Il 13 giugno il Comitato dei diritti umani delle Nazioni Unite ha dato ragione a Siobhán Whelan, una cittadina irlandese che nel 2010 era stata costretta a recarsi nel Regno Unito per abortire dato che il bando quasi totale in vigore nel suo paese glielo avrebbe impedito.
Trattate come criminali e stigmatizzate in patria, ogni anno migliaia di donne irlandesi (e dell’Irlanda del Nord, che ha una legislazione a sé rispetto al Regno Unito) sono costrette a ricorrere a servizi d’interruzione della gravidanza in Inghilterra.
Il Comitato ha giudicato che le leggi irlandesi in materia d’aborto hanno violato il diritto di Siobhán Whelan a non subire trattamenti crudeli, inumani e degradanti e il suo diritto alla riservatezza. L’Irlanda ha sottoposto Siobhán Whelan a un “elevato livello di angoscia” e la criminalizzazione dell’aborto ha attirato su di lei vergogna e stigma. Il Comitato ha ammonito l’Irlanda a modificare la legislazione, per evitare casi del genere.
Esattamente un anno fa, nel giugno 2016, il Comitato aveva preso posizione sul caso di Amanda Mellet, cui era stato negato l’aborto nonostante una diagnosi di malformazione fatale del feto. In quel caso, l’Irlanda aveva accettato di pagare un risarcimento.