Stando alle cifre rilasciate in occasione della Giornata Mondiale della Salute il 7 aprile scorso dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), oggi oltre 300 milioni di persone convivono con una qualche forma di depressione, un dato che registra un incremento del 18% tra il 2005 e il 2015. “Un invito per tutti i paesi a riflettere sui loro approcci alla salute mentale, per curarla con l’urgenza che merita, senza pregiudizi e discriminazioni” ha spiegato la dottoressa Margaret Chan dell’Oms presentando la campagna Depressione: parliamone. “Il continuo stigma associato alla malattia mentale è il motivo per cui abbiamo deciso di chiamare così la nostra campagna” ha aggiunto il dottor Shekhar Saxena, direttore del Dipartimento di salute mentale e abuso di sostanze dell’Oms, che ha ricordato come anche nei paesi ad alto reddito “quasi il 50% delle persone affette da depressione non viene trattato adeguatamente e in media, solo il 3% dei bilanci sanitari pubblici è investito nella cura della salute mentale”, con dati inferiori all’1% nei paesi a basso reddito e mai superiori al 5% nei paesi ad alto reddito.
Eppure l’investimento sulla salute mentale ha un importante risvolto economico, oltre a rappresentare una necessità relazionale ed emotiva. Secondo uno studio condotto dall’Oms, che ha calcolato i costi dei trattamenti sanitari della depressione e i suoi risultati in 36 paesi a basso, medio e alto reddito per i 15 anni, “Ogni dollaro investito nella riduzione del trattamento per la depressione e l’ansia conduce ad un ritorno di 4 dollari attraverso una vita più sana e una migliore capacità di lavoro”, mentre disturbi depressivi e ansia “provocano una perdita economica globale di un trilione di dollari ogni anno”. Le perdite sono sostenute a cascata dalle famiglie che perdono oltre alla serenità anche il reddito quando i malati non possono più lavorare, dai datori di lavoro che perdono opportunità quando i dipendenti diventano meno produttivi o rimangono in malattia e vanno sostituiti ed infine dai governi, che devono pagare maggiori spese sanitarie e di welfare visto che la depressione aumenta anche il rischio altri di disturbi e malattie.
Per chiunque viva con la depressione parlare con una persona di fiducia è spesso il primo passo verso il trattamento e il recupero ed è piuttosto ridicolo cercare cause esterne quando è essenzialmente la qualità dei rapporti umani ad essere centrale sia nella prevenzione che nella cura della depressione. Eppure una ricerca tutta italiana, appena apparsa sulla rivista scientifica Molecular Pshychiatry e curata da Laura Maggi, Cristina Limatola e Igor Branchi in collaborazione con Silvia Alboni, ha portato a nuove importanti evidenze. Lo studio in oggetto, coordinato dall’Università la Sapienza di Roma e dall’Istituto superiore di sanità ha scoperto “il ruolo fondamentale dell’ambiente nel trattamento farmacologico della malattia” dimostrando che l’effetto della terapia “può variare a seconda del contesto ambientale in cui essa viene somministrata”. Di fatto il team di ricercatori non parla espressamente di una qualità “ecologica” dell’ambiente e non nega l’importanza essenziale dei rapporti umani, ma integra più aspetti della qualità ambientale, sottolineando come il farmaco che viene somministrato in un ambiente bello e ricco di stimoli genera, a livello cerebrale, “un aumento del supporto neurotrofico nell’ippocampo e un effetto di normalizzazione della funzionalità dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene”, al contrario, quando il farmaco viene somministrato in un ambiente degradato e stressante “si osserva un peggioramento del fenotipo comportamentale, un aumento della plasticità cerebrale e una riduzione della neurogenesi nell’ippocampo”. In pratica, questo significa che “la direzione degli effetti comportamentali, strutturali e molecolari, dipendono dalla qualità dell’ambiente in cui viene somministrato il farmaco”.
Un risultato con importanti ricadute pratiche per rendere più efficace la cura della depressione, perché come ha spiegato Laura Maggi “La capacità di identificare la qualità dell’ambiente come fattore importante nel dirigere l’effetto di un trattamento antidepressivo potrebbe rappresentare una svolta importante per il miglioramento della terapia della depressione”, anche se è bene ricordare che lo studio si è concentrato sull’osservazione degli effetti solo su una sola categoria di farmaci utilizzati nel trattamento dei principali casi di depressione, la cui efficacia è notoriamente incerta e variabile. Per Claudio Risè, noto psicologo, nonché scrittore, giornalista e docente universitario, contro la depressione la cura può avere anche una connotazione espressamente green e arrivare dalla vicinanza al verde. Non è un caso se la depressione cresce prevalentemente in quei luoghi, o quartieri, in cui non vi sono verde e giardini visto che “Nelle zone periferiche più degradate, dove manca il verde e la sicurezza è carente, si sviluppa più depressione. Sopratutto, ma non solo, tra le donne (il 66% è in cura contro il 34% degli uomini) e gli anziani”. È chiaro che in questi contesti agiscono anche altri fattori depressivi e che “il verde e i giardini per funzionare devono far parte di un più ampio e sano stile di vita“.
Uno spunto importante per riflettere sugli stress sociali e lavorativi che caratterizzano molti contesti ambientali, soprattutto in Italia, dove il 5,1% della popolazione risulta essere affetto da una forma di depressione, una percentuale maggiore rispetto alla media globale (4,4%). Eppure il Belpaese contiene in se, a quanto pare, già un fattore utile per l’esito positivo di un trattamento antidepressivo: un patrimonio naturale unico e dalla bellezza spesso rigenerante sulla cui tutela non si investe mai abbastanza, nonostante i buoni risultati ottenuti recentemente dalla legge 68/2015 sugli ecoreati. Per Legambiente, infatti, “i nuovi reati contro l’ambiente sono stati utilizzati in tutta Italia per sequestrare depuratori malfunzionanti, per fermare l’inquinamento causato da attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti (il primo delitto ambientale della normativa italiana approvato nel 2001), per intervenire su situazioni di inquinamento pregresso che continua ancora oggi a causare enormi danni ambientali in assenza di bonifica o per fermare attività illegali di vario genere, dalla pesca illegale a Taranto agli scarichi industriali non trattati a Chieti fino all’estrazione abusiva di inerti dalle cave o dai fiumi”. Una legge migliorabile, ma che fa bene alla salute, anche a quella celebrale!