Invece non è andata così: prima di tutti Eliacik, poi altri parlamentari dell’HDP hanno apprezzato la manifestazione ed hanno comunicato la loro solidarietà con la richiesta di allungare la destinazione, verso il centro di detenzione di Edirne dove si trova il co-presidente dell’HDP, Selahattin Demirtas
Dopo la creazione di un presidio a Istanbul, il secondo giorno della marcia, presso numerose città sono state organizzate diverse manifestazioni. Malatya, Manisa, Trabzon, Bolu, Mugla e Burdur ed infine Izmir. Diversamente dalle altre in quest’ultima un gruppo sostanzioso di cittadini ha deciso di marciare verso Istanbul, esattamente come l’altro gruppo che era partito due giorni prima dalla capitale del paese.
Mentre in diverse parti della Turchia si respirava aria di ribellione e protesta non mancavano le dichiarazioni critiche da parte del governo. “E’ una decisione molto preoccupante che tende a mettere sotto pressione il sistema giuridico. Questo è un tentativo di confondere e manipolare l’andamento di un processo in atto, dunque si tratta di un reato”. Mentre queste erano le parole del Ministro della Giustizia, il Primo Ministro invitava i manifestanti a prendere il treno ad alta velocità per arrivare prima e senza sudare ad Istanbul. Anche il Primo Ministro ha sostenuto le strade non erano il luogo giusto per cercare la giustizia e ricordato al partito all’opposizione che all’epoca aveva votato a favore della rimozione dell’immunità parlamentare, per poi avvertire i manifestanti delle eventuali azioni di provocazione che avrebbero potuto subire nell’arco del loro cammino.
Mentre alcuni attuali esponenti del Partito dello Sviluppo della Giustizia (AKP) si opponevano alla marcia, ex membri partecipavano al corteo. Come Ahmet Faruk Unsan, un ex parlamentare ed uno dei fondatori dell’AKP, insieme a sua moglie. Oltre a loro e ai membri del CHP nel corteo c’erano anche dei cittadini che hanno subito le politiche dello stato d’emergenza in atto da quasi un’anno. Veysel Kiliç, padre di uno studente della scuola militare, coinvolto nel tentativo di colpo di stato, ingannato e trascinato per le strade di Istanbul pensando di intervenire in un attentato terroristico. “Sono venuto da Istanbul per questa marcia. Finché sto bene continuo. Sono qui per la giustizia del mio paese e per vivere in libertà. Non sono qui solo per mio figlio, ma anche per altri 262 studenti innocenti in carcere da 11 mesi. Se questi ragazzi avessero veramente sparato contro la popolazione civile avremmo avuto tante altre vittime. Questi ragazzi hanno difeso il popolo , lo stesso popolo che ha tagliato la gola a due loro compagni. Ora questi ragazzi sono senza scuola e senza vita” denuncia il padre ottantenne. Invece Zeynep Sari era in corteo per sua figlia medico rimasta senza lavoro grazie ad un decreto di legge emesso nell’ambito dello stato d’emergenza. “Ho sostenuto gli studi di mia figlia portando del letame secco sulle mie spalle. Voglio che le venga restituito il suo lavoro”.
Nel frattempo al Parlamento il parlamentare Muhammer Erkek del CHP nel suo intervento mostrava la fotografia del giudice che ha condannato Enis Berberoglu a 25 anni, insieme ai suoi amici facendo con le sue mani il simbolo Rabia, ossia il simbolo ufficiale dell’AKP, mettendo così in dubbio la sua indipendenza/oggettività. Contemporaneamente arrivavano nuovi apprezzamenti e aperture dall’HDP . “Nell’ambito di certi principi ed appelli giusti potremmo costruire una fronte unica che unisca diverse parti della società. La decisione del CHP è molto importante”, ha detto il parlamentare Sirri Sureyya Onder.
Oltre alle reazioni personali ed istituzionali del governo, il potere amministrativo ha continuato con i tentativi di criminalizzare e fermare la marcia. La mattina del 18 giugno il Presidente della Repubblica, in una cena organizzata con i padroni dei media main stream, ha invitato i partecipanti a non sostenere la marcia. “Se occupano le autostrade del paese con questa marcia fanno la stessa cosa che hanno fatto i golpisti il 15 luglio e noi non ci possiamo permettere una cosa del genere. Già ora non siamo di fronte una manifestazione legale. Se queste persone camminano ancora è perché il nostro governo gliel’ha permesso. Anche i media devono restare fedeli ai principi della legalità”.
Nonostante i tentativi di criminalizzazione e la pioggia, secondo i media indipendenti, la marcia pacifica sta crescendo e ha ricevuto messaggi di solidarietà da diversi artisti, letterati, collettivi, partiti politici, media, sindacati ed associazioni non governative.