Registriamo molta confusione e manipolazione su ciò che sta succedendo in Venezuela negli ultimi tempi. Comprendere una situazione significa, per noi, far parlare gli attori sul campo, gli osservatori informati, depurare la notizia dalla propaganda e, soprattutto, chiarire da che punto di vista si parla. In questo momento storico l’unico punto di vista interessante ci pare quello dello sviluppo umano, dello sviluppo dei popoli. Per questo abbiamo sentito Geraldina Colotti, giornalista del Manifesto e direttrice dell’edizione italiana di Le Monde Diplomatique, che da molti anni racconta il Venezuela attraverso interviste e reportage. Un punto di vista “schierato”, ma non acritico, e ben documentato, espresso da una giornalista di grande livello professionale.
Geraldina, quando sei stata a Caracas l’ultima volta?
A settembre dell’anno scorso, per oltre un mese, in occasione del 17° Vertice del Movimento dei Paesi Non Allineati (MNOAL), che si è tenuto sull’isola di Margarita dal 13 al 18 settembre e durante il quale l’Iran ha trasferito la presidenza pro-tempore dell’organismo internazionale – il secondo più grande dopo l’Onu – al Venezuela. Il Mnoal venne formalmente costituito a Belgrado nel settembre del 1961. Gli antecedenti vanno però rintracciati nella Conferenza afroasiatica di Bandung, in Indonesia, dell’aprile del 1955. Allora promossero l’iniziativa cinque paesi decolonizzati dell’Asia: il Pakistan, l’India, l’Indonesia, l’attuale Sri Lanka e la Birmania. A quella conferenza assistettero 29 paesi, che condannarono il colonialismo ancora esistente in Africa e il sistema dell’apartheid e invitarono le grandi potenze a cooperare nella lotta contro il sottosviluppo e la povertà. Nel mondo allora diviso in due blocchi, nasceva il cosiddetto Terzo Mondo. I paesi dell’America Latina e dei Caraibi non furono presenti a Bandung. Il loro ruolo è però risultato determinante in questo secolo, grazie al dinamismo dei governi del “socialismo bolivariano”, che hanno ripreso l’esempio di Cuba e cercato di trasformare la “ritualità” dei vertici internazionali all’insegna dei rapporti non asimmetrici, dell’integrazione regionale, della solidarietà, della cooperazione sud-sud e del non-allineamento alle politiche di guerra.
Com’era la situazione?
All’isola Margarita erano presenti le più alte rappresentanze dei 120 paesi dell’Africa, dell’Asia, dell’America Latina e dei Caraibi e dell’Europa orientale, dei 17 paesi osservatori e 10 organizzazioni osservatrici. Il vertice è stato però completamente silenziato da tutti i media europei, impegnati invece a trasmettere ogni starnuto delle destre venezuelane. In quella sede, si è messo nero su bianco che il dialogo e non la guerra deve guidare le politiche del mondo globalizzato, ogni paese partecipante ha sottoscritto il principio che garantisce la libera circolazione delle persone e non solo delle merci, la libertà di genere, quella del lavoro e della dignità umana e il diritto dei popoli alla propria autodeterminazione. E’ stata lanciata la campagna contro i paradisi fiscali, ripresa anche all’Onu e sostenuta da Papa Bergoglio. Un “patto etico” che ha poi portato, in Ecuador, al referendum che si è svolto in contemporanea alle ultime elezioni presidenziali, vinte da Alianza Pais. Oltre il 50% degli ecuadoriani ha detto no ai paradisi fiscali, nonostante la poderosa campagna delle destre, che a tutt’oggi disconoscono il risultato.
Nei giorni del vertice Mnoal, a Piacenza veniva ucciso durante un picchetto notturno l’operaio egiziano Abdesselem El Danaf, professore nel suo paese, lavoratore della logistica in Italia, e il sindacato Usb organizzava un riuscito sciopero “di classe”… Da quelle parti si parlava di diritti del lavoro che il Venezuela continua a difendere, nonostante il primo obiettivo delle destre, dopo la vittoria alle elezioni parlamentari del 2015, sia stato quello di abolire l’avanzatissima legislazione del lavoro. In quella occasione, si è visto un ulteriore giro di censura sul Venezuela e un ulteriore capovolgimento di senso nel raccontare le notizie. Per dirne una, sull’isola Margarita, nel supermercato vicino all’hotel che ospitava i partecipanti al vertice, in quei giorni si trovava di tutto e a prezzi accettabili. Il giorno dopo la chiusura del vertice, i prezzi erano nuovamente schizzati alle stelle.
