Che le vaccinazioni possano far male alla salute, in Italia è pubblicamente comprovato da almeno 25 anni. Infatti, la Legge 210 del 25 febbraio 1992 ha per titolo: “Indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di emoderivati”.
Ovviamente dall’approvazione della legge non si può dedurre che le vaccinazioni siano in ogni caso dannose per la salute delle persone. Anzi, è generalmente riconosciuta l’utilità della prevenzione vaccinale, ma come accade per la maggior parte dei farmaci – è fondamentale tener conto , oltre ai benefici, anche degli effetti negativi.
Anzitutto occorre riconoscere che l’approvazione della legge che ha stabilito un indennizzo per le persone danneggiate da complicanze dovute a determinate pratiche sanitarie è sicuramente un fatto positivo, perché significa che la collettività si è assunta la responsabilità delle politiche sanitarie adottate, che evidentemente comportano sempre margini di errore o potenziale fallibilità.
D’altra parte bisogna sottolineare come la Legge 210 del 1992 sia stata scritta in modo inadeguato (per usare un eufemismo), considerato che la Corte Costituzionale ha dichiarato in diverse sentenze l’illegittimità di alcuni commi fondamentali della normativa. In questi pronunciamenti la Consulta ha anche sottolineato e chiarito alcuni aspetti rilevanti della problematica collegata alle vaccinazioni raccomandate e a quelle obbligatorie.
Nella sentenza n. 118 del 1996 la Consulta, dichiarando l’illegittimità costituzionale degli artt. 2, comma 2, e 3, comma 7 della legge n. 210/1992, afferma: «L’esatto inquadramento del problema di costituzionalità che la Corte è chiamata a risolvere presuppone la chiarificazione del significato del diritto costituzionale alla salute con riferimento al caso in cui la sua dimensione individuale confligga con quella collettiva, ipotesi che può ricorrere tipicamente nei casi di trattamenti sanitari obbligatori, tra i quali rientra la vaccinazione antipoliomielitica. La disciplina costituzionale della salute comprende due lati, individuale e soggettivo l’uno (la salute come “fondamentale diritto dell’individuo”), sociale e oggettivo l’altro (la salute come “interesse della collettività”). Talora l’uno può entrare in conflitto con l’altro, secondo un’eventualità presente nei rapporti tra il tutto e le parti. In particolare – questo è il caso che qui rileva – può accadere che il perseguimento dell’interesse alla salute della collettività, attraverso trattamenti sanitari, come le vaccinazioni obbligatorie, pregiudichi il diritto individuale alla salute, quando tali trattamenti comportino, per la salute di quanti ad essi devono sottostare, conseguenze indesiderate, pregiudizievoli oltre il limite del normalmente tollerabile. (…) In questa situazione, la legge che impone l’obbligo della vaccinazione antipoliomielitica compie deliberatamente una valutazione degli interessi collettivi ed individuali in questione, al limite di quelle che sono state denominate “scelte tragiche” del diritto: le scelte che una società ritiene di assumere in vista di un bene (nel nostro caso, l’eliminazione della poliomielite) che comporta il rischio di un male (nel nostro caso, l’infezione che, seppur rarissimamente, colpisce qualcuno dei suoi componenti). L’elemento tragico sta in ciò, che sofferenza e benessere non sono equamente ripartiti tra tutti, ma stanno integralmente a danno degli uni o a vantaggio degli altri. Finché ogni rischio di complicanze non sarà completamente eliminato attraverso lo sviluppo della scienza e della tecnologia mediche – e per la vaccinazione antipoliomielitica non è così -, la decisione in ordine alla sua imposizione obbligatoria apparterrà a questo genere di scelte pubbliche».
In questa approfondito ragionamento espresso dalla Consulta, chiamata in causa nel bilanciamento di due diritti/valori, emerge la consapevolezza dell’imperfezione delle scelte di una comunità. Il fatto che la Corte utilizzi l’aggettivo “tragiche”, dovrebbe far riflettere tutti coloro che affrontano il problema delle vaccinazioni come se fosse una questione secondaria se non addirittura una perdita di tempo, sottovalutando le implicazioni costituzionali.
