Ulas Bayraktar è un professore universitario e uno dei membri del consiglio amministrativo dell’Università di Mersin. Bayraktar, come gli altri 1128, è uno degli accademici che ha firmato l’appello per la pace intitolato “Non saremo complici di questo crimine” nel mese di gennaio del 2016 per protestare contro le violazioni dei diritti umani che erano in atto in quel periodo sotto il coprifuoco nel sud est della Turchia. Il 29 aprile del 2017 è stato licenziato in base a un decreto legge insieme ad altri 483 accademici. Suo padre fu ucciso durante gli scontri nel 1980 tra le forze armate dello Stato e i guerriglieri del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK). Il titolo della lettera che ha scritto per protestare contro questa decisione è:
“Non avrete il mio odio”
Quando mia madre mi ha chiamato avevo appena conosciuto Maria, la moglie di Mustafa Suphi e la zia Affe nel libro “Zamanin Izinde” di Ercan Kesal ed Enis Riza. Mi ha detto: “E’ uscito il nuovo decreto legge, sono preoccupata, guardalo un attimo e fammi sapere”. Ma non n’era più bisogno, perché nel gruppo WhatsApp del corso di laurea che stavo tenendo un collega aveva già scritto:“Che dire…”. L’avevo capito, ho scritto “La settimana prossima non c’è lezione”. Dopo, come si sa, per tradizione, ho guardato sul sito della Gazzetta Ufficiale e ho visto il mio nome accanto a quello dei miei amici e del mio amore. Lei non era ormai soltanto la mia compagna, la mia amica, il mio amore, la mia collega, ma anche la mia compagna di decreto legge. Quando ho visto il mio nome ho provato un grande sollievo, perché noi avevamo inciso il nostro nome in quella lista in realtà già con il primo decreto di legge, che comunicava l’espulsione di numerosi accademici. In realtà fino ad oggi aspettavo il mio turno con vergogna. Dicevo a tutti quelli che chiedevano ultimamente che il mio cervello era già spento da un pezzo, alla fine potevo donare i miei organi da impiegato a chi aspettava il mio posto con ansia.
Poi ho spento il mio cellulare, perché ho pensato a quello che mi avrebbero detto i miei amici; avrebbero saputo come avrei risposto io. Non c’era bisogno di udire la loro voce per sentire la loro esistenza e il loro sostengo. Non avevo bisogno di essere calmato né di calmare qualcuno perché non ero né triste né arrabbiato. Non ero veramente arrabbiato, non provavo rabbia. Mi rappresentavano molto le parole usate dalla compagna del poliziotto ucciso nell’attentato della scorsa settimana a Parigi, parole appartenenti a Antonie Leiris: “Vous n’aurez pas ma haine!- Non avrete il mio odio!”.
Anche voi non avrete la mia rabbia, il mio odio. Ho esperienza su questo; penso di essere riuscito a non pensare con odio oppure con senso di vendetta al problema che mi portò via mio padre quando avevo cinque anni. Ora comprendo anche voi che avete reso per un periodo senza madre i miei figli, senza professore i miei allievi e me senza le mie lezioni.
Vi comprendo perché conosco bene il senso di ubriachezza e il senso di colpa che si vive il giorno dopo. So che adesso anche voi siete nell’ubriachezza del posto che avete ottenuto, del potere e dei titoli che avete. Un giorno vi sveglierete anche voi e capirete che tipo di ingiustizia avete causato, o di cui siete stati un mezzo. Perché credete nelle promesse di domani e non respirate nell’oggi, ma in quel miraggio. Io invece che guardare il domani cerco di guardare l’oggi e lo ieri e riesco a appoggiare in pace la mia testa sul cuscino perché non ho commesso nulla di cui posso vergognarmi domani.
Se non fosse stato così avrei accettato la proposta che il rettore mi fece due anni fa per diventare il suo consulente ed oggi avrei goduto di una carriera notevole. Lo stesso rettore che oggi ha causato il mio licenziamento. Oppure avrei accettato le proposte che ricevevo dall’estero seguendo i consigli degli amici ed avrei presentato le mie dimissioni per vivere una vita più tranquilla.
Ma io non ho preferito la serenità in cui mi troverò domani alla tranquillità che in cui mi sarei potuto trovare oggi.
Perché ho solo voluto che ci fosse la pace, che ci fosse la giustizia e lo voglio tuttora. Solo per questo non ho ritirato la firma che ho messo. Come ho detto ai poliziotti che mi hanno interrogato nel reparto chiamato “lotta al terrorismo”: Volevo soltanto che le loro mogli non vivessero ciò che ha vissuto la mia mamma ed i loro figli non provassero ciò che ho provato io. Non l’avete capito, non l’avete voluto capire.
Statemi bene, perché finché state bene potrete pensare a me. Capirete l’ingiustizia che avete commesso ogni volta che sentirete il mio nome e vi ricorderete di me.
Non ho nessuna maledizione da pronunciare per voi. Vi troveranno, ovunque sarete, le lacrime di Umut che disse addio ai suoi genitori per un periodo indeterminato, le labbra che tremano di Ada mentre cercava di far sorridere suo fratello e la pesantezza del silenzio di Bediz mentre veniva portato all’aeroporto.
Cosa farò io in questo periodo? Ovviamente quello che ho fatto finora.
Non potete pensare che io abbia costruito un rapporto con i miei allievi attraverso i corsi, con i miei colleghi tramite le consulenze formali, i titoli oppure le posizioni. Già da ora avrei da finire la correzione di un libro e un capitolo di un libro. Per esempio oggi andrò alla presentazione della tesi di un mio allievo. Ci sono centinaia di libri che volevo leggere e ho molti progetti. Solo ieri nel consiglio d’amministrazione dell’associazione dei diplomati del mio liceo avevo detto che avrei avuto tante cose da fare nel caso in cui venissi licenziato. Per esempio il sogno di costruire una biblioteca, che ora cerca già un posto fisico.
I soldi? Sono la macchia sulle mie mani. Sono tranquillo perché non ero legato con passione a nessuna comodità nella mia vita. Come ricorderà il mio vecchio rettore, come ho detto dopo davanti alla sua insistenza perché ritirassi la mia firma dall’appello: “Se non riesco a fare nulla ho una casa ed una macchina da vendere”. Ormai so anche che cartello mettere per venderli:“In vendita grazie al decreto legge.”
Vi chiedo gentilmente, cari miei amici, anche voi calmate la vostra rabbia e curate bene la vostra speranza. Non dovete infamare il poeta. E soprattutto non preoccupatevi di me. Se ci siamo detti due parole in questo mondo mortale, sapete che non sono riuscito ad essere uno di sinistra forte come voi, né un politico né un accademico spettacolare.
Io so fare bene solo una cosa: ridere. E non vi preoccupate, non me la farò fregare. Penso sempre a Bedri Rahmi, quando diceva:
La saggezza sta nel non farsi pestare in questo mondo
Ma se fanno in modo che ti pestino
Bisogna profumare bene
Come il timo
Come la lavanda
Come il basilico
Come il geranio
Come il Gesù
Come Yunus
Come Tonguç
Come Nazim