E’ incredibile la quantità di attacchi che ha subito Maduro dopo aver vinto le elezioni contro Henrique Capriles, alla morte di Chavez, nel 2013. Come nel Cile di Allende, gli Usa e le destre che pilotano hanno deciso di “far urlare l’economia” venezuelana, complicando le debolezze di un paese petrolifero ancora troppo dipendente dagli introiti dell’oro nero. Un paese ricco di risorse – soprattutto oro e coltan, ma anche risorse idriche e biodiversità – che ha messo in campo un forte processo di redistribuzione e ha intaccato i rapporti di proprietà capitalisti, pur senza aver fatto una rivoluzione di stampo novecentesco, come quella di Cuba. Imponendo un’altissima qualificazione del rischio, le agenzie di rating obbligano il Venezuela a pagare in anticipo e con tassi di interessi stratosferici, come accade per Cuba che soffre il blocco economico degli Stati Uniti.
Il traffico di dollari al mercato nero intossica l’economia e fa aumentare l’inflazione accumulata negli anni della IV Repubblica. Le grandi imprese hanno ottenuto miliardi di dollari a prezzo preferenziale dal governo (in Venezuela la moneta è il bolivar) per investimenti o importazioni che non hanno mai fatto, preferendo speculare sul mercato del dollaro parallelo. Le grandi imprese private hanno intrapreso una gigantesca azione di sabotaggio e accaparramento dei prodotti, per provocare il malcontento nei settori popolari. Com’è possibile che, dopo aver aumentato in modo stellare i prezzi, dopo aver ricevuto così tanti dollari e materia prima, a fronte di code così evidenti l’impresa che produce il mais pre-cotto (il prodotto più usato nell’alimentazione) decida di ridurre la produzione dell’80% anziché aumentarla per far fronte alla richiesta? Se la domanda c’è, perché ridurre l’offerta? Il governo ha reagito con i Comitati di rifornimento e produzione, i Clap. Organismi autogestiti, dall’alto contenuto politico, proiettati verso l’aumento della piccola produzione agricola. Le destre hanno tentato di promuovere saccheggi e violenze, ma senza esito. Purtroppo ci hanno riprovato dopo l’elezione di Trump negli Usa, che ha deciso di lasciare carta bianca e di farla finita con il socialismo del XXI secolo in America Latina. Ma come vediamo in questi giorni, la partita è tutt’altro che chiusa.
Uno dei temi del contendere è come si amministra il potere in Venezuela; Chavez ha disegnato un sistema istituzionale originale. Ce lo puoi spiegare?
La Costituzione bolivariana, nata nel 1999, è un modello originale che attinge alle Costituzioni di vari paesi, dagli Usa alla Francia, all’Italia. Disegna una repubblica presidenziale basata sull’equilibrio di cinque poteri, regolati dal Tribunal Supremo de Justicia. Il TSJ vigila affinché nessuno prevalga sull’altro, pena la destabilizzazione del paese. Un sistema basato sulla democrazia partecipata e “protagonista” e non su quella rappresentativa. Per questo, quando il Parlamento governato dalle destre vuole imporsi a scapito del quadro istituzionale e non riconosce gli altri poteri costituiti, agisce per destabilizzare. Ma, anche in questo caso, i media ce la raccontano diversamente… La Costituzione bolivariana mette anche al centro la sovranità e l’indipendenza nazionale e l’integrazione regionale. Per questo, gli appelli all’intervento esterno, anche militare, votati dall’opposizione in Parlamento sono da considerarsi un vero e proprio tradimento. Ora, per evitare che lo scontro in corso possa degenerare in guerra civile, Maduro ha fatto appello agli articoli della Costituzione che gli consentono di convocare una nuova Assemblea Costituente: per ridiscutere con tutto il paese i termini della rivoluzione bolivariana, consolidarne le conquiste e rinnovare il consenso fuori dalle logiche da apparato. Maduro fa appello al potere “originario”, che conta più di tutti nella Costituzione, il potere popolare, che è costituente. Una svolta storica e anche un azzardo nella congiuntura particolare che vive il paese, provato da quattro anni di attacchi e dalla drastica caduta del prezzo del petrolio.