In questa sentenza del 1992 la Corte si pone anche la questione di un’eventuale obiezione di coscienza alle decisioni pubbliche in materia: «Impregiudicato qui il problema del rilievo da riconoscersi all’obiezione di coscienza nei confronti dei trattamenti medicali, in nome del dovere di solidarietà verso gli altri è possibile che chi ha da essere sottoposto al trattamento sanitario (o, come nel caso della vaccinazione antipoliomielitica che si pratica nei primi mesi di vita, chi esercita la potestà di genitore o la tutela) sia privato della facoltà di decidere liberamente. Ma nessuno può essere semplicemente chiamato a sacrificare la propria salute a quella degli altri, fossero pure tutti gli altri». È evidente che si tratta di un rilievo non banale: la salute personale è un valore assoluto e non è sacrificabile su nessun “altare”, compreso il benessere o l’interesse di “tutti gli altri”. Anche questo aspetto dovrebbe interrogare il legislatore soprattutto sull’utilizzo della coercizione, modalità da utilizzare il meno possibile e comunque con cautela, poiché c’è il rischio di sacrificare – contro la sua volontà – qualcuno, fosse anche soltanto una persona.
In conclusione, la Corte Costituzionale – di fronte al danno subìto – afferma: «Si tratta perciò di un obbligo avente uno speciale carattere. Per la collettività è in questione non soltanto il dovere di aiutare chi si trova in difficoltà per una causa qualunque, ma l’obbligo di ripagare il sacrificio che taluno si trova a subire per un beneficio atteso dall’intera collettività. Sarebbe contrario al principio di giustizia, come risultante dall’art. 32 della Costituzione, alla luce del dovere di solidarietà stabilito dall’art. 2, che il soggetto colpito venisse abbandonato alla sua sorte e alle sue sole risorse o che il danno in questione venisse considerato come un qualsiasi evento imprevisto al quale si sopperisce con i generali strumenti della pubblica assistenza».
La problematica della profilassi dei vaccini implica una responsabilità che va oltre la semplice assistenza, ma attiene al rapporto tra rispetto di ogni singola persona umana e il bene della collettività. Quest’ultima, dopo aver cercato di minimizzare ogni rischio e qualora si manifestasse comunque un evento avverso, è tenuta a provvedere con la più ampia solidarietà possibile, poiché altrimenti verrebbe meno la coesione sociale. La Corte pertanto sancisce «il riconoscimento dell’obbligo di assicurare protezione alle vittime della vaccinazione obbligatoria» senza «limitazioni di carattere temporale».
Conseguentemente alle disposizioni e ai rilievi della Corte Costituzionale, il legislatore ha cercato di porre rimedio approvando la Legge n. 238 del 25 luglio 1997, che apporta “modifiche ed integrazioni” alla Legge 210/1992. Ma anche in questo caso il dispositivo normativo non è risultato ottimale. Infatti, nella sentenza n. 27 del 1998 la Corte Costituzionale, dichiarando l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, della rinnovata Legge n. 210/1992, aggiunge un altro tassello importante relativamente alle vaccinazioni non obbligatorie: «Non vi è infatti ragione di differenziare, dal punto di vista del principio anzidetto, il caso in cui il trattamento sanitario sia imposto per legge da quello in cui esso sia, in base a una legge, promosso dalla pubblica autorità in vista della sua diffusione capillare nella società; il caso in cui si annulla la libera determinazione individuale attraverso la comminazione di una sanzione, da quello in cui si fa appello alla collaborazione dei singoli a un programma di politica sanitaria. Una differenziazione che negasse il diritto all’indennizzo in questo secondo caso si risolverebbe in una patente irrazionalità della legge. Essa riserverebbe infatti a coloro che sono stati indotti a tenere un comportamento di utilità generale per ragioni di solidarietà sociale un trattamento deteriore rispetto a quello che vale a favore di quanti hanno agito in forza della minaccia di una sanzione». Pertanto, la Consulta estende l’indennizzo previsto a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie anche a coloro che si sono sottoposti volontariamente alle vaccinazioni raccomandate dalle istituzioni sanitarie. In particolare la Corte specifica che il risarcimento previsto attiene direttamente alla sfera dei diritti della persona, tutelati e garantiti dalla Costituzione: «Nel rispetto dell’ampia discrezionalità che deve essere riconosciuta al legislatore, a questa Corte, nell’esercizio del controllo di costituzionalità sulle leggi, compete tuttavia di garantire la misura minima essenziale di protezione delle situazioni soggettive che la Costituzione qualifica come diritti, misura minima al di sotto della quale si determinerebbe, con l’elusione dei precetti costituzionali, la violazione di tali diritti».
