I movimenti per la pace devono sforzarsi di essere sempre meno costretti ad improvvisare per reagire a singole emergenze,
ed attrezzarsi invece a sviluppare idee e proposte forti, capaci di aiutare anche la prevenzione, non solo la cura di crisi e conflitti
Alex Langer, “Pace e nuovo ordine mondiale”, 1991
Già nel 1989, anno dell’abbattimento del muro di Berlino che avrebbe portato (almeno temporaneamente) al superamento della contrapposizione Est-Ovest, Alex Langer scriveva su Nigrizia un articolo dal titolo “Non basta l’antirazzismo“, nel quale – con sguardo lungimirante – ammoniva: “finché la nostra civiltà industrializzata e opulenta, consumistica e competitiva imporrà a tutti i popoli la sua legge del profitto e dell’espansione, sarà inevitabile che gli squilibri da essa indotti sull’intero pianeta spingeranno milioni e miliardi di persone a cercare la loro fortuna – anzi la loro sopravvivenza – “a casa nostra”, dopo che abbiamo reso invivibile “casa loro”. Perché meravigliarsi se in tanti seguono le loro materie prime e le loro ricchezze che navi, aereri e oleodotti dirottano dal loro mondo verso il nostro? Attrezzarsi ad un futuro multi-etnico, multi-culturale e pluri-lingue è dunque una necessità, anche se non piacesse.”
Il futuro è arrivato, ma non ci siamo affatto “attrezzati” alla necessaria convivenza interculturale. Anzi, da lì a poco – facendo crollare le speranze di un nuovo ordine internazionale, fondato sulla pace e la cooperazione – sarebbe partito il ciclo di guerre internazionali che non è ancora finito, nelle quali il dirottamento delle ricchezze altrui verso il nostro mondo è avvenuto a mani armate. Mani armate, al plurale, sia perché abbiamo armato – e continuiamo ad armare – fino all’inverosimile la nostra mano militare che ha partecipato – e partecipa – a innumerevoli missioni di guerra, sia perché i “nostri” produttori di armi hanno armato – e contiuano ad armare – governi e bande in giro per il mondo. Mani armate che, in aggiunta ai milioni di migranti che cercano fortuna fuggendo da Paesi depredati economicamente ed ecologicamente, producono milioni di profughi in cerca di rifugio da guerre e terrorismi. Di fronte ai quali – quasi trent’anni dopo l’abbattimento di quel muro al centro dell’Europa – molti altri muri, fili spinati e cortine di odio sono stati innalzati dappertutto in Europa. E’ stato avviato un circuito perverso: esportiamo armi, alimentiamo guerre, importiamo profughi ed alziamo muri.
Il fallimento delle politiche militari di intervento nei conflitti è completo: anziché pacificare il pianeta – semmai avessero mai avuto davvero questo fine – hanno portato la guerra fin dentro alle nostre città. L’Europa è nel pieno di una crisi di nervi, colpita da ripetuti attentati – compiuti per lo più da giovani europei di seconda generazione – che alimentano la paura dell’altro – del nemico interno, come del nemico esterno – e alzano le percentuali elettorali dei partiti razzisti e fascisti. La xenofobia è diventata il tratto che accomuna tutti i populismi che cercano voti puntando sulle paure irrazionali. E’ la cattiva politica che alimenta la paura e da questa trae alimento. E genera violenza, anziché convivenza.
Ecco perché è assolutamente necessaria “una buona politica per riparare il mondo” – come recita il titolo dell’interessante antologia ragionata e commentata di testi di Alex Langer, a cura di Mario Marzorati e Mao Valpiana – che parta da quella che Langer definiva la condizione vitale: bandire ogni violenza. “La conflittualità di origine etnica, religiosa, nazionale, razziale, ecc. ha un enorme potere di coinvolgimento e di mobilitazione e mette in campo tanti e tali elementi di emotività collettiva da essere assai difficilmente governabile e riconducibile a soluzioni ragionevoli se scappa di mano (…) Ed anche in questo caso non bastano leggi o polizie, ma occorre una decisa repulsa sociale e morale, con radici forti: un convinto e convincente no alla violenza”. Così scriveva Langer nel 1994, difronte alla tragedia della guerra fratricida nei Balcani, a partire della quale avrebbe elaborato l’anno successivo il documento “Per la creazione di un corpo civile di pace europeo” nel quale immaginava una vera e propia forza disarmata, costituita “dall’Unione Europea sotto gli auscpici dell’ONU”, inizialmente composta da almeno un migliaio di persone, tra professionisti e volontari, ma tutti perfettamente formati ed equipaggiati per intervenire nei conflitti internazionali prima dell’esplosione della violenza e capaci di rimanervi efficacemente anche durante la fase acuta.
Era il sogno della buona politica, l’unica in grado di fermare guerre e terrorismo e trasformare – con la nonviolenza – il rombo delle armi nel suono del dialogo: a Mosul, Raqqa e Kabul come a Parigi, Londra e Roma. Ma nel luglio di quello stesso anno Alex Langer decise di andarsene e di lasciare a noi l’impegno di continuare “in ciò che era giusto”. Di tutto questo parleremo con Mao Valpiana, presidente del Movimento Nonviolento – del quale Langer era un grande amico – il prossimo 23 giugno a Reggio Emilia, alle 18.00, presso il Giardino dell’Arca dedicato ad Alex Langer, nel parco di via Danimarca.
Pasquale Pugliese