Da noi nei media mainstream arriva poca informazione e quella che arriva parla di una situazione di guerra civile. E’ un’immagine reale del paese?
La società venezuelana è sempre stata polarizzata. L’opposizione ha una inveterata tradizione golpista: in un primo tempo non ha riconosciuto la Costituzione, poi ha organizzato insieme alla Cia il golpe contro Chavez nel 2002, la serrata petrolifera padronale e non ha mai smesso di provare a sovvertire in ogni modo l’ordine costituito. Ora tenta il tutto per tutto, ma si scontra con la grande maturità del popolo chavista. In qualunque altro paese ci sarebbe stato un bagno di sangue, che le destre cercano a tutti i costi, costruendo ogni tipo di provocazione, organizzando omicidi mirati, femminicidi politici e pagando le bande paramilitari. Intanto, la stampa internazionale attribuisce la conta dei morti al governo e Maduro viene dipinto come “un dittatore”. Sono stata in Venezuela per tutto il periodo delle violenze di piazza del 2014, le guarimbas. Ho constatato la realtà dei fatti: la rivolta dei ricchi contro un modello di inclusione che, pur con tutti i limiti di una sperimentazione prevalentemente basata sul consenso e non su una rivoluzione di stampo novecentesco, consente di mettere in primo piano i bisogni degli esseri umani (e degli animali e della natura) e non gli interessi del capitalismo predatore.
La destra neoliberista promuove in tutto il continente, sia all’opposizione che al governo, una politica basata sullo scontro fisico e la violenza mediatica: quali sono le armi che i progressisti hanno messo in campo per contrastare questa strategia?
I paesi progressisti, come il Brasile e l’Argentina, durante i governi di Lula e Rousseff e dei Kirchner hanno cercato di colmare lo spaventoso debito sociale nei confronti dei settori tradizionalmente esclusi, fornendo loro la possibilità di accedere ai bisogni elementari. Il fatto di non essersi spinti oltre nelle riforme strutturali, come chiedevano i movimenti popolari e la sinistra più definita, ha contribuito al ritorno delle forze conservatrici, che in Brasile hanno impantanato un grande partito come quello dei Lavoratori (il Pt) nella contesa istituzionale assolutamente sfavorevole e nelle alleanze capestro con le forze che lo hanno poi disarcionato, portando a termine il golpe istituzionale contro Dilma Rousseff.
In Argentina, dove i movimenti popolari hanno una forza notevole, manca ancora una direttiva di marcia organizzata e credibile che faccia chiarezza all’interno e fuori dal “peronismo”. Aver candidato l’imprenditore Scioli come alternativa a Macri (il Berlusconi argentino) e aver puntato su personaggi poco credibili nella gestione della cosa pubblica a livello territoriale non ha favorito le cose. Tuttavia, ora chi ha votato Macri senza condividerne gli interessi di classe sta facendo l’amara esperienza di vedere oltre la propaganda elettorale: repressione, licenziamenti, azzeramento delle conquiste sociali, indebitamento con i fondi avvoltoio, incarceramento della parlamentare indigena Milagro Sala…
Per quel che riguarda invece i paesi che, a vario titolo, si richiamano al socialismo del XXI secolo, le cose stanno un po’ diversamente. Il Venezuela, che più di tutti ha rimesso in causa i rapporti di proprietà, ha dalla sua l’enorme progresso sociale della popolazione tradizionalmente emarginata, compiuto attraverso la garanzia dei diritti elementari e puntando molto sull’educazione e la cultura, a cui viene dedicata una parte molto rilevante del bilancio dello Stato. Il Venezuela, che partiva da un livello altissimo di analfabetismo, ora è il quinto paese al mondo per matricole universitarie. Certo, questo non basta per mettere al sicuro il socialismo bolivariano dagli attacchi delle destre e dalla loro propaganda, rivolta a quei settori popolari che, dopo aver raggiunto il benessere, ora si sentono “classe media” e pensano di essere maggiormente garantiti dalle destre: dimenticando che, durante gli anni del neoliberismo, anche le “classi medie” sono state pesantemente impoverite. Presentare una figura imprenditoriale come potenzialmente meno corruttibile perché non avrebbe bisogno di denaro è un inganno che occulta la natura rapace del capitalismo e le sue logiche. Tanto per fare un esempio, Macri ha un discreto numero di imprese nei paradisi fiscali.