Con la sentenza n. 423 del 2000 la Consulta conferma l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, della Legge n. 210/1992 nella parte in cui non prevede il diritto all’indennizzo di coloro che siano stati sottoposti a vaccinazione antiepatite B non obbligatoria, in quanto appartenenti a categorie a rischio, in relazione alle quali l’autorità sanitaria abbia promosso la diffusione della vaccinazione. In questo caso la Consulta chiarisce: «In applicazione dei princìpi così posti, la risoluzione della presente questione di costituzionalità consiste nel rispondere alla domanda se, analogamente a quanto accertato in relazione alla vaccinazione antipoliomielitica, anche per la vaccinazione antiepatite possa dirsi essere stata in atto una campagna legalmente promossa dall’autorità sanitaria per la diffusione di tale secondo tipo di vaccinazione». Dato che la Corte ha accertato che tali campagne sono state effettuate a partire dal 1983, la sentenza stabilisce che l’indennizzo è riconosciuto a chi abbia subito un danno a partire da tale data. È evidente come la Consulta ritenga che le campagne di promozione della salute attraverso la profilassi con vaccini siano strettamente correlate alla necessità di risarcire il danno che – per il bene della collettività – è stato arrecato al singolo.
Questa impostazione viene ribadita con la sentenza n. 107 del 2012, nella quale la Consulta dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 1, della Legge n. 210/1992 nella parte in cui non prevede il diritto ad un indennizzo ai soggetti che abbiano subìto lesioni e/o infermità, da cui siano derivati danni irreversibili all’integrità psico-fisica, per essersi sottoposti a vaccinazione, non obbligatoria ma raccomandata, contro il morbillo, la rosolia e la parotite. In questo pronunciamento la Corte anzitutto fa riferimento alla «stretta correlazione, nella disciplina costituzionale della salute, tra diritto fondamentale dell’individuo (lato individuale e soggettivo) e interesse della intera collettività (lato sociale e oggettivo); quanto, soprattutto, la necessità che, ove i valori in questione vengano a trovarsi in frizione, l’assunzione dei rischi, relativi a un trattamento “sacrificante” della libertà individuale, venga ricondotta ad una dimensione di tipo solidaristico. Ponendosi, inoltre, nella prospettiva di individuare la ratio della provvidenza indennitaria in ogni situazione in cui il singolo abbia esposto a rischio la propria salute per la tutela di un interesse collettivo, si è in seguito affermato che dagli artt. 2 e 32 Costituzione deriva l’obbligo, simmetricamente configurato in capo alla stessa collettività, di condividere, come è possibile, il peso delle eventuali conseguenze negative». In conclusione la Consulta spiega che «la ragione determinante del diritto all’indennizzo è l’interesse collettivo alla salute e non l’obbligatorietà in quanto tale del trattamento, la quale è semplicemente strumento per il perseguimento di tale interesse; e che lo stesso interesse è fondamento dell’obbligo generale di solidarietà nei confronti di quanti, sottoponendosi al trattamento, vengano a soffrire di un pregiudizio». Da notare come la Corte interpreti l’obbligatorietà soltanto come strumento finalizzato a raggiungere l’interesse collettivo. Quindi, da considerarsi utile esclusivamente se dimostrasse di poter raggiungere tale obiettivo e soltanto se le scelte volontarie non si rivelassero sufficienti o adeguate.
Da queste sentenze emerge con chiarezza come il tema delle vaccinazioni sia delicato e vada perciò affrontato con particolare cautela, dato che sono in gioco valori tutelati dalla Costituzione. Per il giudice delle leggi è fondamentale affermare il principio di responsabilità collettiva delle scelte pubbliche, che non possono essere assunte a cuor leggero. Le persone danneggiate dalle prescrizioni normative non possono essere trattate come casi inevitabili e sacrificabili per il miglior bene degli altri. Nella prospettiva risarcitoria del danno provocato dalle vaccinazioni la Corte sostiene che non si può distinguere tra quelle raccomandate e quelle obbligatorie. Anzi, viene implicitamente apprezzata la scelta volontaria di contribuire alla salute pubblica, pur in presenza di qualche rischio per sé o per i propri figli. Proprio questa considerazione dovrebbe motivare il legislatore a promuovere prioritariamente scelte volontarie consapevoli, anziché ricorrere alla coercizione. L’obbligo esterno di norma è meno efficace (e giusto) della motivazione che ciascuno può eventualmente maturare dentro di sé. Come ha scritto Wayne Dyer, bisogna essere consapevoli che tutte “le relazioni basate sull’obbligo mancano di dignità”.