Il suo avvocato Amir Raeisian l’aveva annunciato sin dal 19 aprile e poi era stato il diretto interessato a confermarlo: il regista curdo-iraniano è libero, seppure con un periodo di prova davanti a sé che durerà fino al mese di ottobre.
Karimi, autore di importanti documentari e film giunti anche in Italia (dapprima al festival di Civitavecchia e poi lo scorso anno, con la sua ultima opera “Drum”, a quello di Venezia) era stato arrestato il 14 dicembre 2013 nella sua abitazione di Teheran, la capitale iraniana, dalle Guardie Rivoluzionarie. In quell’occasione, gli era stato sequestrato un hard-disk.
Rilasciato su cauzione il 26 dicembre senza aver mai visto un avvocato né aver appreso di cosa fosse esattamente accusato, Karimi era stato chiamato a processo il 13 ottobre 2015 e condannato a sei anni di carcere per “insulto alle figure sacre dell’Islam”, accusa derivante dai contenuti di un video musicale inedito trovato nel suo hard-disk.
In appello cinque dei sei anni di pena erano stati sospesi e la condanna era stata così ridotta a un anno, metà del quale Karimi l’ha scontato in carcere, fino al rilascio del 19 aprile.
Quella di Karimi rimane comunque una libertà precaria, tenendo conto che ci sono sempre i cinque anni di pena sospesa. Inoltre la condanna aggiuntiva, inflitta in primo grado, a 223 frustate per “relazione illecita”, ossia essersi trovato nello stesso luogo (e averle stretto la mano) con un’amica dal volto e dal collo scoperti, resta in vigore e potrebbe essere eseguita in ogni momento per il capriccio di un giudice o come rappresaglia se Karimi dovesse fare qualcosa di “sgradito”.