Ci giungono voci che ci siano varie anime nel movimento di protesta contro il governo: ti risulta? Esiste una critica “di sinistra” all’operato di Maduro?
L’arco dell’opposizione modula diversi tipi di destre e del centro-sinistra della IV Repubblica che ha pienamente aderito alle ricette neoliberiste e repressive. Una critica più radicale, che vorrebbe approfondire il socialismo accelerando sul pedale dello scontro di classe e senza mediazione, esiste, ma si situa all’interno del chiavismo, o comunque nell’arco dei suoi alleati. Il Gran Polo Patriotico racchiude infatti tutti quei partiti e gruppi che non hanno accettato di sciogliersi nel Partito socialista unito del Venezuela (PSUV), fondato da Chavez nel 2007: dal Partito comunista, a Redes, ai Tupamaros, ecc. Ci sono poi anche gruppuscoli che non si peritano di schierarsi con le destre più impresentabili in base a una logica di apparente estremismo, come i residui di Bandera Roja. Facendosi un giro nelle reti sociali, si nota un altissimo livello di intossicazione, utile a bombardare i cervelli confondendo i piani e i contenuti.
Come pensi che si possa risolvere la situazione?
In una “transizione al socialismo” come quella a cui accennavo prima occorre assumersi un livello di scontro permanente. Per questo, da quelle parti, la democrazia, le norme, le elezioni non vengono considerate un feticcio, ma un campo di autodifesa, di battaglia e di trincea. Le milizie popolari – un servizio civile che ogni cittadino impegnato presta in vari settori – sono preparate all’autodifesa e presidiano tutti gli obiettivi sensibili (scuole, ospedali, fabbriche…) Fondamentale anche l’unione civico-militare che ha messo chiaramente le Forze armate dalla parte del popolo e con funzioni sociali definite. In questi giorni, Maduro ha lanciato la proposta di una nuova Assemblea Costituente: non per cancellare la Costituzione bolivariana, ma per riformare lo Stato includendo e blindando le conquiste sociali realizzate finora. Per questo ha fatto appello ad alcuni articoli della Costituzione che gli consentono di appellarsi al potere “originario” che ha più forza di tutte: il potere popolare, il potere costituente.
Cosa pensi dell’azione diplomatica di Papa Francesco e del rifiuto di Capriles di aderirvi? E’ possibile costruire un tavolo di riconciliazione nazionale? A che condizioni?
La posizione del papa argentino – che si definisce “bolivariano” e che ha organizzato gli incontri mondiali con i movimenti popolari in difesa delle “3T” (casa, terra, lavoro) e dell’ambiente – appare diversa da quella delle gerarchie ecclesiastiche venezuelane e anche vaticane. Lo si evince da alcune interviste rilasciate, anche di recente. Capriles, che cerca di accreditarsi come leader di tutta l’opposizione, ma non ci riesce, attacca sia il papa che l’ex presidente spagnolo Zapatero (non certo un estremista), che guida il dialogo insieme ad altri ex presidenti latinoamericani. Le destre hanno sempre giocato su più tavoli: il primo è ad uso e consumo dei media occidentali, il secondo è quello della destabilizzazione. Durante alcuni incontri di dialogo, erano stati stabiliti cinque punti, ma le destre vogliono tutto il piatto e li hanno disattesi. Ora si è messa in campo una nuova proposta, quella dell’Assemblea Costituente, che chiama a discutere tutti i settori del paese. Destre comprese. Ma Trump ha già aperto le danze: al Venezuela – ha fatto sapere – verranno applicate sanzioni ancora più pesanti di quelle imposte a Cuba. L’Italia e l’Europa si sono già schierate. La partita, più che mai, ci riguarda.